Quando la fantasia supera la realtà. “Il Vomerese” di Veraldi, il romanzo che annunciò il sequestro Dozier

dic 22, 2021 0 comments


Di Emiliano Di Marco

Nel 1980 un romanzo anticipò il sequestro del generale Dozier e descrisse gli intrecci e le trame delle Brigate Rosse, tra servizi segreti russi, americani e italiani, nel pieno dello scontro tra palestinesi ed israeliani. Una spy story che disegnò l’identikit del capo delle BR, il criminologo Giovanni Senzani. Una storia ambientata a Napoli che, riletta alla luce delle indagini degli ultimi anni, non finisce di stupire.

“La perfezione non esiste, (…) sfugge solo ciò che non si vuol sapere.” Del resto, non era questo il principio stesso su cui si basava ogni servizio d'informazioni? (Il Vomerese, pag. 191)

È l'inizio del 1980, l'anno della strage di Ustica e di Bologna, dell'assassinio di Walter Tobagi e di Vittorio Bachelet, dello sciopero dei quarantamila colletti bianchi della Fiat a Torino, del terremoto dell'Irpinia, della rivolta del carcere di Trani e del progetto di rapimento di un alto ufficiale del comando generale della Nato di Bagnoli, l'ammiraglio Schneck, per la cui riuscita viene impegnata per mesi tutta l'organizzazione centro meridionale di Azione Rivoluzionaria, coordinata da un veterano antifascista, originario del quartiere partenopeo del Vomero: Gerardo Guerra all'anagrafe, il “Babbo” il “Vecchio” e il “Vomerese” per i componenti l'organizzazione rivoluzionaria.

l rapimento dell'ammiraglio Schneck rappresenta un vero e proprio salto di qualità per la colonna napoletana e per tutta l'organizzazione di Azione Rivoluzionaria, composta di giovanissimi militanti di diverse provenienze sociali e politiche, passati nel giro di pochi anni dallo spontaneismo alla clandestinità.

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La complessa operazione si sviluppa principalmente a Napoli, con brevi toccate e fuga a Londra ed Atene. Gerardo Guerra, il “Babbo”, è l’unico tramite tra il misterioso “onorevole” Aruta, il quale in realtà non è un onorevole ed ha da poco assunto il ruolo che precedentemente era gestito da Parisi, un compagno di lotta e di clandestinità di Gerardo Guerra, sin dalla guerra civile spagnola, morto “improvvisamente”.

Azione Rivoluzionaria è irreggimentata in compartimenti stagni, per cui i militanti non si conoscono tra di loro, ed a sua volta l’”onorevole” è l’unico tramite tra Guerra e l'esecutivo, il vertice segreto dell'organizzazione rivoluzionaria. L’arrivo del nuovo “commissario” politico Aruta ha coinciso con l’adozione di un indirizzo marcatamente militarista, con l’aumento progressivo degli attacchi contro i “simboli” dello Stato, portati avanti con ferocia, creando però malcontento nella base dell'organizzazione, che vede allontanarsi sempre di più gli obiettivi politici per la svolta rivoluzionaria e aumentare il distacco dalla realtà sociale.

Il vertice dell'organizzazione ha pianificato di effettuare il rapimento dell'ufficiale della Nato su richiesta del Fronte della Causa Internazionale, il Felix Complex, un'organizzazione internazionale di mercenari filo-palestinesi, conosciutisi in gran parte tra di loro frequentando l'Università dell'amicizia tra i popoli di Mosca, la Lumumba, ed addestrati alla guerriglia al campo di Matanzas a Cuba. Il Felix Complex è stato creato da un professionista portoghese, Felix Cabral, che si spaccia anche per venezuelano, con il nome di Carlos Villamil. Felix Cabral, oltre che con i palestinesi, ha solidi legami con la Libia, ed è a sua volta spiato dall'immancabile Mossad, nonché controllato a vista dai servizi segreti sovietici e dagli americani, per i quali Napoli è territorio di competenza per operazioni nelle quali i servizi segreti italiani si limitano solo ad un ruolo di supporto. In cambio della riuscita dell'operazione il Fronte garantirà sostegno militare e logistico, armi e addestramento nei campi in medio oriente ad Azione Rivoluzionaria.

