Di tali temi si parla in questa intervista con il dott. Giuliano Bifolchi, analista geopolitico e d'intelligence nonché Research Manager di SpecialEurasia.
Dal 2 gennaio 2022 il Kazakhstan è stato interessato da un’ondata di proteste e sommovimenti, aventi inizialmente ragioni di carattere economico e sociopolitico. Tali manifestazioni popolari sono da inserirsi in un contesto, nazionale ed internazionale, particolarmente complesso e problematico. In qualità di analista e studioso dell’area, qual è il suo punto di vista su tali vicende?
Le proteste che sono avvenute in Kazakhstan sono frutto di un generale scontento sociale che ha visto nel rincaro dei prezzi del carburante la ‘miccia’ che ha dato il via alle agitazioni che partendo dalla regione di Mangystau sono dilagate a macchia d’olio nell’intero paese costringendo il governo guidato dal presidente Qasym-Jomart Toqaev a imporre lo stato di emergenza, richiedere l’aiuto dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO) e intervenire direttamente sul mercato energetico interno. I media hanno riportato diverse versioni su tali proteste che, secondo la narrativa governativa ufficiale kazaka, sarebbero nate per motivi economici per poi essere cavalcate da ‘agenti esterni’ e ‘terroristi’ interessati nel cambiare l’ordine politico interno. In realtà , l’analisi di tale evento deve essere più profonda e sfaccettata della semplice lettura e versione ufficiale considerando che a seguito delle proteste la leadership di Toqaev si è notevolmente rafforzata ai danni di Nursultan Nazarbaev, lo storico presidente kazako che ha guidato il paese fin dalla sua indipendenza nel 1991 il quale lasciò la presidenza nel 2019 seppur rimanendo una figura importante nel panorama politico kazako. Gli eventi di inizio gennaio possono quindi essere letti come una reale insoddisfazione di una parte del popolo kazako per una politica economica troppo dipendente dal settore energetico e dalle partnership commerciali con la Cina e la Russia, ma anche come uno scontro interno tra le figure di spicco e i clan tribali che regolano la vita politica del paese il cui esito ha rafforzato l’attuale presidente, oscurato la figura di Nazarbaev, e favorito maggiormente i rapporti russo-kazaki a discapito dell’Occidente e di quella Cina che è in Kazakhstan, così come in tutta l’Asia Centrale, il maggior investitore.
Le proteste sono state lette, specie in Occidente, come un ‘naturale risultato’ della disaffezione popolare nei confronti della gestione Nazarbaev e della ‘corruzione endemica’. Stando ad altre interpretazioni, diffuse anche da alcuni media locali e russi, i moti antigovernativi non sarebbero stati così “spontanei” e, insomma, qualcuno avrebbe ‘soffiato sul fuoco’. Quale scenario ritiene più probabile e, a suo dire, quanto ritiene possibile l’intersezione tra spontanee richieste popolari e l’utilizzo, diretto o indiretto, del malcontento generale per determinati fini ed interessi, sia locali che internazionali?
Nazarbaev fino al gennaio 2022 giocava un ruolo importante nel panorama politico kazako, e questo è innegabile, anche se la presidenza era nelle mani di Toqaev il quale non può essere esonerato delle ‘colpe’ di aver condotto una politica che ricalcava quella del suo predecessore e che, dati alla mano, ha fallito in quel processo di contrasto alla corruzione e di diversificazione economica necessario al Kazakhstan per non essere eccessivamente dipendente dalle rendite dovute alla vendita di petrolio e gas naturale.
L’insoddisfazione popolare per delle politiche economiche non ritenute soddisfacenti era lampante e riscontrabile nella mole di persone che ha preso subito parte alle proteste. In merito alle interferenze esterne, occorre fare una riflessione più profonda visto che una delle prime strategie adottate dal governo kazako è stata quella di interrompere ogni forma di collegamento all’interno del paese con l’esterno, fattore che ha fatto sì che le notizie ricevute dal territorio fossero in primis quelle dei media locali o russi e soltanto in pochi casi di media internazionali. Quindi, considerando che il Kazakhstan è al 155° posto nella speciale classifica sulla libertà di stampa stilata da Reporters Without Borders, è possibile immaginare come le informazioni che sono giunte dal territorio kazako a seguito della chiusura di internet e dei diversi canali informativi fossero veicolate dagli organi di governo i quali hanno posto grande enfasi sul fatto che in breve tempo le proteste fossero state cavalcate da ‘agenti esteri’ e ‘terroristi’ favorendo così l’intervento militare della CSTO e cercando giustificazione nelle dure misure repressive messe in atto dalle forze di sicurezza kazake insieme a quelle straniere giunte in supporto.
