Il mondo della globalizzazione è il mondo dell’interdipendenza e della complessità: fenomeni accadono in periodi e regioni diverse, influenzandosi attraverso una fitta rete di intrecci. Tutto questo continua a non essere capito da classi dirigenti eccessivamente vincolate alle logiche del pensiero lineare, anche di fronte a casi devastanti come il Covid-19 e la guerra in Ucraina. Eppure le lezioni della storia recente avrebbero dovuto ammonire. Un esempio concreto può aiutare a comprenderne la complessità.
Per lungo tempo, il Medio Oriente fu il più grande fornitore di prodotti energetici (petrolio e gas) dell’Europa. Dalla metà degli anni Novanta, la Russia iniziò a esportare il suo gas prodotto soprattutto nelle zone del Mar Caspio. Ciò impose la necessità di sviluppare una rete di trasporti adatta a veicolare il gas: ben più conveniente del processo di liquidazione e rigassificazione fu ritenuta la costruzione di gasdotti. I gasdotti implicavano una continuità territoriale tra il produttore e il consumatore. A lungo la Russia sfruttò un gasdotto che portava sino alla Germania passante per l’Ucraina, depositaria di vari diritti di prelievo. Col tempo, gli ucraini iniziarono a prelevare una quota maggiore di quella spettante, senza nel frattempo pagare il proprio debito contratto con la Russia, e rivendendolo a loro volta a terzi: la Russia decise dunque di sviluppare i due gasdotti North Stream (a partecipazione tedesca), passante per il Mar Baltico e destinato a sboccare nell’ex DDR, e South Stream, attraversante il Mar Nero, la Bulgaria, la Grecia e l’Albania per poi raggiungere l’Italia attraverso l’Adriatico (con due opzioni plausibili, Puglia e Veneto). L’Italia, già tenutaria del più importante tessuto di gasdotti europei, avrebbe dunque conseguito un’ulteriore centralità nel campo della distribuzione di tale importante risorsa. Gli USA iniziarono a vedere di traverso la strategia russa, ritenendola un potenziale cavallo di Troia per la penetrazione dell’influenza di Mosca, e svilupparono il parallelo progetto del gasdotto Nabucco, collegante l’Asia Centrale e l’Europa attraverso Golfo Persico, Penisola arabica e Medio Oriente. Al tempo stesso, il Qatar progettò di collegare il proprio sistema di trasporto del gas attraverso il Mar Rosso alla rete algerino-libica diretta in Italia. Ciò portò a frizioni diplomatiche con la Russia e Israele, decisa a contrastare un aumento dell’influenza di un paese arabo come il Qatar in Europa. Il risultato fu un maggiore avvicinamento tra Russia e Israele, un rifiuto italiano (governo Berlusconi) alla proposta qatariana e, di conseguenza, un appoggio di Doha alla rivolta contro Gheddafi in contrasto alla presenza dell’ENI. Parallelamente, la Russia riuscì a boicottare Nabucco attraverso il riavvicinamento alle repubbliche centroasiatiche, e gli USA iniziarono un processo di avvicinamento all’Ucraina che portò al colpo di stato di Maidan e all’annessione russa della Crimea. Le sanzioni occidentali alla Russia hanno messo in moto un meccanismo pericoloso, che consentì agli USA di staccare la Russia dall’Europa (Germania e Italia in primis) ma d’altro canto favorì l’avvicinamento russo-cinese. La sempre maggiore distanza tra Germania e Russia frenò la compenetrazione tra due economie complementari: quella di Mosca, ricchissima di materie prime, si completava alla perfezione con l’organizzata e tecnologicamente sviluppata struttura di Berlino, e questo a Washington fu visto come un potenziale attacco alla supremazia del dollaro attraverso i commerci in compensazione.
Su questo piano si innestò la questione siriana: il colpo di mano contro Assad, alleato della Russia, favorito dagli USA fallì e il paese venne sconvolto da una sanguinosa guerra civile, nella quale intervenne la Turchia coi suoi progetti neo-ottomani. Recentemente, dopo il tentato golpe di luglio 2016, la Turchia ha operato un riavvicinamento alla Russia, sebbene continui a mantenere una politica ambigua con la Siria e l’Europa.
