Negli anni precedenti la pandemia, e con maggior insistenza dopo lo scoppio del Covid-19 e della guerra in Ucraina, la dinamica internazionale delle relazioni economiche si è fatta sempre più competitiva sia all’interno del contesto mondo che nel quadro delle tradizionali alleanze geostrategiche. Paesi come l’Italia hanno per questo motivo iniziato a temere le conseguenze di lungo periodo delle scalate straniere all’economia nazionale, dell’acquisizione di componenti pregiate del sistema economico, forti in termini di know-how e tecnologie di risorse difficilmente sostituibili, da parte di attori stranieri.
Che cos’è il golden power
Ciò è particolarmente sentito nel contesto del sistema-Paese in cui aziende spesso depositarie di brevetti o potenzialità notevoli in ambiti strategici sono afflitte da problemi di sottocapitalizzazione o debolezza finanziaria. Qualche dato aiuta a capire i termini del problema. Come riporta un’analisi realizzata da Kpmg per Industria Italiana:
“Nel decennio 2010-2019 il controvalore delle acquisizioni di industrie italiane dall’estero (40 miliardi), infatti è di gran lunga superiore alla somma delle acquisizioni di italiani all’estero (16,6 miliardi) e di italiani fra italiani (10,4 miliardi)”.
Ben sei delle prime dieci operazioni in classifica:
“Sono grandi acquisizioni di soggetti importanti da parte di multinazionali straniere: Pirelli da ChemChina (China National Chemical Corporation), Magneti Marelli da Calsonic Kansei Corporation (società giapponese attiva del settore automobilistico controllata dal fondo americano KKR), Avio spa da General Electric, Rhiag da Lkw, Ansaldo Ferroviaria da Hitachi Ltd”.
Per ovviare a questo problema negli anni il Legislatore italiano ha promosso l’ampliamento dei poteri di vigilanza speciali inizialmente rivolti alle grandi partecipate pubbliche a tutti gli attori economici che svolgono un presidio chiave per il sistema-Paese. La disciplina in questione, elaborata dal governo Monti e rafforzata dall’esecutivo Conte II in avanti, prende il nome di golden power. Introdotto dal governo Monti attraverso il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, poi sviluppatosi in una serie di leggi e regolamenti sempre più complessi, il golden power prescrive che al governo siano concessi poteri di scrutinio, interdizione, indirizzo e orientamento nelle transazioni riguardanti acquisizioni straniere di aziende operanti in settori quali la difesa e la sicurezza nazionale, nonché in taluni ambiti di attività definiti di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni.
Nel corso degli anni il perimetro ha assunto dimensioni sempre crescenti: sono state incluse al suo interno nicchie settoriali concernenti le aziende praticanti l’immagazzinamento e la gestione dei dati e le infrastrutture finanziarie; le tecnologie critiche, compresa l’intelligenza artificiale, la robotica, i semiconduttori, le tecnologie con potenziali applicazioni a doppio uso, la sicurezza in rete e la tecnologia spaziale o nucleare. Da ultimo, con la pandemia, anche banche e assicurazioni sono state ricoperte di attenzione.
Potenzialità e problemi
Vi è certamente in quest’ottica la percezione che fornire al decisore un pulsante di stop o poteri di condizionamento per transazioni ritenute a rischio possa fornire uno strumento valido al sistema-Paese in una fase in cui la competizione globale è sempre più attiva e si sente la necessità di sviluppare una “geopolitica della protezione” riscoprendo il dettame economico già caro ad Adam Smith: non esiste prosperità senza sicurezza. Una lezione ben chiara in contesti come quelli di Stati Uniti, Cina, Regno Unito, Francia, Germania.
D’altro canto, se è vero che il Golden Power nasce come strumento per scongiurare razzie economiche ai danni dell’economia italiana, è altrettanto vero che il suo esercizio dovrebbe essere utilizzato con parsimonia. Ci troviamo così di fronte a un dilemma quasi paradossale: considerare tutte le aziende italiane strategiche può lasciare presupporre che niente sia davvero strategico. Analizzato da questa prospettiva, il Golden Power, ovvero la coperta che dovrebbe proteggere i campioni nazionali dalle gelide correnti provenienti dall’estero, rischia di trasformarsi in un cappio letale o, peggio ancora, nella pietra tombale sopra i sogni di gloria di imprese particolarmente coraggiose e desiderose di competere in campo internazionale.
Sia chiaro: è quanto mai doveroso che uno Stato individui e protegga tutte quelle aziende che, in base al periodo storico, considera determinanti ai fini dell’interesse nazionale. Tuttavia, schermare semplicemente queste aziende da più o meno ipotetiche scalate ostili – presupponendo che ogni scalata sia ostile – rischia talvolta di bloccare la loro crescita. Facciamo un esempio concreto per capire meglio il suddetto dilemma. Un’azienda privata X, attiva in Italia nel campo della ricerca scientifica e nella salute pubblica, decide di incrementare le proprie attività. In seguito alla pandemia, la richiesta di testare nuovi vaccini anti Covid e cercarne altri più semplici – magari da assumere per via orale o nasale, anziché attraverso una o più punture – ha spinto la nostra azienda ad assumere nuovi professionisti.
