La servitù volontaria. La grandezza di Etienne De La Boetie splende tuttora tra noi

feb 20, 2022 0 comments


Di Alessandrino

Voglio proporre una riflessione a tutti i lettori.

Nelle parole (che leggerete) di colui che Michel de Montaigne definì “il più grande uomo del suo tempo”, troviamo la macabra e succulenta relazione che intercorre tra il tiranno e i suoi lacchè.

Vi ricorda qualcosa?

Il “Discorso della servitù volontaria” è un capolavoro così odierno, così imponente, così reale.

Leggendolo, respiriamo i nostri tempi e comprendiamo quanto l’essere umano si infligga punizioni e sofferenze e quanto sia ancora animalesco nel suo convivere sociale.

Di come si senta formica all’interno di un formicaio.

Fermiamoci un istante e pensiamo lucidamente. Ritroviamo quei gesti inconsueti che nella frenesia goliardica dell’informazione istantanea castriamo dalle nostre menti.

Dal “Discorso della servitù volontaria” di Etienne De La Boetie

“È dunque davvero penoso che, vedendo tanti chiarissimi esempi, vedendo il pericolo così imminente, nessuno voglia imparare dalle sventure altrui; e che tra i molti che si accostano così volentieri ai tiranni non ve ne sia uno che abbia l’intelligenza o il coraggio per dirgli quel che disse, secondo la favola, la volpe al leone che si fingeva malato: ‘Verrei anche a farti visita nella tua tana; ma vedo parecchie tracce di animali andare in quella direzione, non ne vedo però alcuna sola che torni indietro.’

Questi miserabili vedono scintillare i tesori del tiranno e rimirano sbalorditi i raggi del suo fasto; adescati da questo bagliore, si avvicinano e non vedono che stanno gettandosi in una fiamma che inevitabilmente li consumerà; come il satiro curioso delle vecchie favole il quale, vedendo brillare il fuoco rubato da Prometeo, lo trovò talmente bello da baciarlo e finire bruciato; o come la farfalla che, sperando di trarne qualche piacere, poiché riluce, sperimenta l’altra virtù del fuoco, quella che brucia, come dice il poeta toscano. Ma pur immaginando che questi favoriti sfuggano alle mani del sovrano che servono, non si salveranno mai dal suo successore; se è buono, dovranno riconoscerlo e accettarne la legge; se è cattivo e simile al loro precedente signore, avrà di certo anche lui i suoi favoriti, che non si accontenteranno di prendere il posto degli altri, ma ne vorranno le ricchezze e le vite.

Come è dunque possibile che, di fronte a un pericolo così grande e a garanzie così esigue, si trovi qualcuno che voglia assumersi il disgraziato incarico di servire, in sì gran pena, un padrone tanto pericoloso?

Quale pena, quale martirio è mai questo, o buon Dio? Giorno e notte cercando di piacere a qualcuno che si teme più di qualsiasi uomo al mondo; con gli occhi sempre aperti, le orecchie sempre tese, per intuire dove verrà il colpo, per prevedere le imboscate, decifrare i volti dei compagni, per capire chi tradirà, ridere con tutti e avere paura di ciascuno, non avere nemici dichiarati né amici sicuri; sempre con il sorriso sul volto e il gelo nel cuore; non poter essere felice, e non osare essere triste!

Ma è bello vedere che cosa ricavano da questo gran tormento, la ricchezza che possono aspettarsi da queste pene e da questa loro vita miserabile.

Del male di cui soffre, il popolo preferisce di norma accusare non il tiranno, ma i governanti: di costoro i popoli, le nazioni, il mondo intero, sino all’ultimo contadino e artigiano conoscono i nomi, scrutano i vizi, li ricoprono di mille offese, di mille insulti, di mille maledizioni.

Tutte le loro prediche, tutte le loro speranze sono rivolte contro di loro; tutte le disgrazie, tutte le calamità, tutte le carestie vengono messe sul loro conto; e se talvolta apparentemente gli tributano degli onori, anche in quel caso, in cuor loro, li maledicono e li temono più delle bestie feroci.

Ecco la gloria, ecco l’onore che traggono dal servizio verso persone che, se anche ricevessero ciascuna un brandello del loro corpo, non sarebbero a quanto pare ancora abbastanza soddisfatte, né risulterebbe alleviata anche solo la metà delle loro pene.

E pure dopo la loro morte, le generazioni che seguono non si danno tregua fino a quando il nome di quei mangiapopoli non viene macchiato dall’inchiostro di mille penne, la loro reputazione fatta a pezzi in mille libri, e le loro stesse ossa, per così dire, non vengono trascinate dai posteri a punizione postuma della loro vita malvagia.

Impariamo dunque una buona volta, impariamo a fare bene.

Alziamo gli occhi al cielo, per il nostro onore, o per amore della virtù, o, per parlare con cognizione di causa, per l’amore e l’onore di Dio onnipotente, fido testimone dei nostri atti e giudice equo dei nostri misfatti.

Dal canto mio, e non credo di sbagliare.

Penso davvero che non vi sia nulla di più contrario a Dio, alla sua liberalità e bontà, della tirannia.

E che ai tiranni e ai loro complici egli riservi laggiù qualche pena speciale.”

Photo by monkeyoutside on Unsplash 

FONTE: https://www.mittdolcino.com/2022/02/15/la-servitu-volontaria-la-grandezza-di-etienne-de-la-boetie-splende-tuttora/

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