Il presidente della Regione e commissario della sanità Roberto Occhiuto ha firmato un accordo con una società statale del governo di Cuba per l’invio in Calabria di 497 medici, che affiancheranno quelli locali “all’occorrenza” a partire da settembre. La misura è stata necessaria per evitare il collasso e, come sottolineato da Occhiuto, «per evitare la chiusura degli ospedali», nonché «la lesione del diritto alla cura dei cittadini». Così l’Italia, settimo Paese al mondo per industrializzazione, fa appello a uno Stato considerato povero dall’Occidente per tentare di affrontare un problema strutturale che da anni – caratterizzati da tagli e disinteresse – investe la sanità. La situazione non può far altro che spingere alla riflessione sullo stato di salute di un settore ai margini delle priorità degli esecutivi e della retorica elettorale.
«Non ci sono abbastanza medici in Italia», ha dichiarato il presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto, che ha aggiunto: «Tutte le Regioni stanno facendo di tutto per reclutare medici e non ci riescono. Questo problema è molto più grave in Calabria perché noi abbiamo un sistema sanitario poco attrattivo». Occhiuto si è poi scagliato contro il numero chiuso a Medicina – «che ha privato il nostro Paese dei medici che sarebbero necessari» –, la punta di un iceberg ben più profondo, caratterizzato da tagli, mancanza di programmazione, problemi con le specializzazioni, che negli anni ha creato il fenomeno dell'”imbuto formativo”, in cui si affollano i giovani abilitati alla professione ma impossibilitati a specializzarsi. Nel 2019, erano circa 19.000 i medici per 8.000 posti di specializzazione: chi non è riuscito ad accedervi o ha atteso un nuovo concorso o ha optato per la medicina generale o, ancora, ha scelto di emigrare, attirato da migliori condizioni lavorative. In questo contesto si inserisce la decisione di Occhiuto di ricorrere all’aiuto del governo e dei medici cubani, arrivati nel nostro Paese nei primi mesi di pandemia da Covid-19 per aiutare e istruire i colleghi italiani, forti di una preparazione da primato in materia di malattie infettive.
Una collaborazione in controtendenza con l’atteggiamento del governo italiano, che l’anno scorso ha votato contro la risoluzione A/HRC/46/L.4, presentata al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite sulle ripercussioni negative delle sanzioni economiche applicate da alcuni Paesi ad altri. Tra questi c’era anche Cuba, che da sessant’anni convive con l’embargo statunitense. Dunque, l’Italia si è schierata a sfavore della fine delle sanzioni economiche, nonostante esse si prestino a “misure coercitive unilaterali sui diritti umani”, come sottolineato in sede ONU. L’obiettivo della risoluzione era quello di sottolineare come lo sviluppo dei diritti umani non possa avvenire laddove le persone non hanno accesso a beni e servizi di prima necessità a causa delle sanzioni economiche imposte da alcuni Paesi. L’embargo non ha tuttavia impedito a Cuba di realizzare numerosi programmi di sviluppo della salute pubblica, seguendo una visione che tiene conto anche dei principi di consapevolezza e giustizia sociale, una rarità considerando come in molti Paesi occidentali le logiche del profitto rendano le cure mediche quasi un bene di lusso, piuttosto che un diritto universale.
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