Il terremoto in Turchia e Siria.
Il 6 febbraio e poi, di nuovo, il 20 febbraio, diverse scosse sismiche hanno devastato il sud-est della Turchia e la Siria settentrionale. La loro intensità è stata tale da far considerare questo evento tra i primi cinque terremoti a livello globale per numero di morti negli ultimi due decenni.
Le autorità turche hanno chiesto assistenza internazionale. La macchina degli aiuti internazionali si è attivata immediatamente (fornitura immediata di aiuti salvavita sotto forma di personale, macchinari e attrezzature per soccorrere le persone intrappolate nelle macerie del terremoto e altro). Ma gli aiuti sono arrivati in ritardo a chi ne aveva bisogno. Di sicuro non così tempestivamente come sarebbe stato necessario. Sia in Turchia che in Siria, sin da subito sono emerse gravi carenze. Secondo Amnesty International, ad esempio, sarebbe stato possibile salvare molte vite umane se, sin dall’inizio della crisi, si fossero attivati piani di salvataggio coordinati. Mancanza di coordinamento, personale e attrezzature hanno ostacolato in modo significativo gli interventi. Alcune organizzazioni locali hanno riferito ad Amnesty International che non poter disporre di macchinari pesanti e altri strumenti di salvataggio ha gravemente ostacolato gli sforzi di ricerca e soccorso. Ancora una volta, come per altre emergenze in altri momenti, in Turchia e in Siria impreparazione e incompetenza hanno fatto più danni dello stesso terremoto. Subito dopo, ma ancora di più nelle settimane che sono seguite. Sin da subito sono venute a galla gravi carenze nel sistema di intervento per le emergenze.
Come sempre in questi casi si cerca di giustificare questi danni attribuendo la colpa all’intensità dei fenomeni che hanno causato le emergenze. Molti danni sono stati causati dalla disorganizzazione e dall’impreparazione del personale nell’aiutare le vittime del terremoto. Molti hanno notato il ritardo nell’invio dei soldati per aiutare le popolazioni colpite. Eppure alcune basi si trovano non molto lontano dalle città colpite. Alcuni membri del gruppo dell’UNDRR si sono posti una domanda: davvero è stato fatto tutto il possibile per prevenire il disastro e per rendere la fase successiva più resiliente alle emergenze secondarie? Subito dopo il terremoto, rispondendo alle critiche sugli sforzi per salvare i sopravvissuti sepolti, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha dichiarato che sarebbe stato “impossibile prepararsi per la portata del disastro”. È vero che è difficile prevedere quando e dove si verificherà un terremoto. Così come pure la sua intensità. I tentativi fatti in alcuni paesi geologicamente a rischio, come ad esempio in Giappone e in California, esistono sistemi di allarme che possono dare un brevissimo (qualche decina di secondi) di preavviso, impostando i semafori in rosso e fermando i treni. Ma questi sistemi non bastano per un’evacuazione di qualsiasi tipo. Non servono per evitare i disastri né ad aiutare nella fase dell’emergenza secondaria. Son numerosi gli studi e le analisi che forniscono ai governi e alle amministrazioni locali indicazioni su cosa fare per ridurre i danni in caso di emergenze climatiche o di terremoti e ridurre le conseguenze delle emergenze secondarie. Ad esempio, il governo turco sapeva bene che il paese si trova su zone di faglia attive nella crosta terrestre, con una lunga storia di attività sismica. (< href="https://www.preventionweb.net/news/turkey-syria-earthquake-scandal-not-being-prepared">Terremoto Turchia-Siria: lo scandalo di non essere preparati – PrevenzioneWeb).
Incuranti di tutto questo, le autorità hanno permesso ai costruttori di farsi beffe delle normative edilizie sulla resilienza ai terremoti. Il presidente è stato più volte accusato di aver concesso al molte grandi imprese una sorta di “esenzione regionale” per costruire in violazione delle normative che prevedono che gli edifici siano in grado di resistere a un terremoto, di avere una certa quantità di spazio tra di loro, di dotarli di sistemi antincendio e di includere lo sviluppo ambientale. I media turchi hanno dichiarato che nell’ultimo periodo, le autorità avrebbero concesso circa sette milioni di esenzioni di questo tipo. E di queste, 5,8 milioni erano destinate all’edilizia residenziale.
