La rete Nord Stream, gasdotto della discordia ed emblema della GeRussia, è stata vittima di un misterioso sabotaggio il 26 settembre 2022. Una serie di esplosioni, negli stessi istanti in cui la Polonia inaugurava il Baltic Pipe, squarciava parti di un’infrastruttura che negli anni aveva accumulato tante controversie quanti nemici, producendo dei danni irreparabili in più punti.
La Russia aveva puntato il dito contro “gli anglossassoni”, ovvero Stati Uniti e Regno Unito, mentre la Germania si era chiusa nel più stretto riserbo e l’Alleanza Atlantica prometteva di fare luce sulle esplosioni, offrendo pieno supporto a Olaf Scholz. Da allora, a parte una sequela di eloquenti non detti e di messaggi subliminali, il nulla. Fino ad oggi.
Secondo Seymour Hersh, giornalista investigativo di fama mondiale e vincitore di un premio Pulitzer, l’attentato al Nord Stream non sarebbe stato commesso da un iracondo Cremlino alla ricerca di vendetta sulla Germania, cobelligerante informale nella guerra in Ucraina, ma dagli Stati Uniti. Una notizia che, se fosse vera, sarebbe suscettibile di provocare smottamenti epocali tanto in Occidente quanto altrove, perché la storia insegna che la Weltanschauung della Germania scuote il mondo.
Come potrebbe essersi svolto il sabotaggio?
Secondo l’autore dell’articolo, che ricostruisce il presunto sabotaggio ripercorrendo la storia dei rapporti tra Stati Uniti e Germania da prima dell’inizio del conflitto in Ucraina, la sua pianificazione sarebbe cominciata nel dicembre 2021 con una lunga serie di incontri tra Jake Sullivan (consigliere per la sicurezza nazionale Usa) e la task force composta da uomini e donne del Joint Chiefs of Staff, della Cia e dei dipartimenti di Stato e del Tesoro, in cui si sarebbero valutate le opzioni per rispondere all’imminente invasione russa – tra di esse, oltre a quelle di carattere sanzionatorio economico/commerciale, anche alcune cinetiche, ovvero usanti la forza militare.
La fonte anonima della Cia consultata dall’autore afferma, senza mezzi termini, che Sullivan intendeva che il gruppo elaborasse un piano per la distruzione dei due gasdotti Nord Stream come da “desiderio del presidente”.
Nel corso dei successivi numerosi incontri, i partecipanti avrebbero discusso le opzioni per un attacco. La Us Navy avrebbe proposto di utilizzare un sottomarino appena entrato in servizio per assaltare direttamente l’oleodotto; la Us Air Force di lanciare bombe con spoletta ritardata attivabili a distanza; la CIA avrebbe sostenuto che qualunque cosa fosse stata fatta, avrebbe dovuto essere segreta. Da qui la decisione di usare un team di sommozzatori della marina statunitense trasportati in loco sotto la copertura dell’esercitazione Nato Baltops 2022 e con il supporto della Norvegia, i cui specialisti avrebbero segnalato il punto migliore per colpire le condutture (a poche miglia dell’isola danese di Bornholm su un fondale di circa 80 metri).
I sommozzatori statunitensi avrebbero posto cariche di esplosivo sulle condutture, approfittando delle manovre aeronavali in modo da celarsi alle unità di pattugliamento russe, comandate da un dispositivo a orologeria che sarebbe stato attivato da una boa sonar lanciata da un aereo con breve preavviso. Il 26 settembre 2022, un aereo da pattugliamento marittimo P-8 “Poseidon” della Marina norvegese avrebbe effettuato un volo apparentemente di routine e ha sganciato una boa sonar. Il segnale della boa si è diffuso sott’acqua, inizialmente al Nord Stream 2 e poi al Nord Stream 1. Poche ore dopo, gli esplosivi ad alto potenziale sarebbero stati innescati e tre dei quattro gasdotti sono stati messi fuori servizio.
Questa sarebbe la ricostruzione del sabotaggio dei gasdotti, messa in atto da un team di sommozzatori statunitensi coadiuvati da personale militare norvegese, però qualcosa non torna.
Tornando indietro ai mesi successivi allo scoppio delle linee sottomarine, sappiamo che la Svezia ha effettuato una ricognizione delle condutture utilizzando Rov subacquei e ha mostrato le immagini – a metà ottobre 2022 – dei danni provocati da una delle esplosioni: osservandole si può notare come la lamiera della pipeline sembra che sia piegata verso l’esterno, qualcosa che quindi corrisponderebbe ad un’esplosione generatasi dall’interno della conduttura.
