Quando si parla di socialismo libertario non ci si riferisce a un movimento ben connotato storicamente e dai contorni precisi né tantomeno a un partito o a un gruppo di partiti politicamente definiti e rappresentati quanto piuttosto a un movimento in cui sono confluite aspirazioni, idee, spinte e azioni antagonistiche rispetto al sistema provenienti da un’area ideologica di matrice anticapitalista ma non marxista-leninista, del socialismo estremo e radicale e dell’anarchismo, con il quale spesso il termine libertarismo non solo viene accomunato ma anche identificato.
Il socialismo libertario è indicato infatti anche come socialismo autogestionario o libertarismo sociale e in vari paesi lo si definisce tout court come socialismo anarchico o anarco-socialismo, essendo i fondamenti del pensiero che lo orienta basati, oltre che sulla ricerca della giustizia sociale che costituisce l’anima di tutte le correnti del pensiero socialista, sulla componente essenziale del libertarismo.
Una prima sommaria quanto estremamente riduttiva definizione di quest’ultimo può essere ricondotta al comune riconoscimento del principio valido in assoluto per il quale ogni individuo, senza nulla togliere alla libertà degli altri, ha diritto ad essere totalmente libero di organizzare autonomamente la propria esistenza secondo i propri desideri e senza condizionamenti derivanti da autorità che impongano costrizioni e vincoli di natura politica, sociale, morale e religiose
1.
Come scrive Chomsky, uno dei maggiori esponenti del socialismo libertario contemporaneo, quando riguardo all’anarchismo afferma che sarebbe inutile tentare di unificare tutte le tendenze contrastanti che lo hanno animato e lo animano in una qualche ideologia o teoria generale, così per il socialismo libertario va sottolineato che quando se ne parla si fa riferimento a un pluralismo di voci e di pratiche che vanno facendosi man mano, senza che lo si consideri un fatto concluso, anche perché, proprio come l’anarchismo, per esprimerci ancora una volta nei termini del poliedrico intellettuale della sinistra ultraradicale, esso non costituisce una visione sociale definita una volta per tutte, quanto piuttosto l’affermazione di un modo di essere e di uno sviluppo storico dell’umanità che lotta per la libera espressione delle forze individuali e sociali della vita, ponendosi in antagonismo alle costrizioni che sotto varie forme derivano da tutte le istituzioni ufficiali
2.
Un’analisi più approfondita delle idee che sottostanno al socialismo libertario deve tener conto del fatto che esso è un fenomeno complesso, in cui talvolta possono convivere anche elementi contraddittori, ma nel quale esistono alcune costanti fondamentali e irrinunciabili, che coincidono spesso con quelle dell’anarchismo, a cui molti dei suoi esponenti, tra cui Foucault, Onfray e lo stesso Chomsky, per fare solo i nomi più conosciuti, fanno esplicito riferimento, usando spesso in maniera equivalente i due termini.
Le radici del socialismo libertario
Il socialismo libertario non è tanto e soltanto un insieme di teorie interpretative della realtà dovute alla riflessione di intellettuali e filosofi, per quanto essi vi svolgano un ruolo chiave. Esso è un fenomeno legato all’azione e alla volontà di cambiare il mondo, essendo nato dalla lotta diretta dei lavoratori contro il capitalismo, dalla ribellione alle imposizioni delle élites dominanti, dai bisogni reali e dalle aspirazioni degli individui e delle masse lavoratrici all’uguaglianza e alla libertà che passano attraverso pratiche anti-autoritarie d’ispirazione socialista, ma di un socialismo che rifiuta il potere statale centralizzato, così come il controllo che esso esercita sull’’economia, non riconoscendo allo stato diritto di esistenza se non in situazioni ben determinate.
I socialisti libertari criticano lo sfruttamento del lavoro salariato, sostenendo l’autogestione dei lavoratori e le strutture decentrate di organizzazione politica.
Essi credono che una società basata sulla libertà e la giustizia possa essere raggiunta solo attraverso l’abolizione delle istituzioni autoritarie che controllano i mezzi di produzione e l’eliminazione delle élites politiche ed economiche, sostenendo invece la validità di strutture decentrate basate sulla democrazia diretta e sull’associazionismo federale o confederale.
