Si è svolta lunedì scorso l’udienza di apertura del processo contro il rapper sardo Bakis Beks, accusato di concorso in oltraggio a pubblico ufficiale insieme a tre spettatori presenti al suo concerto. Durante l’esibizione, risalente al 2018, l’artista ha infatti cantato un brano contro la presenza dei poligoni militari in Sardegna, dal titolo Messaggio, ritenuto offensivo dai poliziotti presenti in servizio durante il concerto. Ad aggravare la situazione è stata la coreografia che ha accompagnato il pezzo, che prevedeva l’alzata del dito medio, non gradita dagli agenti delle forze dell’ordine in servizio quella sera.
«Nell’ordinamento e nella Costituzione italiana sono previsti un diritto di espressione e manifestazione del proprio pensiero, di critica e di cronaca che non possono essere eliminati da un’esibizione artistica come quella che Bakis stava svolgendo in quel momento» spiega a L’Indipendente l’avvocato di Bakis Beks, Giulia Lai. «Poi quello che posso dire io è che probabilmente quelle parole sono state travisate, perché la canzone contiene una rivendicazione politica contro la presenza dei poligoni militari in Sardegna, quindi contro la preponderante presenza in Sardegna dei militari, non dell’organo poliziesco in sé». Ulteriore elemento di gravità sarebbe poi costituito dal fatto che, nello svolgere la coreografia del pezzo, Bakis ha fatto il gesto del dito medio, accompagnato da alcuni spettatori. «Bakis ha sempre fatto la coreografia in questo modo, non era la prima volta. I poliziotti presenti in servizio hanno invece ritenuto che fosse un gesto rivolto contro di loro, perché in quel momento erano lì».
Esercitare il dissenso attraverso manifestazioni artistiche dovrebbe essere un diritto inalienabile di ciascun cittadino. Ma dove risiede il limite tra libertà di espressione e offesa? «Il limite è quello di non commettere reati e istigare alla violenza, ma qui non c’è nulla di tutto ciò. Lui stava manifestando un dissenso tramite la musica, come altri lo possono manifestare andando in piazza. Questo è il limite. Se sto esprimendo un pensiero attraverso la forma artistica questo non può essere ritenuto reato, tutt’altro».
In Sardegna, la storia del dissenso contro la presenza dei poligoni militari è di vecchia data. Molte persone sono state colpite da provvedimenti repressivi nel corso delle manifestazioni, per il semplice fatto di avervi preso parte. Tuttavia, come spiega l’avvocato Lai, non era mai capitato che venisse preso di mira un artista per il suo lavoro. «Dal punto di vista politico c’è un grosso problema in Sardegna che non riguarda solo Bakis Beks. La rivendicazione politica e lotta contro la presenza dei poligoni militari è sempre stato oggetto di repressione. Il processo si configura così non solo come una difesa da una denuncia, ma anche come processo politico, perché quello che viene criminalizzato è evidentemente il messaggio politico che Bakis Beks voleva trasmettere con la propria canzone. Se si reprime anche il dissenso manifestato pacificamente si legittima l’intervento anche contro chi fa azioni più simboliche, come partecipare alle manifestazioni. Così si criminalizza l’oggetto della lotta e non l’atto in sè».
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
FOTO: https://hiphopsardo.it
Commenti
Posta un commento
Partecipa alla discussione