La delicatezza dell’operazione è dovuta al riallacciamento dei rapporti politici e militari, sette anni dopo il tragico fallimento dell’unico precedente di operazione congiunta con il Fronte, nel 1973, che aveva portato allo smantellamento del nucleo romano dell’organizzazione. Allo scopo di verificare le effettive capacità della colonna napoletana, onde evitare un ulteriore fallimento politico, viene inviato un emissario palestinese, Mahmoud, che si fa chiamare Grenoble, al quale viene consentito di interrogare personalmente i membri dell’organizzazione entrati nel livello di “massima sicurezza” della clandestinità, dopo il suicidio in carcere di un giovane militante, a pochi giorni dal suo arresto.

Nei vari colpi di scena che si succederanno però, tra agenti segreti israeliani, russi, bulgari e americani, la direzione delle vicende porterà ad una realtà ben diversa, in cui lo scontro all’interno delle fazioni palestinesi, tra quella capeggiata da George Habash e quella da Wadi Haddad, spingeranno i servizi segreti russi ed americani – ed il vertice di Azione Rivoluzionaria – ad un obiettivo molto lontano da quello dichiarato. Il vecchio Gerardo Guerra, che aveva accettato l’operazione pur non fidandosi di Cabral, ottiene conferma che il portoghese ha commesso delle imprudenze sin dal suo arrivo in Italia, tali da poter inevitabilmente compromettere l’esito del progettato sequestro. Disilluso e travolto dai dubbi, insospettitosi anche dalla prevedibilità dei movimenti dell’auto dell’ammiraglio Schneck, che da settimane segue sempre lo stesso identico percorso, spiato a sua volta dai sovietici; dopo aver realizzato che l’operazione di sequestro dell’ammiraglio è una trappola dietro la quale si nasconde il doppio (triplo e quadruplo) gioco di Felix Cabral e dell’onorevole Aruta e dei servizi segreti americani e russi, Gerardo Guerra manda a monte il piano fino al tragico epilogo del romanzo, in cui morirà insieme ai suoi compagni nell’esplosione di un’autobomba.

Ad intrecciarsi nella fitta trama di complotti e tradimenti, la storia d’amore tra due militanti dell’organizzazione, Massimo e Sara, che in seguito diventeranno Fausto e Diana, il cui vero nome all’anagrafe è però Gennaro e Laura, provenienti da due condizioni sociali e culturali opposte tra loro; Massimo (Gennaro) figlio di una famiglia povera, e Sara (Laura) che invece proviene dalla ricca borghesia vomerese. Sara ha da poco perso il fratello gemello, anch’egli militante di Azione Rivoluzionaria, morto suicida in carcere e sospettato di aver confessato alla magistratura qualcosa sulla struttura dell’organizzazione clandestina, scatenando un clima di veleni e sospetti tra i protagonisti del romanzo.

Gerardo Guerra, per accertarsi della fedeltà del suo gruppo di fuoco, arriverà a predisporre un finto verbale d’interrogatorio, nel quale il fratello di Sara avrebbe rivelato i nomi dei componenti della colonna rivoluzionaria alla magistratura, mostrandolo a Massimo e costringendo Sara a convincersi che il fratello ha effettivamente tradito l’organizzazione. Lo scopo vero del vecchio capo, che vede la relazione tra Massimo e Sara come un fattore di rischio per il gruppo, è quello di allontanare la ragazza da Massimo o di eliminarla, seguendo un testardo convincimento che nel corso della narrazione si rivela non solo ingiusto e crudele ma anche profondamente radicato nell’incapacità del “babbo” di risolvere i fantasmi del suo passato personale, legato all’unica vera storia d’amore che ha vissuto, quando aveva appena vent’anni, con una donna che si chiamava Anna, morta poco dopo la loro separazione.

Attilio Veraldi, un napoletano in giallo

Questa è, in estrema sintesi, la trama di Il vomerese dello scrittore napoletano Attilio Veraldi, traduttore raffinato di oltre cento opere di letteratura nordamericana, tra cui Henry Miller, Malcolm Lowry, Raymond Chandler, Dashiell Hammett, Wilbur Smith, John Updike, Jim Thompson, John Le Carré e Kurt Vonnegut. Veraldi, che da giovane ha vissuto a Londra ed in Svezia, annovera nel suo carnet di traduttore anche opere di Soren Kierkegaard e di August Strindberg.