Considerando che l’Italia ha un numero estremamente limitato di campioni del genere, con il passare dei mesi il nome dell’impresa inizia a farsi strada ai piani alti dell’esecutivo. Cresce la sua notorietà, ma cresce anche il suo valore economico. Da azienda quasi locale e semi sconosciuta, inizia così ad essere apprezzata anche a livello nazionale e perfino internazionale. Il personale raddoppia, poi triplica. Il governo non può che essere felice di avere sul proprio territorio un “campione” di questo stampo. Da Roma arriva quindi la decisione di mettere l’impresa sotto Golden Power. Dato che è uno dei pochissimi centri attivi in un campo strategico come quello vaccinale, le autorità decidono di proteggere l’azienda X da possibili scalate ostili.
Questo però può entrare in conflitto con le priorità del diretto interessato. A maggior ragione quando alla sua porta iniziano a bussare grandi investitori stranieri. Russi, arabi, indiani, cinesi, tutti pronti ad acquistare la sua azienda pagando il doppio – se non il triplo – del valore di mercato che nel frattempo ha raggiunto la struttura. L’imprenditore sarebbe pure disposto a cedere l’attività se non fosse che il Golden Power glielo impedisce tassativamente, a meno di un via libera proveniente dall’alto.
Tra paure e nuove possibilità
Il nostro imprenditore si ritrova quindi bloccato e magari pure con in mano un bel pugno di mosche. Una volta che nasceranno altre aziende simili alla sua, una volta che la pandemia non sarà più in cima all’agenda internazionale, la strategicità di quell’impresa andrà lentamente a scemare, così come il suo valore di mercato. Morale della favola: il fondatore dell’innovativa azienda X è stato costretto a rinunciare a un guadagno di tutto rispetto per il bene dell’interesse nazionale, senza però che nessuno sia stato in grado di fornirgli neppure un magrissimo premio di consolazione. Per evitare che accadano storie simili, è fondamentale che l’Italia inizi a supportare le aziende strategiche “dalla culla alla tomba”, e non soltanto in fase iniziale, ovvero quando le autorità definiscono un’impresa come strategica e iniziano a difenderla da scalate ostili provenienti dall’estero. Senza un piano strutturale capace di fornire a quell’azienda tutto il supporto necessario per continuare a investire in Italia, c’è il rischio che la supposta difesa venga percepita dall’imprenditore diretto interessato come una sorta di spada di Damocle. Insomma, un peso da portare sulle spalle più che un privilegio da sbandierare con onore.
È ovvio che i settori più strategici dell’economia italiana – e in generale di ciascun Paese – debbano rientrare senza troppi sofismi sotto l’ala del Golden Power. Ma è anche importante interrogarsi sulle modalità di questa protezione, perché proteggere da scalate ostili non dovrebbe impedire agli imprenditori di poter vendere legittimamente le aziende da loro ideate a prezzi maggiorati. Il governo non vuole che cinesi o russi mettano le mani sull’azienda X offrendo il doppio del suo prezzo di mercato? Per salvaguardare il proprio campione economico il governo potrebbe sì respingere l’assalto straniero ma, allo stesso tempo, assicurare all’imprenditore o al fondatore dell’impresa risorse e tutele altrettanto adeguate. Soltanto così l’Italia potrà veramente iniziare a competere con le grandi potenze economiche e industriali dell’Europa (e non solo).
Il golden power e lo “Stato stratega”
Questa problematica è stata notata anche da un fine conoscitore delle dinamiche geostrategiche continentali come l’onorevole Alberto Pagani, studioso dei servizi segreti e capogruppo del Partito Democratico in Commissione Difesa, che a Notizie Geopolitiche ha commentato:
“Il solo strumento del golden power non protegge a sufficienza il sistema Paese. Abbiamo bisogno di capacità di intelligence economica con missione proattiva, non solamente informatica e difensiva. Questo lo dobbiamo imparare dei francesi, che fanno sistema ed hanno una strategia nazionale più solida della nostra”.
In quest’ottica, è logico pensare al golden power come alla norma abilitante per permettere allo Stato di capire ove presidiare maggiormente l’economia per fare, con discrezione, una politica industriale volta a unire processi di difesa dell’interesse nazionale a legittime tutele dell’accrescimento dell’impresa privata. Ora più che mai appare chiaro che la politica industriale sia da pensare come una questione sistemica.
Essa, come fatto notare su Econopoly, è:
“Un terreno d’azione in cui lo Stato è chiamato a prendere consapevolezza della natura competitiva delle relazioni economiche globali nell’era internazionale, a cogliere l’evoluzione delle catene del valore e della produzione su scala globale, a creare le condizioni per far sì che l’Italia possa inserirsi nel loro sviluppo, coglierne i migliori frutti in termini di crescita economica e relazioni commerciali”.
A farsi da Stato-imprenditore (come nella Prima Repubblica) o Stato-regolatore (come dagli Anni Novanta ad oggi) a Stato-stratega, capace di proteggere il sistema economico e di segnalare il suo sostegno alle iniziative di tutela dell’interesse pubblico. In quest’ottica, il golden power è come la fondamentale squadriglia navale che scorta la portaerei nerbo di una flotta: l’assicurazione sulla sua tenuta, la garanzia della sua protezione ai fianchi, la garanzia della sua capacità di operare attivamente. Altra soluzione non c’è: il golden power, isolato, può essere un simbolo di debolezza da parte dello Stato. In un contesto più ampio, contribuisce al benessere e alla sicurezza del Paese nel contesto internazionale. Purché si sappia che è un potere da maneggiare con cura nel più ampio quadro dell’intelligence economica.
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