Se mi si chiede poi se gli Stati Uniti fossero contenti di un cambiamento ai vertici del Kazakhstan tale da creare i presupposti per delle proteste il cui culmine avrebbe potuto ricalcare quanto avvenuto in Ucraina nel 2014 con l’Euromaidan, l’onestà intellettuale mi porta a confermare tale affermazione anche se, alla fine delle proteste, i veri vincitori sono stati Toqaev e la Russia a discapito di Nazarbaev, dell’opposizione politica, dell’Occidente e della Cina stessa considerando che oggi la repubblica kazaka sembra essere sempre di più entrata nell’orbita di Mosca come dimostra il rafforzamento commerciale e politico che il governo kazako ha stretto nell’ultimo mese non solo con il Cremlino, ma anche con alcune delle repubbliche della Federazione Russa come il Tatarstan o il Bashkortostan legando la propria economia sempre di più al mercato russo e all’Unione Economica Euroasiatica.
Ricollegandoci alla domanda precedente, c’è da dire che un’altra “narrazione” suppone che quella kazaka sia stata un’ennesima ‘rivoluzione colorata’. Tuttavia, alcuni opinionisti ed analisti hanno ritenuto riduttiva tale versione dei fatti e, a tal riguardo, vi sono sia somiglianze che differenze tra la vicenda e quelle che hanno interessato le storiche rivoluzioni colorate. Spiegaci dettagliatamente le caratteristiche di una rivoluzione colorata “standard”, le eventuali convergenze e differenze con il caso kazako e gli interessi e i coinvolgimenti esterni che hanno riguardato la stessa vicenda.
Il termine ‘rivoluzione colorata’ è stato coniato facendo riferimento a quei movimenti di protesta che hanno riguardato lo spazio post-sovietico dove la leadership al potere è stata deposta in favore di un governo che si potrebbe definire ‘filoccidentale’. A memoria è possibile citare la Rivoluzione delle Rose in Georgia nel 2003, la Rivoluzione dei Tulipani in Kirghizistan nel 2005, la Rivoluzione arancione in Ucraina nel 2014 e infine la Rivoluzione di Velluto nel 2018 in Armenia. Ovviamente, non tutte hanno avuto gli effetti desiderati, perché mentre in Georgia e Ucraina la presidenza e leadership politica favorevole al Cremlino è stata sostituita da una leadership che guarda all’Occidente aspirando a divenire parte della NATO e dell’Unione Europea, sia in Kirghizstan l’ascesa al potere del leader della rivoluzione Kurmanbek Bakiyev e sia in Armenia l’ascesa di Nikol Pashinyan non hanno avuto come risultato l’uscita di Bishkek e di Erevan dall’orbita russa.
Nel caso del Kazakhstan la convergenza principale è stata la causa delle proteste, ossia problemi economici aggiunti alle accuse di corruzione e mal gestione fatte nei confronti del governo, e l’importanza che hanno avuto i media e i social nel narrare quanto avveniva sul territorio (facendo un parallelo con il recente caso ucraino del 2014). A parte questo, la crisi politica interna al Kazakhstan, a mio parere, non può essere considerata una ‘rivoluzione colorata’, perché non ha comportato un vero cambiamento nel paese né nella dirigenza politica, infatti il presidente Toqaev ha mantenuto la sua leadership, né nell’ottica dello scontro tra Russia e Occidente considerando che il Kazakhstan, membro dell’Unione Economica Euroasiatica e della CSTO, non solo continuerà a far parte dell’orbita di Mosca, ma sta rafforzando maggiormente i suoi rapporti politico-commerciali con la Federazione Russa.
Come accennato sopra, gli eventi che hanno interessato il Kazakhstan hanno visto l’interesse e il coinvolgimento, diretto o indiretto, di alcune potenze regionali e mondiali. Tuttavia, le rivolte hanno inciso anche sulle dinamiche interne allo stesso Stato profondo kazako. Stando così le cose, come legge la repentina sostituzione di Nazarbaev con Toqaev?