Trasferitosi a Milano negli anni ’50, iniziò la sua carriera  presso la casa editrice di Giangiacomo Feltrinelli, a stretto contatto con l’eclettico editore. Dopo una parentesi a Trinidad e Tobago, durante la quale ha collaborato con il consolato italiano, nel 1966 Veraldi ritornò al suo lavoro di traduzione, traducendo magistralmente Last Exit to Brooklyn (Ultima fermata Brooklyn), l’opera scandalo di Hubert Selby jr, imprimendole un linguaggio da strada, simile a quello che echeggiava nelle espressioni della lingua junkie di William Burroughs (tradotta in italiano da Giulio Saponaro per la SugarCo). Nel suo primo romanzo, pubblicato nel 1976, La Mazzetta, ispirato alla letteratura hard boiled di Hammet e Chandler (scritto all’età di cinquant’anni sotto gli auspici di Mario Spagnol, direttore responsabile della Rizzoli e con la benedizione di Oreste Del Buono), precursore del noir mediterraneo, con uno stile narrativo che in seguito ispirerà scrittori come Massimo Carlotto, Veraldi introdusse la figura di Sasà Iovine, un commercialista napoletano in una città descritta non nelle consuete oleografie letterarie, a contatto con un capitalismo rampante, truffaldino e rapace. Nel 1978 è la volta del romanzo L’uomo di conseguenza, quindi de Il Vomerese, scritto con una prosa a scatti, ritmica, con un succedersi senza pausa di colpi di scena, una macchina narrativa tra le meglio congegnate nel panorama letterario di genere popolare del periodo.

Pubblicato da Rizzoli nel 1980, tra spy story e romanzo fantapolitico, Il Vomerese è da considerarsi sicuramente il primo romanzo italiano ad affrontare il tema del terrorismo nazionale ed internazionale.

La fotografia di un passaggio storico

Ma Il Vomerese non è solo questo, è una fotografia del ribaltamento dei ruoli di vittima e carnefice, servo e padrone, che stava avvenendo realmente in quello che è stato il periodo più oscuro della lotta armata in Italia, collocabile tra la confessione di Marino Pallotto (arrestato nel dicembre del 1979 e morto suicida il 29 luglio del 1980) che fece arrestare i componenti della colonna romana delle BR, tra cui Paolo Santini, arrestato e prontamente rilasciato nel dicembre del 1979, il quale rivelò di aver agito nel nucleo romano per conto dei carabinieri, infiltratosi durante il periodo del sequestro Moro; e l’assassinio di Walter Tobagi, fino all’arresto di Mario Moretti, che segna l’inizio della sconfitta militare e politica delle Brigate Rosse.

È la fase successiva al tragico epilogo del sequestro Moro, la catastrofe antropologica in cui emerse il problema degli infiltrati e del pentitismo, tra scissioni politiche e separazioni, tra innalzamento dello scontro contro i simboli dello Stato, perso di vista il cuore, e la ritirata strategica: il periodo di Giovanni Senzani al vertice delle Brigate Rosse, che a Napoli entrarono in azione per la prima volta il 19 maggio del 1980, con l’assassinio dell’assessore regionale della Campania, con delega al Bilancio, Pino Amato, esponente della DC che per anni era stato direttore amministrativo del Formez.

Sono queste le quinte del racconto crepuscolare de Il Vomerese, della sconfitta della lotta armata, prima di tutto sul piano psicologico, in una città, Napoli, in cui le ombre umane, diverse dai protagonisti, sono sempre sullo sfondo, quasi non viste, se non come parte di una mappa dei nascondigli e delle vie di fuga dal potere degli apparati repressivi, che si manifesta più come un’ombra che si aggancia ai personaggi, come un apparato di sorveglianza di massa, un dispositivo panottico di cattura.

Il romanzo è stato anticipatore di un episodio che ebbe effettivamente seguito un anno dopo, con il sequestro del generale James Lee Dozier a Verona da parte dell’ala militarista delle Brigate Rosse. Il 17 dicembre del 1981Antonio Savasta e Pietro Vanzi si presentarono in tuta da idraulici nell’appartamento di via Lungo Adige 5 a Verona, dove viveva il generale Lee Dozier, comandante delle forze terrestri nel sud Europa del comando NATO-FTASE. I due finti operai si presentarono dicendo alla moglie del generale Dozier che dovevano controllare una perdita al termosifone riuscendo così ad entrare in casa ed immobilizzare i coniugi. Dozier venne poi tenuto prigioniero per 42 giorni in un covo delle Brigate Rosse in via Pindemonte, a Padova, fino alla liberazione da parte dei NOCS, le teste di cuoio della Polizia, il 28 gennaio del 1982. Durante la detenzione, il generale Dozier non fu interrogato in quanto nessuno dei sequestratori conosceva l’inglese e fu obbligato per 14 ore al giorno a sentire con delle cuffie la stessa canzone mandata a ripetizione, Kill the Poor dei Dead Kennedys.

