Dopo decenni di interventi soft power degli Stati Uniti per sfruttare le riserve energetiche del Sud Sudan e contrastare l’influenza della Cina, la repubblica è intrappolata in una crisi umanitaria.
Come la maggior parte dei Paesi, la Repubblica del Sud Sudan è una nazione complessa di alleanze mutevoli e influenze estere. Di recente, il presidente Salva Kiir, che sfoggia un cappello Stetson regalatogli da George W. Bush, firmò un accordo di pace coi vecchi nemici, l’Esercito popolare di liberazione del Sudan all’opposizione. Più o meno nello stesso periodo, la cosiddetta Troika delle ambasciate composta da Stati Uniti, Gran Bretagna e Norvegia facilitava i programmi del Fondo monetario internazionale (FMI) per il Sud Sudan. Quando la Cina propone schemi di investimento, i politici statunitensi la chiamavano “diplomazia della trappola del debito”. Come si è visto in Sud Sudan, quando le società occidentali cercano di depredare nazioni povere ma ricche di risorse, lo chiamano “sviluppo”.
L’interesse dell’occidente per il Sud Sudan è il petrolio. Invocando il “fardello dell’uomo bianco” dell’era coloniale degli imperialisti del 19° secolo, Voice of America, sostenuta dal governo statunitense, giustificava l’interferenza straniera nel Sud Sudan sottolineando che i 3,5 miliardi di barili di greggio accertati del Paese non possono essere facilmente esportati a causa del mancanza di infrastrutture e cattiva gestione finanziaria. La Troika delle ambasciata e i suoi programmi del FMI insistono che “i dati fiscali, compresi proventi petroliferi e non petroliferi, dovrebbero essere pubblicati… regolarmente e senza indugio”. Oggi gli Stati Uniti hanno perso il controllo dei delegati che hanno creato e il Sud Sudan precipita in una crisi umanitaria. Alan Boswell, specialista del Sud Sudan dell’International Crisis Group, riconosceva: “Gli sforzi degli Stati Uniti in Sud Sudan paiono lo spasmo finale dell’ingenua costruzione della nazione nordamericana, che è crollata in modo epico”. Allora, che ruolo hanno svolto gli Stati Uniti nel dividere il Sudan e nel gettare in crisi il sud del Paese?
“Digli che è colpa dei musulmani”
Nel 1899, la Gran Bretagna creò il Condominio Anglo-Egiziano del Sudan. L’eponimo “egiziano” era improprio perché la Gran Bretagna governava anche l’Egitto come cosiddetto “protettorato velato”, quindi il Sudan e la sua capitale Qartum furono fondamentalmente sotto il controllo britannico fino all’indipendenza nel 1956. Secondo una valutazione della CIA, “una proficua tratta degli schiavi fu sviluppata dai commercianti europei e le loro coorti arabe a Qartum… violenza e crudeltà che favorì non furono dimenticate nel sud”. La Gran Bretagna adottò la tipica strategia divide et impera. “I missionari cristiani mantennero viva la questione della schiavitù dicendo ai meridionali che i responsabili erano i musulmani del nord”. Dopo l’indipendenza, la regione meridionale era “appena integrata” col nord.
Nel 1955, i ribelli secessionisti del sud, gli Anya-Nya (“veleno di serpente”), iniziarono la guerra civile. Il Current Intelligence Country Handbook della CIA osservò che la religione non era l’unica, o addirittura principale, questione. La maggior parte dei meridionali era nera e i funzionari al potere nel nord erano arabi. La concentrazione delle risorse era un grosso problema. Fortemente dipendente dalle entrate del cotone, Qartum assorbì la ricchezza del Sudan a scapito del resto della nazione. Gli analisti della CIA speravano che il primo dittatore post-indipendenza, tenente generale Ibrahim Abud, avrebbe seguito un corso pro-Washington. Un Bollettino dell’Intelligence affermò: “Il regime ha accettato il programma di aiuti nordamericano… [e] si è mosso per frenare le… pubblicazioni filo-comunisti”. I guadagni realizzati dai politici comunisti un decennio dopo furono schiacciati dopo che il governo bandì i partiti di sinistra e privò dei diritti i meridionali.
Mentre la guerra del nord contro la secessione meridionale continuava, nel 1970 erano morte un milione di persone e centinaia di migliaia erano fuggite nei Paesi vicini. Gli Stati Uniti tolleravano le armi sovietiche a Qartum poiché effettivamente permisero all’URSS di combattere una guerra per procura contro il sud. Israele riversò armi nel sud, secondo quanto riferito, per peggiorare la guerra nella speranza di distogliere l’attenzione del governo del nord dai conflitti arabo-israeliani.