Prima che fossero pubblicate le immagini, già il settimanale tedesco Der Spiegel aveva ventilato la possibilità di un sabotaggio per vie interne alla condotta usando dei veicoli di servizio automatici utilizzati solitamente per controllare lo stato dei tubi, o per effettuare saldature (quindi di matrice russa, avendo la possibilità di accedere liberamente alle flange di accesso del gasdotto usate per inserire i robot).
Lo Spiegel aveva fatto un po’ di confusione, ipotizzando non correttamente l’impossibilità di trasportare una carica così “potente” in loco usando un sottomarino, e confondendo la potenza effettiva della carica col peso dell’esplosivo (due cose ben diverse perché gli esplosivi, a parità di peso, hanno potenze diverse in base alla loro composizione), ma il ragionamento sembra essere suffragato dalle immagini diffuse dagli svedesi.
Disinformazione o atto ostile verso la Germania?
La tesi che vorrebbe il sabotaggio delle linee Nord Stream effettuata dagli statunitensi potrebbe trovare sponda nelle relazioni tra Germania e Usa, che prima del conflitto – e anche dopo per alcune tematiche come l’invio di carri armati di fabbricazione occidentale all’Ucraina – non erano di certo idilliache.
Berlino si è più volte scontrata con Washington, con un parossismo ai tempi dell’amministrazione Trump, sia per via della questione legata alle spese per la Difesa (il famoso 2% del Pil stabilito al vertice Nato in Galles del 2014), sia per via della Ostpolitik tedesca, o meglio di quel che ne resta.
Non è un mistero che il legame principale che connette(va) la Germania con la Russia fosse di tipo energetico: Berlino era il più grande importatore di idrocarburi russi in Europa, tanto da avere avuto la necessità di raddoppiare la linea Nord Stream per proporsi stabilmente come hub gasiero dell’Europa centrale. Qualcosa che ha sempre irritato la Polonia – che, per motivi storici, vede Germania e Russia con sospetto – e gli stessi Stati Uniti, che hanno più volte cercato di tagliare questo cordone, riuscendoci, arrivando perfino a imporre il blocco della costruzione del Nord Stream 2 ai tedeschi.
In ballo, per Washington, non c’era solo la dipendenza della Germania dal gas russo, ma quella dell’intero continente europeo. Una dipendenza che andava fatta cessare per evitare di sovvenzionare le velleità militari del Cremlino coi miliardi di dollari di introiti derivanti dalla vendita degli idrocarburi all’Europa.
Del resto il 7 febbraio, meno di tre settimane prima dell’invasione russa dell’Ucraina, il presidente Biden dopo aver incontrato nel suo ufficio della Casa Bianca il cancelliere tedesco Olaf Scholz, disse durante la conferenza stampa che “se la Russia invade… non ci sarà più un Nord Stream 2. Porremo fine a tutto ciò”.
Sono stati quindi gli Stati Uniti? Avrebbero il movente, avrebbero i mezzi per farlo e perfino ne beneficerebbero economicamente – più gas di scisto Usa diretto in Europa –, ma viene da chiedersi, alla luce della discrepanza tra la direzione dell’esplosione da carica esterna e la piegatura della lamiera, se quanto clamorosamente rivelato non sia frutto di una ben costruita campagna di disinformazione russa. Non abbiamo modo, infatti, di confermare se davvero il presunto informatore della CIA sia tale, e questa notizia, diffusa proprio in questo particolare momento, è alquanto sospetta.
La tensione tra Usa e Germania si è rialzata, dopo un lungo periodo di calma, in concomitanza con la decisione di inviare i tank occidentali all’Ucraina, con Berlino che ha affermato che avrebbe intrapreso questa strada solo se Washington avesse fatto altrettanto, a quanto pare anche con toni molto accesi. Mosca, pertanto, potrebbe aver intravisto la riapertura di una frattura tra i due Paesi della Nato, di cui uno – la Germania – è il più importante su suolo europeo, ed essercisi infilata facendo diffondere questa notizia per cercare di spezzare l’unità dell’Alleanza sull’invio degli armamenti: l’unica vera possibilità che ha la Russia di vincere questo conflitto è che l’Occidente, in un modo o nell’altro, cessi di inviare armi all’Ucraina, soprattutto se pesanti come i carri armati o gli obici semoventi.
In guerra poi, i benefici politici (che sono strategici) hanno un peso superiore rispetto ai costi tattici come il taglio di un gasdotto i cui flussi erano già morenti prima dell’esplosione. Per cui il prezzo dell’interruzione della condotta è sicuramente da considerarsi irrisorio rispetto al beneficio di instillare dubbi nell’opinione pubblica occidentale e soprattutto alla possibilità di rompere l’unità dei due più importanti alleati della Nato.