Curiosamente, anche nel romanzo ad un certo punto viene effettuata un’incursione in un appartamento con due militanti di Azione Rivoluzionaria travestiti da operai del gas che fingono di dover effettuare un controllo. Ma le coincidenze non si limitano a questo.

La mente rossa

La somiglianza del personaggio Felix Cabral con il venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, noto come il comandante Carlos, è quasi un omaggio di Veraldi a colui che già dal 1975 era uno dei rivoluzionari più ricercati al mondo, una sorta di leggenda vivente. Carlos, che si era addestrato al campo di Matanzas a Cuba, aveva costituito il gruppo Separat (detto anche “gruppo Carlos”) di cui facevano parte componenti provenienti da diversi paesi, con i quali ha effettuato alcune delle più spettacolari azioni condotte negli anni ’70 per il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Come il personaggio del romanzo, anche Carlos per un periodo ha vissuto a Londra, dopo la separazione dei genitori, per poi trasferirsi alla Lumumba di Mosca. La rete di relazioni di Carlos si estendeva dal Medio Oriente al Sudamerica, e non disdegnava rapporti con i principali servizi segreti dei paesi socialisti, come il KGB e la Stasi.

Carlos, tuttora in carcere in Francia, ha confermato in un’intervista rilasciata nel 2008 l’esistenza di una trattativa a Beirut per la liberazione di Moro, tra i servizi segreti italiani e esponenti delle fazioni palestinesi, tramite il colonnello Giovannone, capocentro del Sismi, secondo una richiesta di Aldo Moro stesso. L’8 maggio del 1978, un giorno prima dell’assassinio dello statista democristiano, un executive del Sismi si recò a Beirut per prelevare i mediatori nello scambio che era stato pattuito, ma l’operazione sfumò, secondo Carlos, per una “improvvida” segnalazione di Bassam Abu Sharif, un dirigente del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, al Sismi, il quale invece avrebbe semplicemente usato la linea di comunicazione speciale che lo stesso Sismi aveva messo a sua disposizione, che inspiegabilmente non fu attivata.

L’esistenza di un patto segreto tra il Sismi ed il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina troverebbe conferma in un documento pubblicato da Quotidiano.net, nel settembre del 2015, in cui il colonnello Giovannone riferisce ai suoi superiori, ben prima del sequestro Moro, che in un colloquio con George Habbash, leader del FPLP, ha avuto notizia di una imminente grossa operazione terroristica. E’ di estremo interesse notare che nel testo il colonnello del Sismi riporta che Habbash lo avrebbe rassicurato relativamente al rispetto degli impegni intrapresi per escludere l’Italia dai piani terroristici dell’organizzazione. Dal testo si evincerebbe che il Lodo Moro non riguardava solo il patto per consentire al FPLP l’utilizzo del nostro paese come base logistica e per l’approvvigionamento di armi, ma concerneva anche uno scambio informativo.

L’organizzazione protagonista del romanzo di Veraldi, Azione Rivoluzionaria, ha invece tutte le caratteristiche di somiglianza con la colonna napoletana della Brigate Rosse, organizzata dal criminologo Giovanni Senzani, al quale sembrerebbe ispirarsi anche la figura di Gerardo Guerra, nonostante le evidenti differenze generazionali.

Gerardo Guerra, nel romanzo, è un veterano che ha avuto un’esperienza da giovanissimo nella guerra civile spagnola, prima di venire confinato dai fascisti a Ventotene. La sua solitudine sentimentale è confortata solo dal ricordo del suo amore giovanile per Anna, una compagna che lasciò quando era esule in Francia, prima di andare a combattere in Spagna.