Ciò testimonia la compenetrazione tra dinamiche economiche, diplomatiche, militari, geopolitiche e culturali, che interagiscono tra di loro sino a portare a un’influenza triangolare tra Ucraina, Siria, Libia e altri contesti internazionali. Un’ulteriore questione meritevole d’approfondimento è quella riguardante le ambizioni cinesi sul controllo del commercio delle “terre rare”, fondamentali per la produzione di numerosi prodotti del mondo globalizzato. La Cina, dal 2010, ha ridotto notevolmente le sue esportazioni di terre rare, importanti tra le altre cose anche per la produzione delle moderne armi a energia diretta. Il contrabbando della criminalità cinese, basata sulle cosiddette “Triadi”, ha mantenuto in vita l’accesso del resto del mondo alle risorse strategiche cinesi.
La maggiore velocità delle dinamiche genera imprevedibilità e sviluppi impensati: lo studio della Storia diviene dunque un presupposto necessario alla comprensione della globalizzazione, dato che consente di ottenere gli strumenti necessari a elaborare una teoria della complessità. Questo dovrebbe portare una necessaria rivalutazione didattica delle materie umanistiche, che nel mondo globalizzato sono sempre più necessarie. Non esiste una cultura politica della globalizzazione, ed è necessario formarla: la mentalità corrente non coglie l’interdipendenza tra fenomeni e relazioni. Si hanno problemi decisamente grandi a prevedere gli effetti combinati, gli effetti ultimi delle decisioni, si ha difficoltà a pensare “in condizioni di ignoranza”.
Nella storia, le dinamiche hanno sempre subito influenza da parte di processi e progetti. Il progetto è l’ideazione individuale di un soggetto, personale o collettivo, riguardo una determinata azione da compiere. Il processo, invece, determina dalle volontà di più soggettività e dalle interazioni reciproche tra i soggetti. Se il progetto è di parte, il processo è un’interrelazione che deve far i conti con le condizioni ambientali. Il processo di modernizzazione della Russia sovietica, ad esempio, fu assimilabile non al comunismo tout court ma all’incontro tra un progetto basato sull’ideologia comunista, le dinamiche militari e diplomatiche della Russia e le condizioni ambientali del paese
Alla base della globalizzazione si ha il progetto di estensione della modernità a tutto il mondo; per decenni si sono scontrate le due visioni del mondo, quella comunista e quella liberal-capitalistica. L’implosione del progetto sovietico portò a un passaggio della Russia al modello capitalistico e alla fine del bipolarismo; la Cina di Deng Xiaoping conciliò la struttura classica di potere comunista con un modello economico fondato su elementi di capitalismo privato e di Stato. La caduta dell’URSS aprì la strada alla nascita del modello di globalizzazione neoliberista, fondato sulla centralità dell’economia nel mondo politico e della finanza nel mondo economico. La differenza, in termini di discontinuità col passato, è rappresentata dalla artificiosità del sistema finanziario odierno: il progetto di impostare la governance mondiale e il potere in funzione degli assetti del mondo della finanza ne è stato fortemente influenzata. La globalizzazione neoliberista si caratterizzò come progetto “monopolare”, basata sull’egemonia economica, politica, tecnologica, diplomatica e militare americana. Il modello monopolare iniziò a vacillare a partire dal 2007-2008, e oggigiorno è completamente sbiadito, colpito violentemente dai numerosi insuccessi mietuti dalla potenza americana in campo internazionale sotto il profilo militare e diplomatico: il processo ha conosciuto differenze enormi rispetto al progetto elaborato dai primi “globalizzatori”.