Tra le altre costanti vi è il fatto essenziale che, proprio come il suo antenato o alter ego che dir si voglia, l’anarchismo, il socialismo libertario prende in considerazione non solo gli elementi politici o economici della realtà sociale, ma anche quelli individuali dell’esistenza, avendo una visione globale di tutto ciò che la riguarda, compresi gli aspetti personali e relazionali, come quelli relativi alla psiche o alla sessualità, oltre a varie componenti di natura sociale, come ad esempio i meccanismi di controllo che passano attraverso il sapere e le varie istituzioni in cui il potere si concretizza, di cui si darà conto nel seguito del lavoro.
Quanto alle origini storiche di un orientamento di tipo libertario, secondo vari autori, tra cui, oltre al nostro Pietro Adamo
3, Roderick T. Long, cui si devono diverse pubblicazioni sull’anarchismo nonché la partecipazione alla redazione del Journal of Libertarian Studies, esse si potrebbero già intravvedere nel movimento dei Diggers britannici del XVII secolo guidati da Gérard Winstanley, singolare figura di profeta- intellettuale- lavoratore
4. I Diggers infatti, fatta salva la forte componente di natura religiosa che li ispirava e che viene invece respinta dall’odierno socialismo libertario, furono accesi sostenitori della rivolta contro il sistema di sfruttamento degli agricoltori inglesi privi di terre da coltivare in nome di un comunismo assoluto nella distribuzione dei beni e del potere decisionale, nonché della realizzazione di relazioni paritarie tra individui, compresa quella riguardante il rapporto di uguaglianza fra uomini e donne.
A questo punto non si può comunque ignorare il debito che a loro volta i Diggers, ebbero nei confronti del comunismo rurale di Thomas Müntzer nella Germania del XV secolo.
Lo stesso Long, insieme ad altri autori, per quanto riguarda il XVII secolo mette in luce il rapporto di stretta parentela dei socialisti libertari con l’illuminista inglese William Godwin, autore di An Enquiry Concerning Political Justice, considerato da molti (già a partire dai russi Kropotkin e Tolstoj) un precursore dell’anarchismo, per l’intuizione della dicotomia esistente tra la società, naturale e buona, e il governo che rappresenta lo stato, forma di dominio e di controllo artificiosa sorta non precisamente con intenti benefici quanto repressivi in un’epoca di immaturità della mente umana, che continua a sopravvivere soltanto in virtù della coercizione che esercita, al di là delle diverse giustificazioni più o meno razionali che si è dato.
Evidente poi la stretta relazione tra le idee libertarie e quelle degli illuministi francesi del XVIII secolo, Rousseau in testa.
L’opera di Joseph Proudhon
Nell’Ottocento fondamentale per la formazione del pensiero libertario fu l’apporto di Pierre Joseph Proudhon, il primo intellettuale a definirsi “anarchico”, il quale, nelle sue varie opere e soprattutto in Qu’est-ce que la propriété teorizzò una forma di socialismo antiborghese, rifiutando la presenza dello stato, considerato un’istituzione assurda, finalizzata soltanto allo sfruttamento del lavoro altrui da parte di istituzioni elitarie. Egli negava ogni tipo di autorità al di sopra dell’individuo, compresa quella religiosa, considerata alla stessa stregua di quella politica ed economica, cioè forme di costrizione illegittime di un potere innaturale.
Proudhon, convinto com’era che nella società agisca una legge naturale d’equilibrio, riteneva l’autorità una pregiudiziale negativa per l’ordine, non una sua regolatrice positiva, ribaltando, oltre alla visione contrattualistica di matrice hobbesiana dello stato come forma di tutela della società, le accuse rivolte all’epoca agli anarchici, sostanzialmente le stesse che verranno loro attribuite negli anni seguenti e ritorcendole contro i sostenitori del principio autoritario e dell’ordine statuale.
Con Proudhon, che in Che cos’è la proprietà definiva l’anarchia “una forma di governo o di costituzione nella quale la coscienza pubblica e privata, formata dallo sviluppo della scienza e del diritto, basta da sola a mantenere l’ordine ed a garantire tutte le libertà”, inizia una visione positiva dell’anarchismo, capace di dare un’interpretazione del mondo e indicazioni per le modalità in cui viverlo secondo criteri dotati di un’etica politica.