Guerra è così descritto in Il Vomerese:

È un noto sociologo (…) Un suo testo era stato tradotto e adottato all’università di Yale. Ricordo il titolo, La società rivoluzionaria. Ma poi fu messo all’indice nel ’68, come una goccia d’acido che tenda a allargarsi e corrodere tutt’in giro. (Il Vomerese, pag. 75)

Si tratta di un profilo non lontano da quello predisposto dal ministero dell’Interno durante il sequestro di Aldo Moro, a proposito dell’identikit della figura che avrebbe potuto essere in grado di gestire negli interrogatori la personalità di uno statista di quel livello:

Cultura e probabilmente incarico docente di livello universitario. Appropriate conoscenze della politica italiana in tutti i suoi risvolti o almeno i più significativi, ivi compresi quelli attinenti a impegni più propriamente di governo. Buona cognizione della storia italiana repubblicana. Età medio adulta, dato che per taluni passaggi storici mostra di sapere reggere una conversazione sulla base di esperienze non ricavate da letture ma in qualche modo vissute direttamente. (Miguel GotorIl memoriale della Repubblica, pag. 477)

Giovanni Senzani, apprezzato criminologo e sociologo, nato a Forlì nel 1942, laureatosi a Bologna con una tesi di laurea sugli istituti penali, aveva iniziato la sua carriera conducendo un’inchiesta sulla condizione carceraria (L’esclusione anticipata. Rapporto da 118 case di rieducazione per minorenni, Jaca Book) di cui pubblicò un resoconto anche sul settimanale L’Espresso, il 4 maggio del 1969. Nello stesso periodo si trasferì a Roma, con sua moglie, Anna Fenzi, che lavorava per la casa editrice Feltrinelli, prendendo una casa a via della Vite n.66, nei pressi di piazza di Spagna.

All’inizio degli anni ‘70 si occupò del disagio giovanile in California, in collaborazione con l’università di Berkeley, dove andò come borsista e dove avrebbe conseguito una specializzazione post laurea. Nel periodo in cui ha vissuto negli Stati Uniti (quattro anni secondo il faccendiere del Sismi, Francesco Pazienza) la casa di Senzani è stata abitata da Luciano Bellucci, un personaggio che nel 1981 diventò agente del Sismi, con cui il criminologo sarebbe rimasto in rapporti di amicizia fino al giorno del suo arresto. Bellucci ha riferito al giudice Imposimato di aver conosciuto Senzani nel 1967, durante il servizio militare, prima come allievo ad Ascoli, e poi a Pesaro, e che avrebbe abitato nella sua casa tra il 1968 ed il 1972, quando Senzani si era trasferito con la moglie prima a Torre del Greco e poi negli Stati Uniti.

Al ritorno in Italia, diventato borsista per il CNR ad Ancona, Senzani ha curato l’antologia Economia politica della criminalità. Materiali su criminologia e controllo sociale, pubblicata da una casa editrice legata a Comunione e Liberazione, la Jaca Book, nel 1979 (il testo fu finanziato dal CNR nell’ambito della ricerca “Controllo sociale e ideologia assistenziale. I presupposti storici del ‘welfare state’ in Italia”), ed un saggio su “Il fenomeno criminale negli anni Settanta: la criminalità di massa”, su Città e Regione, 1977, n.10/11, un mensile diretto dal socialista Lelio Lagorio, presidente della regione Toscana dal 1970 al 1978.

Tra le varie attività, dal 1971 fino al 1978, Senzani è stato formatore a Torre del Greco, in provincia di Napoli, per l’ENAIP (Ente Nazionale Acli Istruzione Professionale), una struttura legata alle ACLI, ed è stato docente a contratto a Siena e presso la cattedra di sociologia al Magistero dell’Università di Firenze. A Torre del Greco organizzò un convegno sul parricidio con il cognato, Enrico Fenzi, uno dei più celebri dantisti italiani del periodo, e con Toni Negri. Nel 1978 è diventato consulente del ministero di Grazia e Giustizia, nel periodo in cui venivano colpiti magistrati ed operatori dell’amministrazione penitenziaria, impegnati nella riforma delle carceri, come Palma, Minervini e Tartaglione; omicidi rivendicati da comunicati delle Brigate Rosse ricchi di informazioni riservate, al punto che si incominciò a sospettare di una talpa nei livelli più alti delle istituzioni.