Quando guardiamo al Kazakhstan, così come ad altre repubbliche dello spazio post-sovietico, dobbiamo sempre pensare a una società caratterizzata e influenzata da poteri oligarchici oppure da clan tribali, i quali lottano per il potere interno. Quanto avvenuto a gennaio in Kazakhstan può leggersi in questo contesto considerando che Nazarbaev ha perso potere cedendolo in favore di Toqaev che è riuscito soltanto dopo questi eventi a ‘liberarsi’ della figura ingombrante dell’ex presidente. Infatti, occorre sottolineare che seppure Nazarbaev lasciò la presidenza nel 2019, l’ex presidente ha continuato ad aleggiare come figura onnipresente e pressante nel panorama politico kazako ricoprendo fino alle proteste il ruolo di presidente del Consiglio nazionale di sicurezza e favorendo la sua famiglia e il suo clan nelle dinamiche economiche interne del paese. Oggi, invece, è l’entourage clientelare e familiare che ruota attorno alla figura di Toqaev a beneficiare di questo cambiamento che si dovrebbe tradurre, considerando le peculiarità del Kazakhstan, in modifiche nelle cariche di potere e in quelle attività economiche maggiormente redditizie. Cambiando argomento, è da poco uscito il tuo nuovo libro: “Storia del Caucaso del Nord, tra presenza russa, Islam e terrorismo” (Anteo Edizioni, 2022). Parlaci sinteticamente di esso
Questo testo è frutto di una ricerca accademica unita all’esperienza di lavoro in qualità di analista geopolitico e consulente per la sicurezza che negli anni mi hanno permesso di raccogliere fonti in lingua russa e inglese, conoscere maggiormente la regione del Caucaso del Nord e comprenderne il processo storico. Il libro si pone come obiettivo quello di guidare il lettore alla scoperta e conoscenza della storia del Caucaso settentrionale mettendo in relazione il processo di islamizzazione, iniziato nel VII secolo e terminato soltanto nel XIX secolo durante la Guerra Caucasica (1817-1864), con la presenza russa che ha visto i primi contatti tra i russi e le popolazioni locali in epoca medievale fino a quando tra la fine del XVIII secolo e per tutto il XIX secolo l’impero zarista ha avviato campagne militari nella regione soggiogando con grande sforzo le tribù locali. Comprendere questo processo storico aiuta il lettore a perseguire la conoscenza di quegli eventi regionali ritenuti fondamentali e messi in risalto nel libro come l’avvicendamento tra il potere imperiale e quello sovietico, il ruolo delle confraternite sufi della Naqshbandiyya e della Qadiriyya, la deportazione di alcuni gruppi etnici nord caucasici negli anni 1943-1944 in Asia Centrale o Siberia voluta da Stalin il quale aveva accusato alcune popolazioni locali di aver collaborato con la Germania nazista, e la caduta dell’Unione Sovietica che ha dato vita nella regione ai movimenti etnonazionalistici e a quel processo di ‘re-islamizzazione’ che ha favorito la diffusione dell’Islam politico, del Salafismo, della Fratellanza Musulmana e di quelle versioni di Islam ritenute aliene al Caucaso del Nord. Se la storia passata è necessaria per conoscere il Caucaso del Nord, il libro effettua un ulteriore sforzo nell’analizzare la contemporaneità della regione focalizzandosi nei capitoli finali sul conflitto russo-ceceno, sulla trasformazione dei movimenti indipendentisti entonazionalistici in gruppi estremisti religiosi di natura islamica che nel tempo daranno vita nel 2007 all’Emirato del Caucaso guidato da Doku Umarov e, successivamente, convoglieranno nel Vilayat Kavkaz (Provincia del Caucaso) che rappresenta lo Stato Islamico nella regione, fino ad arrivare alla strategia socioeconomica lanciata nel 2010 dal Cremlino volta a contrastare i problemi locali, favorire lo sviluppo economico, creare almeno 400 mila posti di lavoro, trasformare il Caucaso del Nord in un hub logistico e turistico e quindi attirare investimenti stranieri in modo da creare standard di vita migliori e maggiori possibilità lavorative per le nuove generazioni e contrastare così la campagna di reclutamento delle diverse organizzazioni terroristiche che operano nella regione. Un testo di natura storica, religiosa, culturale che guarda però anche alla geopolitica, perché nella parte introduttiva risalta la posizione strategica che il Caucaso del Nord ha come ‘ponte’ naturale tra Europa e Asia e ‘barriera/frontiera’ tra il mondo musulmano e quello cristiano. Una regione, quella nord caucasica, che attualmente è sotto la gestione del Cremlino facente parte della Federazione Russa, ma che nel tempo ha visto gli interessi di attori regionali come la vicina Georgia e l’Azerbaigian interessati a controllare i propri confini ed evitare la propagazione di quei movimenti di militanza armata o gruppi terroristici che hanno operato all’interno della regione. A questi si possono aggiungere Iran e Turchia che guardano al Caucaso settentrionale come a un mercato interessante sia da punto di vista economico che socio-culturale. Caucaso del Nord che non è stato esente dalla propaganda dei paesi del Golfo e del mondo arabo musulmano essendo l’Islam la religione maggiormente professata e, come detto in precedenza, avendo vissuto le nuove generazioni quel processo di ‘re-islamizzazione’ o ‘revival islamico’ incentrato sulla volontà dei giovani musulmani di sostituire la leadership religiosa musulmana affiliata al Cremlino e ritenuta avere una conoscenza superficiale dell’ortodossia religiosa con figure maggiormente autorevoli, fenomeno che nel tempo, però, ha permesso anche la diffusione di quell’ideologia salafita-jihadista che è la base della propaganda di gruppi terroristici come al-Qaeda e lo Stato Islamico.
