Tra accordi di cooperazione e nuove intese, almeno sulla carta Cina e Russia hanno ulteriormente consolidato la loro amicizia senza limiti. In realtà, la distanza che separa Xi Jinping da Vladimir Putin è sempre più evidente e impossibile da ignorare.
Il ruolo di socio di minoranza all’interno della partnership sino-russa coincide ormai con la figura del capo del Cremlino, mentre il leader cinese continua a sfruttare la convergenza con Mosca per limare i talloni d’Achille del suo Paese. Ogni singolo punto concordato con Putin, infatti, offre a Xi la possibilità di nascondere le debolezze della Repubblica Popolare Cinese, in cambio di un prezzo sostenibile: una certa vicinanza diplomatica e investimenti orientati verso i settori economici strategici, tali da non far affondare la Russia, respinta dai mercati occidentali e pressata dalle sanzioni internazionali.
Se al momento l’intesa cordiale tra i due Paesi sembra accontentare entrambi, sul medio e lungo periodo la bilancia è destinata a pendere inevitabilmente in favore della Cina. Basta dare uno sguardo ad alcuni dei dossier affrontati da Putin e Xi, come l’utilizzo dello yuan da parte di Mosca per gli scambi con l’estero e la scelta russa di affidarsi ad un organismo di lavoro congiunto con i cinesi per lo sviluppo della Rotta del Mare del Nord, e quindi nell’estrazione di risorse energetiche dall’Artico da esportare oltre la Muraglia.
In questo modo, il Dragone potrà conseguire due fondamentali obiettivi geopolitici: da un lato internazionalizzare la propria moneta, così da renderla una valida alternativa al dollaro statunitense, e dall’altro placare la fame energetica che, in caso di tensioni, potrebbe rompere l’armonia interna. In compenso la Russia eviterà sì di subire le conseguenze delle sanzioni e di restare isolata, ma dovrà accettare, di fatto, di trasformarsi nel fratellino minore di Pechino.
Il reale peso della partnership
Davanti alle luci dei riflettori Xi e Putin hanno usato espressioni mirabolanti per descrivere la nuova era della partnership sino-russa. Dietro alle promesse di amicizia, tuttavia, sono finiti i giorni in cui Russia e Cina potevano essere considerate alla pari, sullo stesso piano.
In seguito allo scorso 24 febbraio, infatti, Pechino è stata costretta a soppesare qualsiasi accordo o sostegno esteso a Mosca, sulla base di eventuali danni d’immagine o rischi di subire sanzioni dall’Occidente.
In altre parole, il Dragone, pur scegliendo di cooperare con il Cremlino, non intende superare alcuna linea rossa che possa portare ad uno scontro diretto con Stati Uniti ed Unione europea. E dunque, poiché il rischio è alto, il gioco dovrà sempre valere la candela. Da questo punto di vista, l’internazionalizzazione dello yuan, la riesumazione della Via della Seta Polare e la possibilità di acquistare petrolio e gas a prezzo di saldo, rappresentano ottimi incentivi.
Al contrario, la Russia deve, ma soprattutto dovrà, essere disposta a regalare le sue risorse naturali alla Cina e a condividere con il partner di maggioranza alcune regioni strategiche, come l’Asia centrale e l’Artico. Il minimo comune denominatore resta dunque l’avversione nei confronti degli Stati Uniti e dell’orgine globale incentrato su Washington. Gli obiettivi e i sogni di Xi e Putin restano però ben distinti.
Obiettivi diversi
Non sappiamo se Russia e Cina rimarranno stretti partner. Nel 1961, ad esempio, nonostante simili modelli autoritari e prospettive ideologiche, si verificò la famosa scissione sino-sovietica, che fornì agli Stati Uniti l’opportunità di capitalizzare le tensioni bilaterali tra Mosca e Pechino per stabilire legami con la seconda e indebolire l’immagine dell’Unione Sovietica all’estero. Le cause della rottura diplomatica? Molteplici, ma in primis le percezioni contrastanti su chi tra i due Paesi detenesse il ruolo di leader comunista globale.
Oggi Putin e Xi si sono incontrati 40 volte e giurano di essere ottimi amici. Ma sarà ancora così, in futuro, quando il capo del Cremlino sarà percepito come junior partner del leader cinese? Il punto fondamentale è tuttavia un altro. Appurato che Pechino può vantare un’economia oltre 10 volte più grande di quella russa, una superiorità militare e tecnologica in rapida modernizzazione e un peso diplomatico globale, come ha scritto Foreign Policy è prematuro definire la Russia uno stato vassallo della Cina.
La dipendenza non equivale necessariamente al servilismo. Mosca rimane infatti una grande potenza nucleare e un importante esportatore di energia, risorse e cibo a livello mondiale. L’economia russa, sebbene danneggiata, ha finora dimostrato una notevole capacità di recupero di fronte alle sanzioni occidentali. E in più, Putin è alla guida di una massa strategica di cui il Dragone ha bisogno per competere con gli Stati Uniti.
Nel frattempo, mentre Putin lotta per rimanere a galla, Xi ha incassato i frutti economici dell’isolamento globale russo. La differenza fondamentale tra questi due Paesi è che, per la Russia, la Cina è un partner fondamentale; per Pechino, invece, Mosca è soltanto uno dei numerosi partner segnati sull’agenda.
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