Un evidente fil rouge collega dunque il socialismo libertario all’anarchismo di fine Ottocento e inizi Novecento, se è vero quanto affermato anche dall’economista americano radicale Robin Hanel, per il quale la massima incidenza del socialismo libertario si ebbe proprio in quel periodo, con un prolungamento esteso in seguito fino alla soglia degli anni Quaranta. Lo studioso della nuova sinistra americana afferma infatti che all’inizio del XX secolo il socialismo libertario costituiva una forza altrettanto potente quanto la socialdemocrazia e il comunismo e che l’Internazionale libertaria fondata con il Congresso di Saint Imier poco dopo la rottura tra marxisti e libertari al Congresso dell’Internazionale Socialista dell’Aia nel 1872 lottò con successo per più di cinquant’anni contro socialdemocratici e comunisti per conquistare la fiducia degli attivisti anticapitalisti, dei rivoluzionari, dei lavoratori e dei membri di sindacati e partiti politici. Per l’economista e uomo politico i socialisti libertari ebbero un ruolo fondamentale nella Rivoluzione messicana del 1911. Inoltre, secondo i risultati delle sue ricerche, vent’anni dopo la fine della Prima Guerra Mondiale essi erano ancora forti, al punto da poter avere un ruolo chiave nella Rivoluzione sociale avvenuta in Spagna nel 1936-1937, a suo avviso la rivoluzione anticapitalistica di maggior successo nelle economie industriali occidentali
5.
Declino e rinascita
Le fortune del socialismo libertario, come quelle dell’anarchismo, conobbero dagli anni quaranta del Novecento una battuta d’arresto, dovuta oltre che alle vicende belliche della seconda guerra mondiale anche a una sua errata identificazione con il marxismo stalinista che portò a un’ulteriore messa al bando del movimento.
Al di là delle voci autorevoli dei singoli intellettuali militanti di cui mi occuperò qui di seguito, saranno gli anni ’60 del Novecento a segnare una rinascita su scala diffusa di idee libertarie.
Precedute da quell’incubatrice dell’opposizione all’establishment che fu negli anni ‘50 la Beat Generation americana con il suo senso profondo di disagio e di rifiuto dei tradizionali valori borghesi unitamente a tutta la galassia dei movimenti per i diritti civili che animava in quel periodo la società degli States, le nuove idee di antiautoritarismo e di libertà troveranno un’espressione di notevole diffusione dapprima nella controcultura, per quanto naïve e non politicamente determinata, del movimento hippy portatore di idee e di valori alternativi a quelli ufficiali e caratterizzati dall’insofferenza alle norme e alle convenzioni sociali, oltre che profondamente pacifisti e ispirati alla “naturalità” della vita.
Poco più tardi, sul finire del decennio, si arriverà alla vera e propria contestazione anche politica, antagonista al sistema e impegnata a combattere il potere organizzato su più fronti, da quello del sapere a quello sociale a quello istituzionale, diffusa dal movimento del ’68, il quale, divenuto ormai fenomeno mondiale, porterà una profonda ondata libertaria che farà piazza pulita di tanti falsi miti della tradizione sfociando in una rivoluzione culturale che andrà a saldarsi con il filone della protesta operaia e quindi anche con quello delle idee e della prassi del socialismo oltre che del marxismo ortodosso.
Note
- Il termine libertario, introdotto per la prima volta dallo scrittore
e militante comunista anarchico francese Joseph Déjacque in contrapposizione a
liberale nel suo pamphlet De
l’Être-Humain mâle et femelle – Lettre à P. J. Proudhon pubblicato nel 1857
a New Orleans, dove egli era riparato in esilio, venne usato per indicare un
movimento molto vicino al socialismo d’ispirazione anarchica. L’anno successivo
Déjacque ne fece la testata del giornale d’orientamento anarco-comunista da lui
pubblicato a New York, Le libertaire Journal de Mouvement Social. Libertario
passò poi nella terminologia corrente del movimento socialista europeo ad
indicare gli ideologi sostenitori di un socialismo non di stato, come ad
esempio Bakunin. - Noam Chomsky, Note sull’Anarchismo,
rielaborazione dell’introduzione all’edizione inglese di L’anarchisme: de la théorie à la pratique di Daniel Guérin,
Stamperia Occupata del Cerriglio, Napoli 2003 - P. Adamo, Il dio dei blasfemi. Anarchici e libertini nella rivoluzione
inglese, Unicopli 1993 - Roderick T. Long., "Toward a libertarian theory of class."
Social Philosophy and
Policy. Volume 15. Issue 02. Summer 1998. Pag. 310
Robin Hahnel, Economic Justice and Democracy, Routledge Press, p. 138
FONTE E ARTICOLO COMPLETO: https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/da-proudhon-a-chomsky-storia-del-socialismo-libertario/
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