Negli ultimi 20-30 anni, il Caucaso è stato spesso interessato dalla presenza e dalla minaccia dell’islamismo radicale. Puoi parlarci delle tappe storiche che hanno riguardato questo fenomeno e, inoltre, puoi fornirci una visione d’insieme dell’attuale situazione?
Come detto in precedenza e descritto nel mio libro, l’Islam ha fatto il suo ingresso nella regione con le prime conquiste arabe del VII secolo anche se l’intero processo di islamizzazione è stato completato soltanto nel XIX secolo durante la Guerra Caucasica quando le confraternite sufi della Naqshbandiya svolsero il ruolo di collante tra le popolazioni nord caucasiche unendole nella lotta contro l’invasore esterno rappresentato dall’esercito zarista. Il rapporto tra l’autorità centrale e i circoli musulmani è stato altalenante sia in epoca zarista che in quella sovietica: durante gli anni dell’URSS Mosca decise nel tempo di supportare quello che definiva come ‘Islam tradizionale ufficiale’ e utilizzare quindi le figure religiose musulmane nella propria politica estera rivolta al mondo arabo-musulmano. La caduta dell’Unione Sovietica, come detto, ha dato vita a quel ‘revival islamico’ o processo di ‘re-islamizzazione’ che ha influenzato maggiormente le giovani generazioni stanche della leadership religiosa e desiderose di avvicinarsi all’Islam ortodosso professato in Medio Oriente. Questo fenomeno di ‘re-islamizzazione’ avveniva in concomitanza con il Primo Conflitto Ceceno (1994-1996) conclusosi con gli Accordi di Khasavyurt che separarono dalla Federazione Russa la Repubblica cecena di Ichkeria, un’entità statale caratterizzata da instabilità , traffici illegali, rapimenti, signori della guerra che nel tempo vide l’affermazione dell’estremismo religioso di matrice islamica grazie a figure come Shamil Basayev o Ibn al-Khattab. Con l’inizio della Seconda Guerra Cecena (1999-2009) causata da una serie di attentati in tutta la Russia e anche dal tentativo dei militanti ceceni di esportare la lotta nel vicino Dagestan, la propaganda religiosa e il fondamentalismo islamico si diffusero maggiormente trasformando la causa entonazionalista cecena in islamica fino a quando nel 2007 Doku Umarov diede vita a Imarat Kavkaz (Emirato del Caucaso) sancendo il completo passaggio dalla lotta per l’indipendenza da Mosca alla lotta per la creazione di un emirato in tutto il Caucaso del Nord dove far vigere la shari’a.
Nel libro si evidenzia come gli studi sono discordanti su un possibile collegamento o no dell’Emirato del Caucaso con al-Qaeda anche se, nell’ottica della guerra internazionale al terrorismo, il Cremlino ha definito il secondo conflitto ceceno come una operazione antiterrorismo che perseguiva gli stessi obiettivi che gli Stati Uniti si erano preposti dopo l’l1 settembre 2001. I dati statistici dimostrano come dal 2010 ad oggi gli attentati nel Caucaso del Nord siano andati diminuendo grazie a una strategia russa incentrata sia nella promozione dello sviluppo socioeconomico e sia nella conduzione di operazioni delle forze speciali mirate a eliminare la leadership dei gruppi terroristi locali. Così nel 2013 venne eliminato Doku Umar e nel biennio seguente la leadership di Imarat Kavkaz subì un duro colpo spingendo molti combattenti locali ad emigrare in Siria e Iraq oppure nel prestare giuramento di fedeltà allo Stato Islamico dando così vita a Vilayat Kavkaz.
