Naturalmente, spiegò Eltsin nella lettera inviata a Bill Clinton, ogni Paese può decidere autonomamente di quale alleanza vorrebbe far parte. Ma l’opinione pubblica russa vedeva l’espansione a est della Nato come “una sorta di neo-isolamento” della Russia, un fattore, insisteva, di cui bisognava tener conto. Eltsin faceva riferimento al Trattato sulla riunificazione della Germania nel 1990. “Lo spirito del trattato”, secondo l’allora presidente russo, “precludeva la possibilità di espandere la zona della Nato a est”. A tal proposito è significativa la testimonianza diretta di Jack Matlock, ambasciatore americano a Mosca dal 1987 al 1991 in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera del 15 luglio 2007 e citata nel libro dell’ex ambasciatore Sergio Romano Atlante delle crisi mondiali (Rizzoli, 2018). “Quando ebbe luogo la riunificazione tedesca, noi promettemmo al leader sovietico Gorbačëv – io ero presente – che se la nuova Germania fosse entrata nella Nato non avremmo allargato l’Alleanza agli ex Stati satelliti dell’Urss nell’Europa dell’Est. Non mantenemmo la parola. Peggio: promettemmo anche che la Nato sarebbe intervenuta solo in difesa di uno Stato membro, e invece bombardammo la Serbia per liberare il Kosovo che non faceva parte dell’Alleanza”.
È vero che le testimonianze dell’epoca non sono sempre coerenti con quanto affermato da Matlock. Fortunatamente, spiega il Der Spiegel, ci sono molti documenti disponibili dai vari Paesi che hanno preso parte ai colloqui, inclusi appunti di conversazioni, trascrizioni di negoziati e rapporti. Secondo i carteggi, Stati Uniti, Regno Unito e Germania rassicurarono il Cremlino del fatto che l’adesione alla Nato di Paesi come Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca “era fuori questione”. Nel marzo 1991, il primo ministro britannico John Major promise, durante una visita a Mosca, che non sarebbe accaduto “nulla del genere”.
Dal Patto di Varsavia alla Nato
Come spiega Ted Galen Carpenter sul Guardian, nonostante le osservazioni di Eltisn e le promesse fatte ai leader russi alla fine della Guerra Fredda e nei primi anni’90, l’amministrazione di Bill Clinton aveva già deciso nel 1993 di fare pressione per inglobare alcuni Paesi dell’ex Patto di Varsavia nella Nato. Anche quella prima fase provocò la rabbia russa. Nelle sue memorie, Madeleine Albright, segretario di Stato della Clinton, ammette che Elstin e i suoi connazionali “erano fortemente contrari all’allargamento, vedendolo come una strategia per sfruttare la loro vulnerabilità e spostare la linea di demarcazione dell’Europa a est, lasciandoli isolati”. Dello stesso parere Strobe Talbott, vicesegretario di Stato. “Molti russi vedono la Nato come una traccia della Guerra fredda, intrinsecamente diretta contro il loro paese. Sottolineavano di aver sciolto il Patto di Varsavia, la loro alleanza militare, e si chiedevano perché l’Occidente non facesse fare lo stesso”. Il resto è storia. Nel 1994 l’Alleanza Atlantica lanciò l’iniziativa Partnership for Peace, o PfP. Il Partenariato per la pace consentiva ai Paesi che non facevano parte dell’Alleanza Atlantica di “condividere informazioni con gli alleati della Nato” e di modernizzare i loro eserciti in linea con standard dell’Alleanza stesso. Questo processo raggiunse un traguardo importante al Vertice di Washington del 1999, quando tre ex partner – Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria – divennero a tutti gli effetti membri della Nato.
Tuttavia, nel corso degli anni, molti studiosi “realisti”, fra cui John J. Mearsheimer ed Henry Kissinger passando per George Kennan, misero in guardia le amministrazioni Usa sui potenziali rischi di quella strategia. Persino il “falco” Zbigniew Brzezinski, ex consigliere per la sicurezza nazionale durante l’amministrazione Carter e celebre politologo, nel 1995 pubblicò un saggio su Foreign Affairs a favore dell’espansione e est della Nato, pur fissando dei paletti ben precisi. “L’amministrazione Clinton – osservò – deve guidare l’Europa ed espandere la Nato”, ma senza “danneggiare i legami con la Russia”. Washington, spiegò, “dovrebbe dissipare l’ambiguità creata dalle attuali indiscrezioni. Il presidente deve adottare un duplice approccio: avviare il processo di accettazione degli stati dell’Europa centrale nella Nato precisando i criteri per l’adesione e firmare un trattato di sicurezza globale con la Russia”. Per farlo funzionare, osservò, “Germania e Polonia dovranno riconciliarsi, Occidente e Russia dovranno pacificare l’Ucraina e il problema dei Paesi baltici dovrà essere risolto. Solo la leadership americana può contribuire a creare un’Europa più ampia e più sicura per il prossimo secolo”.
Già allora, come ricorda Ted Galen Carpenter, alcuni studiosi diplomatici americani come il già citato George Kennan, il padre intellettuale della politica di contenimento americana durante la guerra fredda, in un’intervista al New York Times del maggio 1998 avvertì cosa avrebbe potuto mettere in moto l’espansione a est della Nato. “Penso che sia l’inizio di una nuova Guerra fredda”, spiegò Kennan. “Penso che i russi reagiranno gradualmente in modo piuttosto negativo e ciò influenzerà le loro politiche. Penso che sia un tragico errore. Non c’era alcun motivo per questo. Nessuno stava minacciando nessun altro”. Kennan non fu ascoltato e l’espansione a est dell’Alleanza proseguì speditamente. Le fasi successive portarono all’adesione di nuovi alleati ex membri del Patto di Varsavia: Romania, Bulgaria, Slovacchia, Slovenia, Lettonia, Estonia e Lituania nel 2004, Croazia e Albania nel 2009, Montenegro nel 2017 e Macedonia del Nord nel 2020. Oggi i Paesi della Nato sono 30.
Accordi disattesi?
Importante sottolineare, come fa Der Spiegel, che non c’è, ovviamente, alcun accordo giuridicamente vincolante tra le due parti (la Nato e Mosca). Il verdetto sul fatto che l’Occidente abbia infranto o meno la sua parola dipende interamente da quanto si ritengano vincolanti le assicurazioni dai leader occidentali all’epoca. Sta di fatto che Mosca contesta ai Paesi occidentali di aver di fatto tradito lo spirito di tutti i trattati dal Crollo del Muro di Berlino in poi e di aver fatto delle promesse precise, mai mantenute. Come scrive il celebre giornalista Chris Hedges, già redattore del New York Times, l’amministrazione Clinton promise a Mosca “che le truppe da combattimento della Nato non sarebbero state di stanza nell’Europa orientale”, come previsto dal Nato-Russia Founding Act. “Questa promessa – spiega – si è rivelata ancora una volta una bugia”. Il conflitto odierno in Ucraina, senza voler giustificare nulla, è dunque – anche – il frutto di 30 anni di incomprensioni, mancate promesse, diffidenza reciproca e di due differenti visioni delle relazioni internazionali.
FONTE: https://it.insideover.com/guerra/la-storia-dellespansione-a-est-della-nato-spiegata.html
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