Nel settembre 2021 l’autorevole Bloomberg sottolineava come la crisi energetica fosse una priorità importante per l’Europa e i rincari di gas naturale e elettricità potevano cagionare un danno alla ripresa post-Covid; dopo la fase più dura della pandemia la carenza di determinati componenti strategici per le imprese e l’aumento del prezzo delle materie prime fondamentali per costruzioni, edilizia, manifattura sono giunte a sommarsi alla corsa delle materie prime energetiche nel perturbare uno scenario già teso, facendo volare l’inflazione e aumentare l’incertezza. Ma nel Vecchio Continente i decisori apparivano in preda al sonnambulismo.
Il brusco risveglio europeo
“Mentre il resto del mondo parlava l’Europa ha agito e ce l’ha fatta”, dichiarava trionfante la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, aggiungendo che “la crescita zona euro ha superato America e Cina“. Il 28 settembre la governatrice della Banca Centrale Europea Christine Lagarde del resto ammonì che la “politica monetaria deve guardare oltre l’inflazione” di cui si parlava ai tempi come di un problema temporaneo. Ai tempi si parlava ancora di “inflazione temporanea” mentre il target Bce del 2% veniva superato nell’Eurozona, che presentava un’inflazione al 3%.
Un anno dopo, l’Europa si trova ad affrontare la tempesta energetica rafforzata dalla guerra russo-ucraina in un contesto in cui l’inflazione ha superato il 9% su scala continentale, la Bce ha dovuto operare inefficaci ritirate e rincari dei tassi, i Paesi del Vecchio Continente bruciano miliardi di euro per contrastare gli aumenti delle bollette e la sovranità energetica e l’indipendenza stessa del sistema produttivo sono messe a repentaglio.
La sottovalutazione di fine 2021 ha avuto come conseguenza il sonnambulismo dell’Unione Europea di inizio 2022 e la reazione, spesso decisa ma mai coordinata fino in fondo, dei Paesi membri che hanno agito di fronte alla crisi russo-ucraina sul fronte più evidente, modificando i loro mix energetici per ridurre la dipendenza dal gas russo e tamponando gli effetti dell’inflazione sui cittadini e le fasce più fragili.
L’assenza di una risposta comune europea
Leader come Mario Draghi e Olaf Scholz hanno cercato e spesso ottenuto nuove fonti energetiche; Emmanuel Macron in Francia ha ri-nazionalizzato Edf, l’Enel transalpina, e rilanciato il nucleare; molti Paesi, dalla Polonia alla Grecia, puntano sul Gas naturale liquefatto; Bruxelles, in quest’ottica, ha sanzionato le fonti energetiche russe ma, eccezion fatta per il piano RePower Eu, non ha dato una risposta concreta ai problemi sorti già da prima dell’invasione russa dell’Ucraina.
In tal senso il discorso pronunciato da Ursula von der Leyen al Parlamento europeo nella giornata del 5 ottobre è parso una manifestazione esplicita del fatto che a mancare sia stata, negli scorsi mesi, la volontà politica. La von der Leyen ha elencato una serie di misure decisamente ragionevoli, ma lo ha fatto forse troppo tardi per arginare il combinato disposto tra incertezza politica, problematiche di mercato e questioni securitarie che ha messo l’Europa sotto il fuoco della speculazione finanziaria, dell’insicurezza sui rifornimenti e dell’incertezza finanziaria.
L’ex Ministro della Difesa di Angela Merkel ha esposto, correttamente, la necessità di non affidare unicamente al paniere Ttf di Amsterdam la quotazione dei prezzi europei del gas; ha avanzato, a quasi quattro mesi da quando Draghi ha messo il tema sul tavolo, l’opzione ufficiale di normare il prezzo del gas e all’estensione dell’opzione concessa a Spagna e Portogallo sul calmiere del gas necessario a generare elettricità; ha posto sul tavolo la sicurezza dei gasdotti come questione di comune interesse europeo; ha chiesto al Consiglio Europeo di aprire a un piano di acquisti comuni di gas e a trattative per contratti a lungo termine di fornitura con partner affidabili, conscia che nemmeno Paesi affini all’Ue come la Norvegia faranno sconti.
Un anno di decisioni rimandate
In sostanza, ha elencato tutto quello che poteva esser fatto nell’ultimo anno e non è stato compiuto. La finestra di opportunità più utile, quella dell’inizio del conflitto, è stata mancata. Ad esempio Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, ha spiegato che sul tetto ai prezzi si è andati troppo in là: “Oggi, i venditori farebbero fatica a spiegare ai propri Stati perché accettino un tetto al prezzo dopo che ha superato quota 300 euro”, evidenzia Tabarelli parlando al Corriere della Sera. Si parla molto di azioni di carattere tecnico -giuridico come il tetto al prezzo o le tasse sugli extraprofitti, ma il tema sono le quantità – osserva – Serve più gas, l’Europa dovrebbe aumentare la produzione”.
Né in quest’ottica è stata fatta fino ad ora una riflessione seria sul futuro del Ttf. Le autorità europee hanno minimizzato nei mesi scorsi la loro capacità di intervenire nei mercati dei derivati energetici della regione per aiutare le società energetiche in difficoltà dopo aver ammesso privatamente che la volatilità dei prezzi dell’energia non era dovuta al “malfunzionamento del mercato“. La Commissione europea ha affermato che lo stress in mercati come i futures sull’elettricità “sembra riflettere l’acuta incertezza sui fondamentali del mercato” come la domanda e l’offerta, mancando totalmente di cogliere il nesso tra l’effetto delle aspettative e la struttura del mercato secondario dell’elettricità. Ora per bocca della von der Leyen fa dietrofront e annuncia che il Ttf va cambiato perché l’Europa, importando più gas naturale liquefatto, ha un mercato assai diverso rispetto all’era pre-24 febbraio.
Al contempo, anche Lagarde e Bce ci hanno messo del loro sottolineando con un’azione volta unicamente al contenimento dell’inflazione tramite aumenti graduali dei tassi di non riuscire a distinguere tra inflazione per surriscaldamento della domanda, contenibile con la stretta monetaria, e inflazione da stress dell’offerta, come è stata in un’Europa assetata di energia. Il risultato è stato togliere ulteriori spazi di manovra ai bilanci fiscali dei Paesi membri che hanno però rappresentato l’unica vera trincea di azione contro la crisi energetica.
Palla agli Stati
Si può, in quest’ottica, biasimare il piano tedesco da 200 miliardi di euro di fronte a tale inazione? Risulta difficile, così come risulta difficile pensare che un futuro esecutivo italiano non debba fare qualcosa di simile dopo il suo esordio per raffreddare sul fronte interno la crisi dei prezzi. L’Ue non ha agito prima che i buoi uscissero dalla stalla e ora deve governare una situazione volatile sul fronte energetico mettendo sul campo una serie di proposte che dividono i Paesi mentre si è chiusa la finestra di opportunità per far rientrare ogni spigolatura: da quella dell’Ungheria di Viktor Orban sull’embargo al gas russo a quella dell’Olanda di Mark Rutte sul ridimensionamento del Ttf, passando per i dubbi della Germania sul tetto europeo al gas e lo scontro falchi-colombe riapertosi in Europa sulle regole di bilancio. L’Ue ha scelto, su questo fronte, di essere più debole per precisa scelta. E ora si trova divisa e impossibilitata a scegliere tra tante priorità su cui è difficile costruire un consenso politico dopo mesi di inazione. Facendo, in quest’ottica, di fatto il gioco di Vladimir Putin.
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