Raggiungere le persone.
Come spesso avviene in questi casi, gli effetti più devastanti delle emergenze non si verificano subito. A volte bisogna aspettare settimane, mesi, addirittura anni per fare una stima realistica dei danni sia in termini di cose che di vite umane. A Porto Rico, nel 2017, dopo l’uragano Maria il conteggio ufficiale immediato fu di 64 vittime. Sei mesi dopo venne aggiornato e si parlò di quasi 3mila morti.
In Turchia e in Siria, il terremoto di febbraio scorso ha causato la morte di 54mila persone e provocato distruzioni enormi in un’area abitata da oltre 23 milioni di persone, molte delle quali, durante 12 anni di guerra civile/internazionale in Siria, avevano già cercato di fuggire, sia all’interno della Siria che oltre confine, entrando in Turchia come rifugiati. Il primo convoglio di aiuti delle Nazioni Unite nel nord-ovest della Siria, in viaggio dalla Turchia attraverso il valico di frontiera di Bab al-Hawa – l’unico valico di frontiera autorizzato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – è arrivato tre giorni dopo il terremoto. Ma per distribuire questi aiuti è stato necessario attendere più di una settimana. Il tempo necessario per ottenere dal governo siriano l’autorizzazione a utilizzare (per tre mesi) altri due valichi di frontiera, Bab al Salam e al-Rai, per le consegne di aiuti delle Nazioni Unite nel nord della Siria. Nel nord-ovest della Siria, già prima del terremoto il 90% dei 4,6 milioni degli abitanti dipendeva dall’assistenza umanitaria per soddisfare i propri bisogni di base. Fino alla fine si temeva che potesse esserci un solo valico di frontiera accessibile per far giungere gli aiuti, a Bab al-Hawa. Il capo degli aiuti delle Nazioni Unite Martin Griffiths ha dovuto riconoscere le carenze nel raggiungere i bisognosi: “Finora abbiamo deluso le persone nel nord-ovest della Siria. Si sentono giustamente abbandonati. Alla ricerca di aiuto internazionale che non è arrivato“.
La Commissione d’inchiesta internazionale indipendente dell’ONU sulla Siria ha denunciato la lentezza degli aiuti umanitari dopo il terremoto e ha chiesto l’apertura di un’inchiesta. Secondo i tre inquirenti delle Nazioni Unite, “La risposta ai recenti massicci terremoti è stata caratterizzata da ulteriori fallimenti che hanno ostacolato la consegna di aiuti urgenti e salvavita alla Siria nordoccidentale. Questi fallimenti hanno coinvolto il governo e le altre parti in conflitto, così come la comunità internazionale e le Nazioni Unite”. La Commissione rimprovera ai vari attori di “non essere riusciti a garantire un cessate il fuoco che avrebbe facilitato l’erogazione degli aiuti durante la prima settimana successiva al disastro. I siriani si sono sentiti abbandonati e trascurati da coloro che avrebbero dovuto proteggerli, nei loro momenti più disperati”. Il presidente della Commissione, Paulo Pinheiro, ha ricordato che “molte voci hanno chiesto che si svolga un’indagine e che i responsabili siano ritenuti responsabili. I siriani hanno ora bisogno di un cessate il fuoco completo e pienamente rispettato, in modo che i civili, inclusi gli operatori umanitari, siano al sicuro”. Intere comunità sono state distrutte. L’ONU stima che nella parte siriana dell’area colpita dal terremoto “circa 5 milioni di persone abbiano bisogno di un riparo di base e di assistenza non alimentare”. “Anche prima dei terremoti del 6 febbraio, più di 15 milioni di siriani – più che mai dall’inizio del conflitto – avevano bisogno di aiuti umanitari”. Secondo Pinheiro, “incomprensibilmente, a causa della crudeltà e del cinismo delle parti in conflitto, stiamo ora indagando su nuovi attacchi, anche in aree devastate dai terremoti. Questi includono l’attacco israeliano segnalato la scorsa settimana all’aeroporto internazionale di Aleppo, un punto di passaggio per gli aiuti umanitari”. Gli investigatori dell’ONU hanno denunciato che “Subito dopo il terremoto, il governo siriano ha impiegato un’intera settimana per consentire l’accesso transfrontaliero di aiuti vitali. Sia il governo che la Syrian National Army (SNA, milizie antigovernative jihadiste filo-turche, ndr) hanno bloccato gli aiuti transfrontalieri alle comunità colpite, mentre Hayat Tahrir al Sham (HTS – al-Qaeda in Siria, ndr) nella Siria nordoccidentale ha rifiutato gli aiuti transfrontalieri provenienti da Damasco”. Una dei commissari, Hanny Megally, ha detto che “Attualmente stiamo indagando su diverse accuse secondo cui le parti in conflitto avrebbero deliberatamente ostacolato l’assistenza umanitaria alle comunità colpite”. La Commissione presenterà la sua relazione al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite il 21 marzo a Ginevra. Situazione non molto diversa in Turchia.
