La crisi russo-ucraina ha un’importanza centrale in un mondo in cui si vanno sgretolando i precari equilibri successivi alla Guerra Fredda. I rischi potenzialmente enormi di un conflitto con la Russia chiamano in causa l’Europa, eterogenea sotto moltissimi aspetti tra i quali vi è anche la percezione della Russia. Non si dimentichi peraltro che la Russia è anche Europa: la figura di Pietro il Grande continua ad ispirare la politica putiniana che unisce un pragmatismo eurasiatico e una sincera apertura a occidente. Tuttavia non è questa la sede opportuna per parlare della complessa e difficilmente definibile “identità russa”.
Comprendere la Russia non significa essere “filorussi”. La strategia sovietica fin dall’inizio della Guerra Fredda è stata quella di interporre più spazio possibile tra Mosca e i potenziali invasori da occidente (la Russia sia zarista che sovietica è stata più volte aggredita da ovest). Rientra in questo piano la strategia di neutralizzazione della Germania portata avanti da Stalin (poi diventata spartizione), così come la creazione degli stati cuscinetto delle “democrazie popolari”.
L’Urss si è suicidata tutto sommato pacificamente. Il suo collasso non è stato conseguenza diretta di una guerra come avvenuto per la gran parte degli imperi storici e la sfera d’influenza russa si è ridotta enormemente senza colpo ferire. Gorbachev inizialmente ha chiesto una promessa informale sul non allargamento della Nato ad Est, totalmente disattesa. Putin negli anni duemila ha provato nuovamente a trattare con l’Occidente, cercando finanche di integrare la Russia nelle organizzazioni occidentali: non solo non è stato ascoltato ma gli Usa hanno risposto con un ulteriore allargamento della Nato e con la guerra in Iraq, agendo da unico attore globale con percezione unipolare. La Russia di conseguenza è stata spinta sempre più a Oriente, tra le braccia della rinascente potenza cinese.
Adesso, a differenza degli anni della Guerra Fredda, non esistono quasi più stati cuscinetto – solo la Bielorussia – e in assenza di una zona grigia tra Nato e Russia, quest’ultima considera estremamente pericoloso il rischio di accerchiamento e di penetrazione militare americana.
Questa è la percezione dei russi, i quali non possono escludere aprioristicamente un futuro attacco da occidente che troverebbe la strada spianata a causa dell’assenza di barriere naturali nella grande pianura della Russia europea. Per la Russia, dopo anni di incomprensioni, crisi e conflitti mai fortunatamente allargatisi, siamo arrivati al capolinea: gli unici Stati che fungono da “barriera” tra Nato e Russia sono Ucraina e Bielorussia. Se gli statunitensi costruissero basi militari al confine russo-ucraino e magari in futuro anche al confine bielorusso, la Russia si troverebbe ad avere la prima linea di difesa a poche centinaia di chilometri di distanza dal cuore della Russia (Mosca e San Pietroburgo) e non più in territori “cuscinetto”; in altre parole: un incubo. La Russia dovrebbe persino considerare in modo maggiormente realistico un attacco atomico su Mosca nella prospettiva apocalittica di un conflitto nucleare, altamente improbabile ma che nessuna grande potenza può escludere a priori.
Ignorare la storia e la geografia può essere molto pericoloso, soprattutto se si ignorano le linee rosse di una grande potenza nucleare. Certamente in Europa esistono altre percezioni differenti da quella russa – o opposte ad essa – storicamente comprensibili e di cui bisogna tenere conto per la costruzione di un ordine di sicurezza europeo maggiormente stabile. Tuttavia i paesi europei, Italia in primis, commetterebbero un grave errore se inseguissero pedissequamente la russofobia della “Nuova Europa” o “Nuova Nato”, sostenuta strumentalmente dagli Stati Uniti con finalità tattiche dalla dubbia o inesistente dimensione strategica.
Stressare così tanto la Russia è una follia ed è da irresponsabili. Una superpotenza egemone come gli Usa dovrebbe comprendere le linee rosse della controparte e farsi garante – dopo opportune trattative – di un ordine di sicurezza che non comprometta una convivenza pacifica. La Russia non vuole mettere in discussione l’ordine egemonico mondiale; lo farà forse la Cina nel lungo periodo (se la crescita economica lo consentirà); la Russia non ha né le potenzialità economiche né la volontà di mettere in discussione la declinante egemonia statunitense. Mosca è disponibile a un accordo sistemico con gli Stati Uniti che scongiuri una presenza militare occidentale in Ucraina e che tenga conto delle priorità strategiche russe. Gli Usa non sembrano tuttavia disposti ad alcun accordo paritario e non si capisce cosa vogliano ottenere esattamente con la minaccia di un’ulteriore espansione sconsiderata della Nato, stressando oltremodo una grande potenza nucleare, fomentandone gli incubi di un attacco da occidente.
In Italia bisognerebbe discutere apertamente di questi temi senza paraocchi ideologici, ascoltando ad esempio figure di grande rilievo come l’ex ambasciatore Sergio Romano, grande esperto di Russia, che ha dichiarato il suo assenso a una soluzione che non includa l’Ucraina nella Nato e parlando con Il Manifesto ha ricordato che “l’Urss non c’è più” e non bisogna continuare con la “costante ricerca del nemico”. Tuttavia i costanti richiami ad una dogmatica “fedeltà atlantica” provenienti dalla gran parte delle forze politiche (senza neppure aspirare ad avere margini di manovra all’interno del recinto atlantico) sono indicativi del rifiuto di un serio dibattito su questioni di grande rilevanza nazionale e internazionale.
“La Russia è parte dell’Europa e della sua storia, non ho mai avuto dubbi in proposito. Mi sono scontrato con molte persone che non lo credevano, ma ogni volta ho constatato che se non lo credevano avevano una ragione che in fondo era una convenienza a dirlo: perché secondo loro, diplomatici e storici, la Russia rappresenta un ostacolo, una difficoltà che limita il loro Paese…Non ho mai creduto a questo scetticismo verso la Russia”.
Sergio Romano, intervista a “Il Manifesto”, 8 febbraio 2022.
FONTE: https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/russia-sergio-romano/
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