In una nota, Patel, considerata un falco filo-americano nel Partito Conservatore, ha argomentato che la decisione avviene sulla scia dell’analisi dei documenti prodotti dai tribunali del Regno Unito che hanno dato il via libera all’estradizione. Secondo le corti britanniche, infatti, non sarebbe “opprimente o ingiusto” ai fini processuali estradare il fondatore di Wikileaks. Assange avrà due settimane di tempo per fare ricorso e veder annullata la dichiarazione.
Patel e i tribunali hanno ritenuto che non sussisterebbero ostacoli all’estradizione e che vadano respinte le accuse di chi dichiara che la detenzione oltre Atlantico sarebbe incompatibile con i diritti umani del giornalista australiano, compreso il suo diritto a un processo equo e alla libertà di espressione.
Assange, lo ricordiamo, è in carcere dall’aprile 2019, quando è stato arrestato al termine dell’asilo concessogli dall’ambasciata ecuadoregna a Londra, ove si trovava dal 2012. Detenuto per sei mesi nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh (che Tony Blair voleva in passato rendere “la Guantánamo britannica”), nel 2019 è stato anche incriminato negli Usa che ne chiedono da tempo l’estradizione.
Il relatore dell’Onu sulla Tortura, lo svizzero Nils Meltzer, ha criticato questa possibilità ormai prossima a concretizzarsi focalizzandosi su come la caccia ad Assange si sia sviluppata: Assange è indagato per aver rivelato con WikiLeaks centinaia di migliaia di documenti che mostravano le dinamiche profonde del potere e degli apparati militari statunitensi, rivelavano presunti crimini di guerra e mostravano le problematiche nella gestione delle crisi di Afghanistan e Iraq. Tali rivelazioni, che arrivarono anche a Guardian e New York Times per la divulgazione, sarebbero per Meltzer potenzialmente in grado di scatenare una vendetta Usa. Il funzionario nel maggio 2019 ha definito un processo tendente alla criminalizzazione del giornalismo investigativo la crescente attenzione Usa per Assange. Il quale, in passato idolo dei progressisti internazionali, è passato nella narrazione da “eroe” a agente manipolatore quando nel 2016 ha osato mettere le mani sugli archivi del Comitato Nazionale Democratico di Hillary Clinton. Tanto da essere definito, senza prove a sostegno, un agente del “Russiagate” che avrebbe favorito la vittoria di Donald Trump.
Il caso di Assange è paradigmatico e appare tutt’altro che secondario il fatto che la sua estradizione sia annunciata a mezzo secolo esatto dallo scoppio dello Scandalo Watergate. Il più grande caso di espressione dell’influenza politica e di sistema di una stampa veramente libera: fu solo il tenace lavoro di Bob Woodward e Carl Bernstein, arrembanti reporter, a scoperchiare il Vaso di Pandora che nel 1974 portò alla caduta del presidente Usa Richard Nixon. Durissimo in tal senso il commento della giornalista Stefania Maurizi, tra le poche a seguire in Italia tutto il processo che ha portato all’incriminazione e all’avvio dell’estradizione di Assange: per la Maurizi le “democrazie occidentali non sono sprofondate di nuovo nella barbarie medioevale” per “battaglie come queste”. Il caso Assange rappresenta, a suo dire, il “diritto della stampa di rivelare criminalità di Stato ai più alti livelli e dell’opinione pubblica di conoscerla”.
E cinquant’anni dopo il Watergate, questi sono principi non secondari. I principi che condizionano la realtà quotidiana dei nostri sistemi democratici, liberali e garantisti e, soprattutto, i valori che a detta dei nostri decisori ci distinguono dalle autocrazie. Principi e valori che non possono valere solo se usati come clava contro i propri avversari, ma devono invece essere garanzia per la quotidianità di ogni sistema. Il caso Assange vede il desiderio di giustizia sfociare nel sentimento di vendetta: e in vista dell’estradizione negli Usa il rischio è che su questi binari si costruisca la narrazione di un processo a cui l’imputato rischia di arrivare prostrato e fragile.
FONTE: https://it.insideover.com/societa/svolta-nel-caso-assange-sara-estradato-negli-usa.html
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