La sovranità è nulla senza la potenza. Emmanuel Macron lo va capendo mese dopo mese. Se Parigi saprà portare il suo potenziale militare e industriale a sostegno di progetti concreti di difesa europea capaci di coinvolgere tutta l’Europa e guardare al Mediterraneo come ad uno spazio strategico europeo, e non solamente atlantico, l’autonomia potrà farsi sovranità. Il caso della mediazione e dell’attivismo dell’Eliseo nella crisi russo-ucraina lo testimoniano.
Com’è noto, il senso francese dello Stato e la consistente ricerca francese di una proiezione economica, diplomatica, militare e geopolitica negli scenari di riferimento della République hanno portato la Francia, durante i decenni della Quinta Repubblica, a costruire la più autonoma delle strategie politiche nel contesto europeo. Strategia molto spesso spregiudicata (come testimoniato soprattutto dagli interventi in terra africana ben descritti da Emanuel Pietrobon ne L’arte della guerra segreta,), garantita dall’assicurazione sulla vita della force de frappe, l’arsenale nucleare nazionale, e che ha avuto nel “padre” della Quinta Repubblica, il generale Charles de Gaulle, il suo principale ispiratore.
Dopo anni di appannamento durante i governi di Nicolas Sarkozy e François Hollande, il presidente francese Emmanuel Macron ha pensato di ricollegarsi alla tradizione del “monarca repubblicano”, con cui il capo dello Stato si è identificato da De Gaulle in avanti, e di avviare un graduale aggiornamento della tradizionale dottrina geopolitica e geoeconomica del Paese negletta dai suoi predecessori. Da Sarkozy in primis, perché ne ha fatto venire meno un presupposto, l’autonomia dei comandi militari francesi dalle strutture Nato, in cui Parigi è ritornata nel 2009 mettendo troppo plasticamente in mostra la spregiudicatezza della proiezione nazionale transalpina con la problematica avventura bellica in Libia. Da Hollande, in seguito, per la plateale desacralizzazione del ruolo presidenziale, per la torsione economicista del Presidente che non ha saputo costruire un disegno politico complementare a quello tedesco di Angela Merkel in Europa, per la crisi sistemica degli apparati che nella sua era ha iniziato a palesarsi.
È per questo che si può parlare di una “dottrina Macron”, ovvero di un contributo dato da Macron alla riscoperta in chiave moderna delle linee guida della politica di potenza della Francia repubblicana; di un approccio sistemico da parte della Francia alla competizione internazionale; dell’individuazione da parte del decisore politico di precise macroaree definite cruciali per l’elaborazione della strategia nazionale francese. E anche di un protagonismo personale del monarca repubblicano: la lunga sequela di contatti e confronti con Vladimir Putin di queste settimane e il tentativo di colmare il grande vuoto lasciato in Europa da Angela Merkel lo testimoniano.
C’è una profonda contraddizione nell’uomo e nel presidente Macron. Lontano anni luce dalla crassa ignoranza politica di un Sarkozy o dall’apatica assenza di visione di un Hollande, il più giovane presidente della Quinta Repubblica è stato tuttavia a lungo un personaggio ibrido. Avendo alternato, in patria, riforme “liberiste” sul tema di lavoro e pensioni, ingenue politiche verdi che hanno incendiato la rabbia della popolazione che temeva di vedere scaricato su di sé il peso della transizione ecologica e, da ultimo, goffe politiche di contrasto all’islamismo politico dal vago sentore occidentalista e neoconservatore, Macron sul fronte interno ha provato a essere trasversale, a sfuggire a categorizzazioni di sorta, con il risultato di inimicarsi una grossa fetta dell’opinione pubblica. In seguito alla pandemia, il presidente ha preso la rotta verso un approccio più vicino ai cardini del nazionalismo economico francese, analizzato autonomia industriale e transizione energetica in ottica complementare col piano “France Relance”, da ultimo inseguito lo spostamento a destra dell’opinione pubblica francese in una misura che i sondaggi, a poche settimane dal voto sull’Eliseo, hanno dimostrato premiante. Questo trasformismo si scontra con una visione delle relazioni internazionali che è sempre stata, al confronto, più coerente e strategica.