E se fosse vero?
Se quanto raccontato dalla gola profonda a Hersh fosse vero, se gli Stati Uniti avessero realmente pianificato ed eseguito l’attentato al Nord Stream, la Germania si ritroverebbe davanti al bivio della storia. Perché, nei fatti, un attentato ad un’infrastruttura, per di più critica per la sicurezza nazionale quale è un gasdotto, è l’equivalente di una dichiarazione di guerra.
L’attacco alla rete Nord Stream, se la cabina di regia a Washington venisse mai confermata – o se a tale pista credesse Berlino –, potrebbe diventare il potenziale casus di quella zeitenwende teorizzata da Scholz sulle colonne di Foreign Affairs. Potrebbe essere rammentato come l’atto, l’ennesimo, delle guerre germano-americane, iniziate durante l’età guglielmina, proseguite col piano Morgenthau del 1945 e, da allora, mai finite – Dieselgate, Nsagate, Bayergate e la “surplusfobia” docent. Potrebbe essere raccontato dai libri di storia di domani, forse, come il catalizzatore della Weltpolitik 2.0 e del grande ritorno della Germania nella storia.
Soltanto qualche giorno prima della rivelazione di Hersh, il 5 febbraio, il procuratore generale Peter Frank dichiarava che non erano state (ancora) trovate tracce del coinvolgimento russo nel sabotaggio. È lecito chiedersi, ora, se Frank stesse semplicemente comunicando un aggiornamento sulle indagini o se, invece, stesse inviando un messaggio a qualcuno.
Se la gola profonda che ha parlato con Hersh fosse affidabile come quelle da lui incontrate nel corso della sua lunga carriera, le implicazioni sarebbero enormi. Perché non di sabotaggio di un obiettivo russo, ma di attentato ai danni di un alleato si tratterebbe. E un intero blocco, l’Occidente, sarebbe costretto a fare i conti con se stesso, nonché ad affrontare una campagna di distruzione della reputazione delle potenze rivali senza precedenti, correndo il rischio di crollare come un castello di carte.
Chi ha sabotato il Nord Stream, schiaffeggiando Mosca ma facendo sanguinare Berlino? Chi è il principale sospettato della Germania? Le risposte a queste due domande proverranno dalle briciole che Scholz seminerà lungo il suo cammino, ovvero non detti, gesti e messaggi subliminali, perché impossibilitato a lasciare i cannoni a riposo. Agli osservatori più acuti spetterà l’onere-onore di raccoglierle e di comporre il puzzle. Non quel che verrà detto, ma fatti apparentemente scollegati ed eloquenti silenzi saranno le tessere. E la semina è già iniziata, nel settembre 2022, con l’accelerazione sulla Fernostpolitik: dalla GeRussia alla GerCina. Destinazione multipolarismo.
Chi è Seymour Hersh
Classe 1937, una vita dedicata al giornalismo investigativo, Seymour Hersh è una delle penne più rinomate degli Stati Uniti. Autore di nove libri, vincitore di un premio Pulitzer nel 1970 per aver portato il mondo a conoscenza del massacro di Mỹ Lai – l’uccisione di 504 civili vietnamiti, inermi e innocenti, da parte di alcuni militari statunitensi –, Hersh è stato sempre in prima linea nella denuncia dei crimini perpetrati da Washington nei contesti bellici, aperti o segreti che fossero.
Osservatore scettico degli eventi che portarono alla violenta detronizzazione di Salvador Allende nel 1973. Megafono di gole profonde durante il Watergate. Testimone riluttante dell’invasione dell’Iraq nel 2003, al quale anonimi si rivolsero per denunciare le torture commesse dall’esercito statunitense nella prigione di Abu Ghraib. E critico della politica mediorientale di Barack Obama, i cui tentativi di convincere l’opinione pubblica domestica ad approvare un cambio di regime in Siria boicottò evidenziando debolezze e contraddizioni della narrazione sul presunto utilizzo di armi chimiche sui civili da parte della presidenza Assad. Hersh è stato, sin dagli anni Settanta, la voce della coscienza dello stato profondo degli Stati Uniti.
Mostro sacro del giornalismo di inchiesta nordamericano, i cui contatti nelle stanze dei bottoni gli hanno permesso di svelare segreti indicibili sin dai tempi di Cile ’73, Hersh è un uomo che, in virtù di una lunga carriera al servizio della verità, non andrebbe accusato a priori di essere un utile idiota. Ai posteri l’ardua sentenza.
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