Papa Francesco e la politica estera del Vaticano nel mondo in fiamme

mar 13, 2023 0 comments


Di Andrea Muratore

Il pontificato di Papa Francesco “compie” dieci anni e un bilancio è necessario anche sul fronte della visione di politica estera del Papa argentino. Giunto dalla “fine del mondo” nel 2013 per insediarsi al soglio pontificio di Roma e da lì plasmare una proiezione della Santa Sede a dir poco originale anche nella traiettoria dell’Oltretevere nelle relazioni internazionali.

Alla continuità con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sul fronte del rafforzamento della dottrina sociale cristiana, della critica agli eccessi della globalizzazione e della difesa di un mondo pacifico e fondato sul dialogo e il rispetto tra i popoli Francesco, il cui pensiero è fondato su sovrastrutture diverse rispetto a quelle dei pontefici che lo hanno preceduto, ha aggiunto una vocazione da molti definita “post-occidentale” all’ecumenismo. Una spinta alla centralizzazione delle periferie che lo ha portato a comprendere, in anticipo su molti leader, che proprio dalle ferite sanguinanti delle aree dimenticate del mondo può nascere il seme della divisione e del conflitto.

Leggendo la “Guerra mondiale a pezzi” o “Guerra Fredda 2.0″ come la fonte di un grande disordine globale dal 2013 a oggi Papa Francesco ha utilizzato tutte le armi della diplomazia vaticana per ricucire strappi, far rientrare crisi, contribuire al dialogo in contesti problematici. Ha usato il peso morale e diplomatico della Santa Sede, rappresentato spesso dal Segretario di Stato Pietro Parolin, perpendicolarmente alle strategie delle grandi potenze. Francescano nel nome e nello spirito, ha unito la vocazione di “pellegrino di pace” alla necessità di dialogare, senza preclusione, coi “sultani” di tutto il mondo. Promuovendo una visione multipolare delle relazioni internazionali e un’idea complessa di ordine globale fondato sul dialogo.

Un papato “geopolitico”

Senza essere né un teologo di raffinato spessore come Benedetto XVI né un diplomatico pontificio di formazione come Pio XII e Giovanni XXIII o un Papa guerriero come Giovanni Paolo II, Francesco ha però dimostrato un acume notevole sul piano della leadership mostrandosi come uno dei più politici tra i pontefici dell’ultimo secolo. Il suo papato è stato politico perché desideroso di sanare contrapposizioni, divisioni e strappi nelle relazioni internazionali. E infine geopolitico perché in diversi contesti la convergenza tra visione teologica e ruolo diplomatico della Santa Sede ha saputo convergere.

I rapporti di Papa Francesco con le tre grandi potenze globali, Cina, Russia e Stati Uniti, aiutano a capire questa postura.

Con Pechino ad esempio Francesco ha costruito un percorso costruttivo di dialogo e confronto che si è manifestato principalmente in una florida diplomazia culturale e nella volontà di giungere all’agognato Accordo sui Vescovi del 2018, riconfermato nel 2020 e nel 2022. La Repubblica Popolare è il grande sogno della diplomazia vaticana e Papa Francesco sa che compromessi su questioni-bandiera dell’Occidente come Hong Kong, per quanto dolorosi, sono necessari in nome della volontà dell’Oltretevere di preservare il dialogo multilaterale come strumento di pace. Senza riconoscersi direttamente, Cina e Vaticano si legittimano come attori favorevoli alla distensione tra le potenze.

Con la Russia il rapporto è stato decisamente complesso per le grandi evoluzioni dello scorso decennio. Nel settembre 2013 Papa Francesco fu di fatto in sintonia con Vladimir Putin nel sostenere l’opposizione ai previsti raid statunitensi contro la Siria di Bashar al-Assad. Il Papa ha accettato il ruolo della Russia come defensor fidei in Medio Oriente, ha mantenuto i rapporti diplomatici con Damasco, protettorato di Mosca, in nome della difesa dei cristiani perseguitati, ha perfino mostrato comprensione per il cesaropapismo di Putin in tempo di pace in nome dell’avvicinamento diplomatico al Patriarcato di Mosca. Solo quando il 24 febbraio 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina Francesco si è fatto più duro verso Kiril, patriarca ortodosso, etichettandolo come “Cappellano del Cremlino”. Ma nella visione ecumenica di Francesco la Russia gioca un ruolo fondamentale: da qui il ruolo per la pace operato dal Vaticano che vuole porre fine a una percepita “guerra civile” tra cristiani nel cuore della sempre più marginale Europa.

