Di Vincenzo Costa
La pandemia ha fatto emergere un enorme problema nel rapporto tra i saperi, e in particolare tra filosofia e scienza. Da un lato sembra esservi una filosofia che pretende di saperne più degli scienziati, dall’altro una scienza che tende a considerare la filosofia come mero discorso ideologico, da usare (quando conviene, tipo ciliegina che abbellisce la torta) o da irridere, quando non conviene, quando dice qualcosa che stona. I meccanismi mediatici diventano poi terribili, stritolano, diventano violenti verso le persone, le idee e verso un intero settore disciplinare. C’è un grosso rischio, che riguarda la razionalità , e bisogna iniziare ad affrontarlo in maniera razionale e pacata.
Ora, senza entrare in un’analisi precisa della questione, a me pare che si stiano confondendo molte cose. In particolare, la filosofia ha (deve avere) una funzione critica nei confronti della scienza, ma il termine “critica” va ben compreso.
“Critica” (Critica della ragione pura, per Kant, Critica dell’economia politica, per Marx) non significa che la filosofia critica asserzioni specifiche della scienza. Questo tipo di critica, per essere razionale, è interna alla scienza, è la scienza stessa che la sviluppa: Einstein critica Newton, Bohr critica Thomson. Ma Kant non critica Newton nello stesso senso in cui lo fa uno scienziato. Kant “critica” Newton nel senso che cerca di portare alla luce i presupposti (filosofici) che stanno alla base della fisica newtoniana. Hume critica la matematica nel senso di cercare di portare alla luce i presupposti della matematica, e quando invece prova a criticare la matematica in termini matematici un suo caro amico, a cui sottopone il manoscritto, gli consiglia di non pubblicarlo. E credo che quel manoscritto non ci sia neanche pervenuto, ma potrei sbagliarmi. Husserl critica la geometria, ma nel senso che si chiede: da dove derivano e che consistenza hanno i suoi concetti elementari. E pur essendo un matematico di professione non confonde mai la ricerca matematica con la filosofia della matematica.
Nel mio piccolo mi è capitato di occuparmi di filosofia della medicina, ci ho scritto un libro ed è uno dei miei ambiti di ricerca, ma filosofia della medicina significa chiedersi quali sono i presupposti ontologici della medicina moderna (lo fanno Foucault e Canguilhem tra molti altri, e gli altri sono molto meglio per la verità ), quali sono le sue procedure di validificazione (per esempio la struttura dell’EBM, che cosa porta alla luce e che cosa oscura, oppure quale è la struttura epistemologica di una diagnosi, che tipo di causalità viene usata in medicina).
E tuttavia, se vi può essere una critica fenomenologica della medicina non vi può essere una medicina filosofica, che sarebbe altrettanto aberrante di una chimica fenomenologica. Né il fatto di effettuare una critica ontologica ed epistemologica della medicina abilita il filosofo a dire alcunché sulla medicina, cioè a passare da una critica filosofica dei fondamenti a una critica interna, per esempio a dire che una certa teoria del glioblastoma è giusta o sbagliata. Occorrono due competenze del tutto differenti.
La medicina la devono fare i medici, e il filosofo deve solo (e non credo sia poco) produrre un surplus di consapevolezza relativo all’ambito concettuale entro cui lo scienziato si muove. Ma guai se il filosofo intendesse parlare di medicina. Per farlo deve avere una competenza medica, e magari un dottorato, e magari un dottorato specifico su quel campo specifico, altrimenti si espone a critiche giustificate.
Si deve appoggiare su dati raccolti in giro ma che non è in grado di valutare.
Paradossalmente, in questo modo accetta proprio il principio di autorità , solo che si appella a una diversa autorità . Quale? Non all’autorità della comunità scientifica, ma all’autorità di singoli scienziati che scartano e deviano dalle linee seguite dalla comunità scientifica. E perché mai QUESTA autorità dovrebbe essere più attendibile di quella della comunità scientifica in quanto tale, che si esprime poi in istituti regolatori e di vigilanza? Alla fine ognuno si cerca gli scienziati che dicono quello che desidera sentire. E questo è irrazionalismo puro e semplice.
Un filosofo non può correggere un virologo e un epidemiologo sul suo terreno. La discussione tra punti di vista diversi deve avvenire entro un ambito di competenze determinate: due virologi che la pensano diversamente possono esporre i loro punti di vista alternativi, ed esporli non su FB, ma in primo luogo davanti alla comunità scientifica e poi di fronte all’opinione pubblica.
La scienza è democratica, è pubblica, ma questo non significa che ognuno può dire la sua: vuol dire che è basata sul dibattito, il quale presuppone conoscenze e competenze riconosciute (non la laurea su FB), e avviene in pubblico, davanti a tutti.
Questo è essenziale per ripristinare un rapporto di fiducia con la scienza, un rapporto dialettico ma di rispetto tra filosofia e scienza. Ho scritto un libro di filosofia della medicina, ma non mi curo da me, mi fido di più del mio semplice medico di base, a maggior ragione di uno specialista se c’è un problema. Mi guardo bene dal dare consigli ad altri su come curarsi, e sarebbe criminale se lo facessi: consiglio loro di recarsi da uno specialista.
Questo non è scientismo, e non è neanche mero buon senso: è il nucleo stesso del pensiero filosofico, è il modo in cui la filosofia si ritaglia un ambito di rigore, un suo campo specifico, che ha una sua dignità , una sua importanza, per me fondamentale. E’ il modo in cui dialoga con il sapere scientifico, senza confondersi con esso e senza pretendere di saperne più degli scienziati nel loro specifico campo di competenza.
Con alcuni neuroscienziati che mi onoro di avere tra i miei amici è capitato di dissentire, di fare lunghe discussioni, ma il mio dissenso era sui concetti filosofici che assumevano (per esempio, nel caso dei neuroni specchio, se adottare la nozione di empatia tratta da Lipps, da Scheler o da Husserl), ma quando parlavano del cervello, di quello che accade in esso, di come fanno i loro esperimenti, mi limitavo e mi limito ad ascoltare, ad imparare, a volte sono strabiliato dalla precisione o dall’inventività dei loro esperimenti. Sarebbe un errore se la filosofia pretendesse di insegnare loro qualcosa sulla struttura del cervello e sui nessi neurali. La filosofia si renderebbe ridicola.
Ecco, ultimamente abbiamo fatto tutti un po’ di confusione, e una discussione aperta e autocritica credo sia necessaria, in primo luogo per il bene della filosofia, e poi per la credibilità della scienza, e – perché no? – per non avvelenare la nostra sfera pubblica e la nostra vita democratica.
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