Vero e proprio “manifesto” di questa visione è stata l’intervista concessa nel novembre 2020 dal presidente alla rivista di geopolitica francese Le Grand Continent,che proprio alla cosiddetta “dottrina Macron” è stata dedicata. Macron ha toccato un’ampia gamma di questioni, dal futuro dell’Unione Europea alla Nato, dal rapporto tra Francia ed Africa ai cambiamenti climatici, sicché dalle parole dell’ampia intervista si può cogliere nella sua complessità il contributo politico dato dall’attuale presidente alla strategia dell’Esagono. Macron ha ben chiara l’idea che nei decenni a venire l’Europa dovrà costruire spazi di autonomia strategica nel contesto della “Nuova guerra fredda” tra Cina e Stati Uniti e che per il controllo francese di questi processi passa l’interesse nazionale di Parigi. “Se cerco di guardare oltre il breve termine, – ha dichiarato – direi che dobbiamo avere due assi forti: ritrovare le modalità per una cooperazione internazionale utile che eviti la guerra, ma che consenta di rispondere alle sfide contemporanee; costruire un’Europa molto più forte, che possa far valere la sua voce, la sua forza, mantenendo i suoi principi, in uno scenario così rifondato”.
Relativamente a questa stella polare si declinano tutte le strategie approfondite elaborate da Parigi. Se estremamente complessa sembra essere la partita della difesa comune europea, contrastata sia dall’ascesa dei Paesi filoatlantici dell’Est sia dalla rendita di posizione di Washington nel Vecchio Continente, e lontana la definitiva “morte cerebrale” della Nato di cui Macron ha parlato nel 2019, a Le Grand Continent Macron ha citato esplicitamente la sovranità europea nel contesto delle nuove tecnologie: “Avanziamo nel campo dell’autonomia tecnologica e strategica, mentre tutti erano rimasti sorpresi quando ho iniziato a parlare di sovranità sul 5G. Quindi, prima di tutto, c’è un lavoro ideologico da fare, ed è urgente. Si tratta di pensare in termini di sovranità europea e di autonomia strategica, in modo da poter contare da soli e non diventare il vassallo di questa o quella potenza senza avere più voce in capitolo”.
Parliamo di un discorso cruciale. La pandemia ha accelerato il percorso comune di Emmanuel Macron e Angela Merkel verso la definizione di strategie di lungo periodo per la costruzione degli assi portanti di un primo progetto di sovranità tecnologica e digitale europea, pensata sia come alternativa alla penetrazione cinese sia come contraltare al dominante potere d’influenza dei giganti del digitale. Francia e Germania hanno promosso nell’ultimo anno l’ascesa e l’avvio di Gaia-X, il progetto di una piattaforma europea di cloud computing, che nell’immediato non sarà completamente indipendente da Google, Amazon, Microsoft e gli altri oligopolisti statunitensi del mercato dei dati, forti di una rendita costruita nel corso di decenni, ma ha lanciato la volontà europea di partecipare alla definizione della corsa verso le nuove frontiere tecnologiche globali. Gaia-X, descritto dai governi francese e tedesco come un “abilitatore di piattaforme” completamente armato di tecnologie europee, punta a garantire la costituzione di una crescente potenza di calcolo e lo sviluppo da parte di operatori del Vecchio Continente delle infrastrutture digitali e fisiche volti a garantire gestione, protezione, stoccaggio e sfruttamento economico dei dati.
Al contempo, la crisi tra Russia e Ucraina, deflagrata poco dopo il cambio della guardia a Berlino tra la Merkel e Olaf Scholz, ha permesso un’accelerazione del dibattito sul futuro della Difesa comune europea, tanto che Emmanuel Macron ha posto la sua figura al centro dei tavoli negoziali e da tempo sul fronte interno ha anticipato le tendenze che la Germania e altri Paesi hanno seguito solo ora. La dottrina militare francese proposta dal presidente a inizio 2021 sembrava in effetti prevedere con chiarezza gli scenari competitivi animati oggi dalla guerra a Est. Inoltre, va sottolineato come il capo di Stato dell’Esagono dopo l’ascesa all’Eliseo nel 2017 ha accelerato il potenziamento dell’apparato militare transalpino e dato il via alla nuova corsa alle armi in Europa. Come ricordato su Inside Over, “l’amministrazione Macron in Francia ha dettato la linea incrementando di circa un quarto del suo valore il budget della Difesa e facendo rispettare in anticipo al suo governo i piani del documento programmatico 2019-2025 per portare tra il 2020 e il 2021 oltre il 2% prescritto dagli accordi Nato la spesa militare in rapporto al Pil. Secondo il Military Balance dell’ International Institute for Strategic Studies la spesa di Parigi nel 2021 è stata di circa 53,7 miliardi di euro, in crescita di 6 miliardi rispetto al 2020 e di 7,9 miliardi rispetto al periodo pre-pandemia”.
Mettendo sul campo la saldatura tra la visione di Parigi e quella europea con l’intervento decisivo del Commissario all’Industria Thierry Breton sul fronte dell’autonomia tecnologica europea e saldando con Paesi come Italia e Germania importanti cooperazioni militari e industriali. In entrambi i casi la Francia punta a sfruttare la partita per l’autonomia militare e tecnologica europea come moltiplicatore di potenza politica e come volano per lo sviluppo della sua industria e del suo potenziale produttivo.