Altamente ricco di passioni politiche e vicissitudini personali anche il legame tra Francesco e gli Stati Uniti. A seconda delle presidenze Papa Francesco ha avuto diversi approcci e spesso ricevuto input contrastanti. Quello tra Vaticano e Washington, “imperi paralleli”, resta il più florido e inevitabile dei rapporti che l’Oltretevere tesse con le grandi potenze del pianeta. Ma giocoforza è anche il più contrastato. Papa Francesco ha favorito gli sforzi di Barack Obama per una riapertura a Cuba dopo aver avuto con Washington una divergenza sulla Siria; ha favorito ogni tentativo di demolire i residui della Guerra Fredda; ha avuto in seguito nell’amministrazione Trump un rivale strutturale a causa della rivolta delle frange più radicali del protestantesimo e del cattolicesimo Usa contro il suo pontificato; ha dribblato con fermezza le pressioni del Segretario di Stato Mike Pompeo per non rinnovare gli accordi sui vescovi con la Cina nel 2020; non è riuscito, nonostante la comune appartenenza generazionale con il cattolico Joe Biden, a costruire un ponte solido con l’attuale amministrazione per la sua posizione sulla guerra in Ucraina.

Nei rapporti con tutte e tre le grandi potenze, insomma, vediamo che in Francesco religione e politica marciano assieme. Il giudizio del Vaticano su uno scenario è direttamente imputabile al rapporto teologico-politico di Bergoglio con un Paese e le sue azioni. E questa rappresenta una grande novità per il pontificato più “geopolitico” degli ultimi tempi. Avente come orizzonte un multipolarismo inteso come ordine “francescano” tra fede e potere in dialogo rispettoso e strutturazione “gesuita” della società mondiale come corpo politico fondato su una dialettica non viziata da pregiudizi storici o post-coloniali. Da qui la grande attenzione di Francesco per le periferie geopolitiche del pianeta.

Il dialogo, a qualsiasi costo

Papa Francesco e il Vaticano, dal 2013 a oggi, hanno promosso la loro “offensiva di pace” a prescindere dal coinvolgimento o meno delle grandi potenze nei contesti di crisi. Ogni segno di “Terza guerra mondiale a pezzi” andava e va colto sul nascere, nella visione di Bergoglio, per anestetizzare ogni rischio, aprire all’inserimento della visione ecumenica e di tolleranza, creare terreni comuni di confronto. La spinta verso le periferie esistenziali si è tramutata in una corsa al dialogo pressoché generalizzata.

Papa Francesco e il Vaticano hanno promosso la causa degli emarginati in Myanmar, partendo dalla tragedia dei Rohingya; hanno ammonito contro i ripetuti attentati che hanno minato la stabilità dello Sri Lanka; hanno creato i presupposti per il dialogo tra il governo di Nicolas Maduro e l’opposizione costituzionale in Venezuela, perseverando fino all’ottenimento di canali di confronto che lasciano sperare, nel 2023, in un futuro confronto elettorale leale; hanno, soprattutto, rivolto la loro attenzione all’Africa e alle sue guerre dimenticate. Qui le “divisioni” diplomatiche del Papa sono state la rete di riviste e testate cattoliche, da Nigrizia a La Civiltà Cattolica, attente a raccontare le “guerre nere” e i conflitti civili di Congo, Sud Sudan, Etiopia, Repubblica Centrafricana e Burkina Faso e proiezioni dirette della diplomazia pontificia come la Comunità di Sant’Egidio che hanno creato le condizioni per aprire ponti di dialogo.

In Repubblica Centrafricana e Sud Sudan il ruolo fattivo della Santa Sede si è sostanziato, in questo modo, in una vera e propria “geopolitica della Misericordia” che ha fuso al suo massimo postura politica e afflato teologico. Il ruolo del Vaticano, in quest’ottica, è quello di facilitatore dei processi di pace in contesti locali difficili e tormentati. Di promotore di dialogo laddove predominano violenza e sopraffazione. Il metodo è quello del confronto senza pregiudiziali, a prescindere dalla constatazioni di torti e ragioni. L’obiettivo è creare ponti di dialogo in cui alla politica si possa aggiungere il confronto tra fedi e operatori di bene comune. E aprire in un mondo in fiamme prospettive di discontinuità e di speranza. Ciò che, oggi più che mai, appare difficile perseguire. E che proprio nelle periferie, per Francesco, bisogna iniziare a edificare per dare l’esempio ai grandi attori con cui il Vaticano dialoga senza preclusione e timori reverenziali.

FONTE: https://it.insideover.com/religioni/papa-francesco-e-la-politica-estera-del-vaticano-nel-mondo-in-fiamme.html

Commenti

Related Posts

{{posts[0].title}}

{{posts[0].date}} {{posts[0].commentsNum}} {{messages_comments}}

{{posts[1].title}}

{{posts[1].date}} {{posts[1].commentsNum}} {{messages_comments}}

{{posts[2].title}}

{{posts[2].date}} {{posts[2].commentsNum}} {{messages_comments}}

{{posts[3].title}}

{{posts[3].date}} {{posts[3].commentsNum}} {{messages_comments}}

Search

tags

Modulo di contatto