Perchè scappano? Perchè “non c’è niente da mangiare per noi qui”, ha dichiarato un soldato che ha chiesto di non essere identificato perché è ancora un membro attivo dell’esercito turco e teme pesanti punizioni se scoperto a criticare il governo. Fuggito dalla città di Antakya, ora vive in un inferno: “Non c’è gas, nessun sistema di riscaldamento, nessuna elettricità. Non abbiamo soldi e nessuna delle nostre carte di credito è attiva. Molti di coloro che sono sopravvissuti stanno lottando per soddisfare i loro bisogni di base. A cominciare dal riparo e dal cibo. Tantissime famiglie vivono ammassate nelle tende bianche allestite dal braccio turco per i soccorsi in caso di calamità e di emergenza, noto con l’acronimo AFAD. Famiglie di otto o più persone dormono su materassi di gommapiuma gettati per terra, avvolte nei vestiti che indossavano al momento del terremoto, e in coperte colorate ricevute con gli aiuti umanitari. Madri, figlie, fratelli e padri si stringono per scaldarsi. Durante il giorno la vita è quella ormai nota dei campi di accoglienza dei profughi e rifugiati. “Aspettiamo in fila tutta la mattina e a pranzo non c’è più cibo”, dice uno dei terremotati. L’AFAD ha dichiarato di aver schierato decine di camion di cibo e centinaia di migliaia di pasti, ma i politici dell’opposizione e l’opinione pubblica dicono che potrebbe non essere vero. Non è questo l’unico problema. Dopo il terremoto, sono peggiorati i rapporti tra i vari gruppi etnici. Una questione che la Turchia cerca di risolvere da sempre e con la quale convive da sempre. La regione sud-orientale è un territorio con un’elevata presenza di curdi. Il governo turco è stato coinvolto in un conflitto di quattro decenni con il gruppo separatista armato, il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK). Ciò ha portato alla persecuzione di molti curdi per presunti legami con il gruppo.
Da febbraio, molte persone sono state costrette ad abbandonare la propria terra ormai ridotta ad un ammasso di detriti. Alcune famiglie curde hanno utilizzato le tende nelle quali dormono durante la stagione estiva della semina. Uno di loro, Genco Demir, ha dichiarato che lui e altri agricoltori sono stati abbandonati dal governo. Vivevano nel quartiere povero di Sekiz Subat. Ma nessuno è andato ad aiutarli, a vedere se le loro case erano danneggiate dal terremoto. “Non abbiamo carbone, non abbiamo cibo, non abbiamo niente”, dice. “Dobbiamo nutrire i bambini. Aiutateci”. A confermare le sue parole è Hayat Gezer, una donna di 45 anni con un tatuaggio tradizionale curdo sul mento e un velo nero. Ai problemi legati al terremoto si son aggiunti quelli legali: alcuni membri della loro comunità sono stati imprigionati per crimini che vanno dal furto al favoreggiamento del terrorismo.
* ARTICOLO COMPLETO SU: https://www.notiziegeopolitiche.net/emergenze-secondarie
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