Il 15 aprile la Germania spegnerà definitivamente le ultime tre centrali nucleari – sulle 17 totali – ancora attive sul suo territorio, «senza possibilità di proroga», almeno secondo la Ministra dell’Ambiente Steffi Lemke, che ha dato l’annuncio. L’esponente politica dei Verdi, secondo cui «i rischi dell’energia nucleare sono ingestibili», ha rassicurato quanti temono che tale decisione peggiori la dipendenza energetica del Paese: «Abbiamo una sicurezza di approvvigionamento molto elevata”, o almeno migliore di quella di alcuni Paesi vicini alla Germania con una più elevata percentuale di energia nucleare. Una decisione che, come previsto, ha riacceso il dibattito – mai in realtà sopito – ai vertici: da una parte i Verdi e i socialdemocratici, che escludono con fermezza l’utilizzo del nucleare in Germania e credono nella forza delle rinnovabili, dall’altra i liberali, convinti che l’energia del sole e del vento non basti a soddisfare le esigenze di una Nazione.
In realtà le centrali avrebbero già dovuto smettere di funzionare entro la fine del 2022. Ma, lo scoppio della guerra e la conseguente crisi energetica, ha complicato l’iter degli eventi. Una decisione, quella di chiudere, presa sì dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, ma di cui in realtà si discute dalla fine degli anni Novanta, quando l’allora cancelliere Gerhard Schröder chiuse la disputa tra Verdi e Partito liberaldemocratico a favore dei primi: tutte le centrali si sarebbero dovute chiudere entro il 2022. Scelta poi criticata di recente pure dall’UE e dall’Agenzia internazionale per l’energia. Lo scorso luglio, infatti, è stato lo stesso Parlamento europeo a dichiarare il gas naturale e il nucleare come fonti utili (e tendenzialmente ‘green’, anche se la combinazione tra sicurezza, costi elevati, lunghi tempi di realizzazione e il problema dello smaltimento delle scorie non ha mai fatto sì che il nucleare decollasse effettivamente in questo senso) per raggiungere la neutralità climatica, anche se pare ci stia ripensando.
In effetti, da quando la Germania ha deciso di chiudere le sue centrali – ed è uno dei Paesi più grandi ed economicamente avanzati a farlo – numerosi studi hanno dimostrato che il suo utilizzo di combustibili fossili – e quindi emissione di CO2 – è decisamente aumentato. Per citare un esempio, secondo un’analisi pubblicata nel 2019 per il National Bureau of Economic Research, un’organizzazione americana che si occupa di economia e finanza, a causa della chiusura dei reattori le emissioni annuali di anidride carbonica sono aumentate del 13% rispetto alla cifra che si sarebbe ottenuta tenendoli aperti. Una scelta che avrebbe causato oltre mille morti in più, per via del maggior ricorso al carbone e delle emissioni di gas tossici.
Di fatto, in assenza di un sufficiente approvvigionamento energetico proveniente dalle rinnovabili – e in mancanza, quindi, del nucleare – il Paese è costretto ad attingere ad altre fonti – cioè i combustibili, utilizzati nelle inquinanti centrali termiche – per la produzione di energia elettrica. Anche se la Germania ha avviato la costruzione di centrali solari ed eoliche, prima che queste possano produrre abbastanza energia da colmare il gap attuale, ci vorrà ancora molto altro tempo.
Quella tedesca è dunque una scelta che ora, come allora, suscita approvazione e critiche (persino da parte di alcuni movimenti ambientalisti). La stessa UE, infatti, considera il nucleare – almeno al momento e nonostante tutte le problematiche che anche questo tipo di approvvigionamento comporta – una risorsa inevitabile per ridurre le emissioni e compensare quella carenza di energia a cui inevitabilmente oggi le rinnovabili ci espongono (essendo fonti che non possiamo controllare o azionare a nostro piacimento).
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