In medio oriente anche la riapertura di un ponte può cambiare la vita di milioni di persone. Nei giorni scorsi, dopo la mediazione di Marocco e Stati Uniti con Israele e Giordania, è stato deciso di rendere percorribile 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 il viadotto situato tra la città palestinese di Gerico e la capitale giordana Amman. Molti lo identificano con il nome di “Ponte Allenby“, dal nome del generale britannico che lo fece riedificare nel 1918 al posto di un precedente viadotto ottomano. Dall’altra parte del confine, i giordani lo chiamano “Ponte Hussein“, dal nome del Re che ha firmato una pace con Israele nel 1994 che ne ha permesso un’ulteriore ricostruzione. Limitate le sue aperture negli ultimi anni per motivi di sicurezza, il viadotto è fondamentale soprattutto per i palestinesi: si tratta infatti dell’unico valico che permette ai cittadini della Cisgiordania, la regione dove ha sede l’Autorità Nazionale Palestinese e dove sono situate le principali città palestinesi, di raggiungere la Giordania e usare l’aeroporto di Amman per viaggiare nel resto del mondo.
Un viadotto fondamentale per i palestinesi
Oltrepassare la valle del Giordano e mettere in comunicazione Gerico con Amman e quindi il resto del medio oriente, è stato l’ambizioso obiettivo che ha mosso l’amministrazione ottomana nel 1885 a edificare per la prima volta un viadotto nella zona dove oggi sorge il Ponte Allenby/Re Hussein. La struttura però da allora ha sempre avuto una vita piuttosto travagliata. Le vicende che hanno coinvolto la regione hanno direttamente influito sul viadotto. Nel 1918 il generale britannico Allenby, dopo che l’opera costruita dagli ottomani si presentava datata e impraticabile, ha deciso di riedificare il ponte nello stesso punto. Poi le guerre e anche un terremoto, quello del 1927, hanno più volte segnato la struttura. Con i conflitti arabo-israeliani, il viadotto ha assunto un valore quasi vitale per milioni di palestinesi. L’opera infatti ha costituito l’unico vero collegamento via terra tra la Cisgiordania e la Giordania.
Una circostanza non da poco, perché i palestinesi residenti nei territori occupati hanno potuto sfruttare grazie al ponte l’aeroporto internazionale di Amman. Dunque percorrere gli impalcati costruiti sopra il fiume Giordano ha dato la possibilità a un’intera popolazione di connettersi con il resto del mondo. L’importanza dell’opera si è notata ulteriormente nel momento della pace tra Israele e Giordania. Come simbolo di riavvicinamento tra i due Paesi, nel 1994 è stata prevista la ricostruzione del ponte. Un’azienda giapponese ne ha impiantato uno moderno, in grado di resistere ai sismi e alle intemperie del tempo. Tuttavia la sua funzionalità è stata limitata per motivi di sicurezza. Israele, il cui governo controlla l’accesso dalla Cisgiordania del ponte, ne ha consentito negli ultimi anni l’apertura per 14 ore al giorno, ridotte a sei ore e mezza nelle giornate di venerdì e sabato. Una circostanza in grado di incidere sugli spostamenti dei civili palestinesi e di creare disagi per raggiungere gli aeroporti giordani.
Questa fase però dovrebbe essere oramai superata. Almeno nelle intenzioni diplomatiche conclamate nei giorni scorsi. Il governo israeliano ha infatti annunciato la riapertura, 7 giorni su 7 e 24 ore su 24, del ponte Allenby/Re Hussein. Una boccata d’ossigeno economica, commerciale e soprattutto politica per l’intera regione. Per la prima volta dopo tanti anni si potrebbe assistere alla normalizzazione dei collegamenti tra le città palestinesi e la Giordania.
La mediazione di Rabat e Washington
Nell’annunciare la riapertura del viadotto, il ministro dei Trasporti israeliano, Merav Michaeli, ha esplicitamente ringraziato il Re del Marocco, Mohammed VI, e il presidente Usa Joe Biden per la loro mediazione. Marocco e Stati Uniti sono stati, così come confermato dalla parte israeliana, i principali artefici della trattativa con Amman e con l’Anp (Associazione Nazionale Palestinese) che ha portato all’apertura del ponte. Un accordo non semplice. Perché prevede anche la presenza di personale dell’Anp posto a presidio dei valichi di accesso dalla Cisgiordania. Una circostanza che ha indispettito e non poco la destra israeliana più vicina ai coloni. L’area di Gerico infatti, nelle intenzioni dell’ex premier israeliano Benjamin Netanyahu, era tra quelle da annettere direttamente nello Stato ebraico e la presenza di rappresentanti palestinesi sul viadotto ovviamente potrebbe far allontanare questo progetto.
A livello politico, l’importanza della mediazione è duplice. Da un lato, come detto, permette la funzionalità di un’opera importante per la vita quotidiana di milioni di persone. Dall’altro, si tratta di una delle prime concrete applicazioni del patto che nel novembre 2020 ha portato alla normalizzazione dei rapporti tra Marocco e Israele. Un’intesa giunta pochi mesi dopo il cosiddetto “Accordo di Abramo“, con il quale Emirati Arabi Uniti e Bahrein nell’agosto del 2020 hanno spianato la strada alla normalizzazione delle relazioni tra Israele e alcuni Paesi arabi.
All’epoca del patto tra Rabat e lo Stato ebraico alla Casa Bianca era ancora seduto Donald Trump. Gli Stati Uniti in quell’occasione si sono impegnati nel riconoscere al Marocco, in cambio delle normalizzazioni dei rapporti con Israele, la sovranità sul Sahara Occidentale. Con l’avvento di Joe Biden le linee politiche di Washington sono state mantenute. In tal modo, Marocco e Usa hanno potuto attivamente mediare per giungere all’intesa sul viadotto Allenby/Re Hussein. Per Rabat soprattutto è una dimostrazione della sempre maggiore incidenza della propria influenza nella regione mediorientale.
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