Una tale logica è applicata anche ai piani per la transizione ecologica, contenuti nel piano da 100 miliardi di euro “France Relance”, con cui il governo di Parigi intende dare profondità alle sue strategie di lungo periodo per la ripresa dopo la pandemia. Il presidente ha fatto il mea culpa per aver seguito a lungo l’ambientalismo “salottiero” delle imposte sul diesel e delle misure destinate a colpire, in primo luogo, la classe media, misure che hanno alienato le simpatie di parte della popolazione per il tema della transizione. “Dobbiamo dimostrare che tutti sono attori, e dobbiamo farlo dando a tutti un ruolo, cioè sviluppando massicciamente nuovi settori di attività economica, che permettono di creare nuovi posti di lavoro più velocemente di quanto quelli vecchi non vengano distrutti”, ha sottolineato il Presidente.
Si tratta di un approccio che in “France Relance”, come ricorda Rivista Energia, è studiato sistematicamente. Su 100 miliardi il piano “ne dedica 34 a misure relative alla competitività dell’economia – oltre ai 30 miliardi di misure specificamente orientate alla transizione energetica, e che includono forti dimensioni innovative, come la decarbonizzazione dell’industria o lo sviluppo di tecnologie verdi”, mettendo le tecnologie più sostenibili al servizio di industrie strategiche: energia (con l’idrogeno come nuova frontiera), aeronautica, trasporto ferroviario, nucleare. Quattro settori in cui Parigi mira a giocare da grande protagonista europeo e a creare gli standard a livello comunitario.
Al tema dell’autonomia strategica si associa un sostanziale rifiuto dell’adesione alla narrazione dominante imposta dagli Stati Uniti alle relazioni internazionali e ai rapporti transatlantici. In questo, nella citata intervista Macron cerca di avvicinarsi il più possibile al suo augusto predecessore, l’antistatunitense Charles de Gaulle: “La nostra politica di vicinato con l’Africa, con il Vicino e Medio Oriente, con la Russia, non è una politica di vicinato per gli Stati Uniti d’America. È quindi insostenibile che la nostra politica internazionale dipenda da loro o che segua le loro orme”. A ciò si associa un richiamo al tema dell’esorbitante privilegio economico del dollaro e ai connessi vantaggi strategici che ne conseguono per Washington. La penalizzazione delle industrie francesi ed europee dovuta alle sanzioni statunitensi verso Russia e Iran è chiamata in causa da Macron, che sembra saldare al tema dell’indagine “europeista” degli equilibri globali l’annuncio di un futuro cambio di paradigma.
Dalle nuove tecnologie all’energia, dalla sostenibilità alla finanza i piani europei per muovere verso maggiori gradienti di autonomia esistono, e nella dottrina nazionale francese trovano esplicazione concreta. Ma come ricordava Pierluigi Fagan analizzando la “geopolitica di Macron”, nel mondo odierno “la sovranità è nulla senza la potenza”. Se Parigi saprà portare il suo potenziale militare e industriale a sostegno di progetti concreti di difesa europea capaci di coinvolgere su basi più paritetiche anche attori come l’Italia e di guardare al Mediterraneo come a uno spazio strategico europeo, e non atlantico, l’autonomia potrà farsi sovranità. Altrimenti, parleremo di dottrina Macron, ma lo faremo nel quadro comunque più funzionale ai desiderata di Oltreatlantico. In quest’ottica saranno decisive la capacità d’azione e la visione prospettica che Macron e gli altri leader europei sapranno di presentare dopo il brusco ritorno del Vecchio Continente nella storia dovuto allo scoppio della guerra russo-ucraina. Che come ogni crisi deve diventare fonte di riflessioni e opportunità: l’Europa da Lisbona a Vladivostok è oggi spezzata per volontà di Vladimir Putin, l’Occidente a guida americana scarica sull’Europa i costi della risposta e della gestione della crisi, il Vecchio Continente si trova di fronte al bivio, dovendo scegliere se morire d’ignavia come oggetto o rilanciarsi come soggetto delle relazioni internazionali. La “dottrina Macron” può essere propulsore di questo rilancio strategico. A patto che nella retorica De Gaulle vinca su Napoleone: Macron può essere primus inter pares, non velleitario sognatore dell’egemonia assoluta sull’Europa. Solo da questa premessa, e dal connubio tra sovranità e potenza, si potrà testare alla prova della storia la dottrina Macron. E capire la profondità storica di una presidenza giunta all’inizio del suo secondo mandato.
FONTE: https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/il-futuro-della-dottrina-macron/
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