Solamente settimana scorsa, il James Webb Space Telescope (JWST) ci ha regalato la sua prima fotografia dello spazio profondo, offrendoci uno spaccato mozzafiato e iperdettagliato che molti hanno identificato come il vero aspetto del cosmo. Questo presupposto di verosimiglianza non è però del tutto affidabile, se non altro perché il JWST si appoggia in tutta probabilità a una formalizzazione dell’immagine che prevede molti passaggi e manipolazioni. Il telescopio in questione sembra infatti ereditare dal suo predecessore, il telescopio Hubble, uno schema di gestione dei colori che è noto agli astronomi e agli appassionati con il nome di “Hubble Palette”. Per comprendere il senso di questa convenzione, bisogna prima approfondire, seppur superficialmente, il funzionamento dei satelliti presi in analisi. Le immagini dello spazio raccolte a fini scientifici vengono catturate da strumenti dotati di molteplici lenti e sensori, alcuni dei quali sono in grado di intercettare lunghezze d’onda luminose normalmente invisibili all’occhio umano.
Si tratta di un approccio narrowband (a banda stretta) in cui le singole “frequenze” sono immortalate con degli scatti monocromatici che, in un secondo momento, vengono stratificati per creare un’unica figura composta. Negli anni, il telescopio Hubble si è concentrato su tre canali: l’idrogeno-alpfa (Ha), il fluoruro di zolfo (SII), l’ossigeno doppiamente ionizzato (OIII), i quali sono stati “tradotti” con il colore verde, con il rosso e con il blu. In altre parole, gli scatti in bianco e nero vengono sintetizzi facendo affidamento sulla formula RGB tradizionalmente adoperata nella fotografia digitale a colori.
Se avessimo modo di guardare personalmente lo scorcio di galassia mostratoci dal James Webb, percepiremmo insomma un panorama estremamente diverso da quello illustratoci dalle immagini diffuse dalla NASA. Non solo, la colorazione degli scatti diffusi al pubblico è reinterpretata anche al fine di divulgare un prodotto che risulti maggiormente in linea con l’idea che la massa ha dello spazio profondo, così che possa apparire più “naturale”. «È una specie di matrimonio tra arte e scienza», ha dichiarato a CNET Alyssa Pagan, Visuals Developer presso lo Space Telescope Science Institute. «Alla fine vuoi che [l’immagine] sia molto convincente, vuoi che sia molto bella, perché lo spazio è bello».
Gli scatti del telescopio Hubble vengono dunque manipolati al fine di risultare più suggestivi e il James Webb sembra destinato a ripercorrere lo stesso identico percorso di gestione dei contenuti. I canoni estetici adoperati dagli addetti ai lavori sono probabilmente condizionati dai gusti personali dei singoli individui, tuttavia la storica dell’arte Elizabeth Kessler propone nel suo libro Picturing the Cosmos un parallelismo interessante, ovvero sostiene che la cifra stilistica adottata dall’agenzia spaziale statunitense mostri affinità con la pittura dell’Ovest americano del XIX secolo. Kessler suggerisce tra le righe che lo spazio di oggi sia rappresentato al pari di quella che era all’epoca la visione romanticizzata del selvaggio west, una nuova frontiera pregna di mistero e opportunità.
Commenti
Posta un commento
Partecipa alla discussione