La complessità porta alla costituzione di sistemi autoregolativi basati sul meccanismo del feedback: feedback positivi si autoalimentano tra di loro, portando al totale mutamento del contesto di partenza di un sistema. Un feedback negativo consente la stabilizzazione: la regolazione del meccanismo di domanda e offerta, ad esempio, rappresenta il feedback negativo del processo di determinazione di prezzo e quantità. L’effetto combinatorio sottolinea l’importanza del fattore tempo: i differenti momenti in cui le forze esercitano il proprio impulso sono decisivi. Componenti importanti possono determinarsi in brevissimi momenti all’interno di un sistema complesso; al tempo stesso, grande importanza ha l’effetto cumulativo delle forze, che può prodursi nel momento in cui sopravviene un fattore scatenante.
Un sistema complesso, chiaramente, deve avere un alto numero di elementi costitutivi. Gli agenti devono inoltre possedere un rapporto funzionale d’interdipendenza: la gente che viaggia assieme in metropolitana, ad esempio, non costituisce un sistema complesso, a meno che non sopravvenga un imprevisto come un guasto in una galleria che causa la nascita di un “Noi” come somma di rapporti reciproci tra i soggetti. La vecchia, ingenua metafora di Menenio Agrippa della società paragonata al corpo umano si basa sul rapporto funzionale tra le sue diverse componenti: un sistema complesso, in ogni caso, non si paralizza se si inceppa una delle sue componenti, è di conseguenza un sistema robusto. La robustezza consente alla complessità di non scadere nella complicatezza.
Le interazioni interne a un sistema complesso sono non lineari: non esiste relazione necessariamente proporzionale tra input e output, questo perché gli effetti possono essere distribuiti nel tempo. Questo spiega il meccanismo di autoinganno interno alle società: la diluizione degli effetti nel tempo e l’intervento di filtri personali alla realtà porta tutti, élite in primis, a non essere in grado di ricostituire i rapporti tra gli eventi. L’effetto rimozione è a sua volta favorito dalla diluizione degli effetti delle forze nel tempo: il caso perfetto in tal senso è rappresentato dalla crisi dell’Europa, definito da Giannuli un progetto fallito del cui tracollo gli eventi più recenti, come la Brexit, rappresentano non una causa ma una manifestazione. Classico dell’élite è l’incapacità di mettere in discussione gli assetti di poteri costitutivi, generando una serie di feedback di autoinganno, assumendo decisioni sulla base di segnali ingannevoli o dei propri desiderata. Gli autoinganni, come l’ipocrisia, sono “lubrificanti per decisioni sbagliate” che contribuiscono a creare decisioni fondate su immagini distorte.
Tipico di un sistema complesso è la struttura a rete: ogni soggetto è in relazione con buona parte degli altri; la rete ha una geometria variabile, fondata su interazioni complesse, ma si può cercare di “governarla”, prevedendone i comportamenti. Inoltre, un sistema complesso ha caratteri di universalità, ramificandosi in sottosistemi ma includendo dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande: la globalizzazione è in tal senso un esempio ideale, dato che nel suo procedere si manifesta un’influenza decisamente strutturata tra eventi che accadono in sottosistemi lontani e apparentemente scarsamente in contatto tra loro.
Un sistema complesso tende ad adattarsi alla mutazione del contesto ambientale: la diffusione della comunità umana, costruita dall’animale più adattabile di tutti, da un “migrante onnivoro” capace di spandersi su tutta la Terra e di variare in continuazione il suo regime alimentare, rappresenta un ottimo esempio di questo dato. La comunità umana è dotata di un significativo carattere autoinnovativo: l’innovazione consenta al sistema complesso di risolvere i problemi imposti dalla condizione ambientale, alla luce del fatto che “la soluzione di oggi è il problema di domani”.Un sistema complesso, robusto, autoadattativo deve essere per sua natura creativo e imprevedibile, difficilmente inquadrabile in comportamenti probabilistici calcolati tramite algoritmi; la sensibilità differenziata tra le diverse componenti produce creatività e adattatività: questo rende un potenziale incubo l’incedere di una cultura unica. Una società diversificata porta con sé conflitto, ma anche creatività e rinnovamento.
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