Se siete di passaggio a New York, al primo piano del Museum of Modern Art (MoMA) potrete incappare fino al 5 marzo 2023 in un’installazione video particolarmente atipica. La sua stranezza non si cela tanto nella formalizzazione estetica dell’opera, quella è relativamente in linea con gli stilemi dell’arte contemporanea, quanto per un dettaglio tecnico: l’immagine è prodotta da un’intelligenza artificiale.
L’imponente proiezione di circa cinquanta metri quadrati fa parte del progetto Unsupervised, progetto che, in aperta contraddizione con il proprio titolo, fa riferimento alla cernita editoriale di un’artista di origini turche, Refik Anadol, vero artefice della produzione. A partire dall’inizio del 2021, il MoMA ha aperto infatti al creativo l’archivio di immagini del proprio catalogo, quindi Anadol ha raccolto una mole di 380.000 scatti dedicati a 180.000 differenti pezzi d’arte e ha trasformato il tutto in un qualcosa di diverso, filtrandolo attraverso gli “occhi” di una macchina.
Unsupervised fa parte della serie Machine Hallucinations e si struttura su di un paradigma filosofico diametralmente opposto a quello adottato dai generatori di immagini che stanno rapidamente prendendo piede nel mondo. Se strumenti quali Midjourney e il DALL-E producono illustrazioni facendo affidamento a valori considerati attigui, l’IA affinata da Anadol lavora imponendo relazioni che si muovono per contenuti “avversi”. In altre parole, al posto di perseguire la verosimiglianza e la prevedibilità di un risultato finito, Unsupervised confida in qualcosa di più caotico e che nasce dalla discrezionalità di ciò che l’algoritmo identifica come “dato plausibile”.
A dire del MoMA, l’opera interiorizza inoltre a suo modo lo spazio che abita. Il processo evolutivo che la alimenta interagisce con la luminosità dell’ambiente, coi rumori e con il movimento interno alla stanza, con il risultato che l’esperienza assume la portata di un vero e proprio happening in cui non sarà mai possibile vivere due volte le stesse immagini. La creatura di Anadol sovverte innegabilmente le regole imposte dalle aziende nella generazione automatica di immagini, tuttavia Unsupervised fa nondimeno uso di un’intelligenza artificiale e la sua inclusione all’interno del MoMA non può che istituzionalizzare formalmente il ruolo delle IA nella creazione della cosiddetta “arte alta”.
Attingere a un archivio di immagini per produrre un’opera originale non è certamente un approccio innovativo – si pensi al collage –, tuttavia la semplificazione semi-automatizzata garantita dalla tecnologia odierna ha sollevato nell’opinione pubblica reazioni profondamente divergenti. A quanto pare, il mondo museale d’alto profilo ha dichiarato la sua posizione sul tema, tuttavia è difficile credere che questa “canonizzazione” possa tradursi nella tanto lamentata morte dell’arte tradizionale. Volendo puntare su di un parallelismo, basta ricordare che poco più di un anno fa la casa d’aste Christie’s aveva abbracciato la moda degli NFT piazzando per 69 milioni di dollari un’opera digitale dell’artista noto come Beeple, eppure la criptoarte è rimasta marginale nell’ecosistema delle arti, anzi la sua espansione si è affievolita con il passare del tempo. Le IA, al pari di un pennello o una macchina fotografica, non sono che uno strumento, il valore autoriale emerge dalla progettualità che sta a monte e difficilmente questa potrà essere sostituita da un sistema di machine learning sviluppato da un’azienda tecnologica.
FONTE: https://www.lindipendente.online/2022/11/22/unintelligenza-artificiale-debutta-al-moma-di-new-york/
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