Ad oggi la situazione del Caucaso del Nord è notevolmente migliorata rispetto a quella degli anni ’90 o del primo decennio del XXI secolo, anche se esistono ancora cellule terroristiche presenti nella regione così come tra le file dello Stato Islamico milita un significativo gruppo di foreign fighters nord caucasici i quali una volta tornati in patria potrebbero applicare le strategie di guerriglia armata e di attentati apprese nel contesto bellico mediorientale contro le forze di sicurezza russe.
Quali e come sono le relazioni diplomatiche dei paesi dell’Ue, compresa l’Italia, con quelli facenti parte del Caucaso settentrionale?
Essendo il Caucaso del Nord parte della Federazione Russa le relazioni con i paesi membri dell’Unione Europea sono regolate dai rapporti altalenanti tra Mosca e Bruxelles che dalla Crisi Ucraina del 2014 si sono sempre più raffreddati fino a giungere all’attuale allarmante situazione. Alcuni paesi hanno mostrato interesse nel progetto Kurorti Severnogo Kavkaza (Resort del Caucaso del Nord), in special modo la Francia, e tramite compagnie nazionali sono stati fatti degli accordi di investimento o collaborazione in tal senso.
L’Italia esercita un grande fascino sulle popolazioni nord caucasiche per motivi di natura storica, culturale, linguistica, culinaria e quindi c’è sempre una forte volontà da parte delle repubbliche nord caucasiche di creare un ponte e tessere relazioni politiche ed economico-commerciali con il mondo italiano. A limitare i rapporti e le possibilità di interazione è ovviamente l’attuale situazione esistente tra la Russia e l’Unione Europea e le sanzioni che l’Italia continua a supportare le quali impediscono lo sviluppo di relazioni economiche e commerciali durature anche se le imprese italiane hanno le potenzialità per trovare buone opportunità di investimento o di business in settori come quello del turismo e dell’agribusiness.
Quali sono stati, a tuo parere, gli eventi geopolitici più importanti che hanno riguardato il Caucaso e l’Asia Centrale tra il 2020 e oggi?
Per il Caucaso è doveroso citare il Conflitto del Nagorno-Karabakh dell’autunno 2020 che in 44 giorni ha visto l’Azerbaigian conquistare parte del territorio che considerava perduto durante il conflitto precedente del 1992-1994 e fatto sprofondare l’Armenia in una crisi politica interna causata da una sconfitta che ha sottolineato i limiti militari e strategici di Erevan e la forte dipendenza dal supporto di Mosca. Un conflitto che ha cambiato l’assetto geopolitico e strategico regionale caucasico facendo assurgere la Turchia ad attore chiave in contrapposizione alla Federazione Russa e che, come ulteriore conseguenza, ha dato vita a una serie di progetti logistici e di trasporto regionali in grado di connettere maggiormente il Caucaso con l’Europa e l’Asia.
In Asia Centrale, estendendo i confini, si potrebbe dire che il ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan e la caduta di Kabul in mano dei talebani è stato l’evento geopolitico più importante, perché ha ravvivato il sistema di alleanze e cooperazione delle repubbliche centro asiatiche desiderose sia di rafforzare i propri confini e proteggerli da possibili incursioni di gruppi di terroristi presenti in territorio afghano e sia di incrementare la cooperazione economica in modo da rafforzare il mercato regionale connesso con la Belt and Road Initiative di Pechino, con l’Unione Economica Euroasiatica di Mosca, ma anche con gli interessi dell’Unione Europea e con la nuova strategia per l’Asia Centrale degli Stati Uniti. Quanto avvenuto nel vicino Afghanistan è un evento il cui impatto continuerà a influire sulle dinamiche centro asiatiche sottolineando gli interessi non solo di Cina, Russia e Stati Uniti, ma anche quelli di Pakistan, India, Turchia, Iran e le monarchie del Golfo, tutti interessati a porre la propria presenza e influenza nel mercato e nelle dinamiche politiche dell’Asia Centrale.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------
FOTO: Wikimedia Commons
Commenti
Posta un commento
Partecipa alla discussione