Il Sud: “quantità sfruttabili di greggio”
Tra il 1971 e il ’72, l’Etiopia mediò una pace di breve durata tra il governante sudanese, maggior-generale Jafar Nimeiri, e l’ala politica di Anya-Nya, il Movimento di liberazione del Sudan meridionale. L’accordo in seguito portò il capo Anya-Nya, tenente Joseph Lagu, a capo dell’Alto Consiglio Esecutivo della Regione Autonoma del Sud Sudan; un accordo politico che durò fino all’abolizione da parte del presidente Nimeiri nel 1983. A questo punto, la Chevron aveva speso milioni di dollari nello sforzo infruttuoso per modernizzare il sud in modo che potesse estrarre efficientemente il petrolio. La politica statunitense passò al pacifico sostegno ai secessionisti del Sud. Col petrolio del Sudan situato principalmente nel sud, gli analisti statunitensi hanno ritenuto che il regime di Nimeiri, che hanno descritto come “moderato” e “filo-occidentale”, avesse continuato a de-sviluppare il sud. Al tempo, l’avversario di Washington, il Colonnello Muammar Gheddafi, era da tempo al potere nella vicina Libia. Il filo-sovietico Mengistu governava l’Etiopia al confine sud-orientale. La CIA temeva che il sud “gravemente sottosviluppato” del Sudan si sarebbe nuovamente ribellato, indebolito Nimeiri e lasciato Qartum aperta all’influenza sovietica.
Gli anni ’80 videro l’emergere del “soft power” nordamericano in Sudan: l’uso di “aiuti” e investimenti per creare un regime meridionale indipendente.
Una storia delle operazioni dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) nel fertile Sudan rilevò all’inizio degli anni ’80 che, “[b] prima che il Sudan diventi i ‘cesto del pane’ del Medio Oriente e di altre parti del mondo,… necessitano grandi diretti a progetti di sviluppo”. Di maggiore interesse per Washington era il petrolio: “Il governo sudanese è ragionevolmente fiducioso che nel Sudan meridionale siano state scoperte quantità commercialmente sfruttabili di greggio”. Nel 1983, le forze armate sudanesi si ammutinarono. Il comandante John Garang, addestrato dagli Stati Uniti a Fort Benning in Georgia, guidò la creazione dell’Esercito popolare di liberazione del Sudan meridionale. Un documento della CIA descrive Garang come un “socialista”. Altri giornali notano che era sostenuto da Etiopia e Libia. Il loro sostegno non doveva durare di fronte ai programmi di “aiuti” statunitensi.
Gli anni di Clinton: “gestione dell’energia” e soft power
La lenta spinta di Washington alla secessione sud-sudanese iniziò probabilmente negli anni ’80, coi cosiddetti progetti della società civile volti a rafforzare i gruppi ribelli che si oppongono al governo del nord. Nel 1987, il National Endowment for Democracy (NED), l’entità per il cambio di regime sponsorizzata dal governo degli Stati Uniti, iniziò a finanziare il Sudan Times, che “utilizza i fondi NED per acquistare forniture essenziali per la pubblicazione”. Nel nord, il presidente Nimeiri fu rovesciato dal generale Rahman Swar, il cui regno effimero fu sostituito dal presidente Ahmad al-Mirghani. A questo punto, i dati della CIA finiscono, quindi non è chiaro quale relazione gli Stati Uniti avevano inizialmente col generale Umar al-Bashir, che subentrò con un colpo di Stato nel 1989.
La storia dell’Africa di Martin Meredith rileva che dal 1991, il comandante di etnia Nuer, Riek Machar, fu aiutato da al-Bashir a impadronirsi dei giacimenti petroliferi strappando il controllo al/Esercito di liberazione del popolo sudanese guidato da Garang, di etnia Dinka. Le prove mancano, ma l’amministrazione Clinton (1993-2001) vide le fratture politiche del sud come potenziamento del nemico settentrionale, al-Bashir. Il programma USAID, Sudan Transitional Rehabilitation, negoziò la pace tra Garang e Machar nel 1999. L’Agenzia osservò che le sovvenzioni includevano disposizioni per la “gestione dell’energia”. William Reno della Northwest University sosteneva che l’effetto dell’Operazione Lifeline Sudan dell’USAID, iniziato l’anno in cui al-Bashir salì al potere, alla fine legittimò i ribelli del sud. Affermando di essere spie, gli uomini di al-Bashir giustiziarono il personale dell’USAID nel 1992, portando l’Agenzia a interrompere i programmi nel nord.
FONTE E ARTICOLO COMPLETO: https://libya360.wordpress.com/2022/02/08/how-us-meddling-split-sudan-creating-an-oil-republic-drowning-in-poverty-and-conflict/
Traduzione di Alessandro Lattanzio
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