In base al materiale documentale raccolto dalla commissione Stragi presieduta dall’ex giudice Giovanni Pellegrino, Giovanni Senzani faceva parte del comitato esecutivo delle Br già dal 1977. Durante il sequestro Moro, il comitato esecutivo, composto in gran parte da irregolari, si sarebbe riunito a Firenze, al n. 7 di via Barbieri, nell’abitazione dell’architetto Gianpaolo Barbi.

Proprio da Firenze partirono le indagini che portarono all’individuazione del covo di via Monte Nevoso a Milano, grazie al fortunoso ritrovamento di un borsello smarrito su un autobus, il 28 luglio del 1978, dal brigatista Lauro Azzolini; nel quale, tra i vari oggetti, fu rinvenuto il certificato di un ciclomotore rilasciato dalla motorizzazione di Bologna, ed un mazzo di chiavi, che permisero in poco tempo di individuare l’appartamento milanese dove era stato trasferito il materiale relativo al sequestro Moro, tra cui il memoriale, parte del quale fu ritrovato fotocopiato solo nel 1990. Il blitz fu effettuato il 1° ottobre del 1978 dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Il 17 maggio del 1979, un’altra operazione condotta dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, a Genova, aveva portato all’arresto del cognato di Giovanni Senzani, il docente di letteratura italiana all’università di Genova Enrico Fenziautore della gambizzazione del dirigente dell’Ansaldo e docente universitario Aldo Castellano. Fenzi, assolto poi nel procedimento giudiziario, fu arrestato nuovamente il 4 aprile 1981 a Milano, in compagnia del capo delle Brigate Rosse, Mario Moretti, con Tiziana Volpe e Silvano Fadda.

Con il blitz del 17 maggio del 1979 furono arrestati anche i componenti di un gruppo di militanti dell’autonomia genovese legati alla rivista Nulla da perdere di Giorgio Moroni e ad un collega di Fenzi all’università di Genova, il docente universitario Gianfranco Faina, filologo e studioso di Petrarca, fondatore con Salvatore Cinieri di Azione Rivoluzionaria, la stessa sigla che compare nel romanzo di Attilio Veraldi.

Azione Rivoluzionaria fu fondata nel 1977. L’organizzazione orbitava nella galassia anarco-insurrezionalista e di derivazione situazionista e comunista ed ha condotto una serie di azioni dinamitarde contro le redazioni dei giornali e contro la Democrazia Cristiana, rivendicando il ferimento del dottor Mammoli, ritenuto complice della morte in carcere dell’anarchico Franco Serantini. L’organizzazione si è distinta anche per alcune azioni situazioniste, come la distribuzione di finti comunicati di sciopero generale a titolo di CGIL-CISL-UIL. Oltre a Faina e Cinieri furono arrestate 86 persone ritenute componenti i gruppi di affinità di Azione Rivoluzionaria, che fu dichiarata sciolta nel 1980.

L’Insula Mattei

Secondo l’ex presidente della commissione Stragi, il senatore Giovanni Pellegrino, Senzani a Roma avrebbe frequentato un centro studi che dipendeva dall’ambasciata americana, situato a Palazzo Antici Mattei, il Centro Studi Americani, al civico 32 di via Caetani, esattamente a pochi metri dal luogo dove fu fatto ritrovare il cadavere di Aldo Moro. Palazzo Antici Mattei fa parte del complesso monumentale conosciuto come insula Mattei, con diverse entrate ed uscite, di cui un braccio è costituito da palazzo Caetani, considerato da molti uno dei porti delle nebbie del caso Moro.

Fonte molto attendibile riferisce: un Senatore del PCI (non identificato) sarebbe a conoscenza dell’identità del capo delle Brigate Rosse. Questi si chiamerebbe Igor e sarebbe figlio o nipote di Margaret, già direttrice della rivista “Botteghe Oscure”. Igor, coetaneo di Moro, avrebbe partecipato agli interrogatori del leader DC.

In base ad una informativa del Sismi degli inizi di maggio del 1978 (citata in Il Libro Nero della Repubblica, di Rita Di Giovacchino, pag. 268), a firma del colonnello Demetrio Cogliandro, sulla base delle informazioni raccolte da un agente del Sismi, Antonio Fattorini, veniva riferito che un senatore del PCI sarebbe stato a conoscenza dell’identità del capo delle BR, e che nei pressi di via Arenula, in un “ufficio” di proprietà dei Caetani, avveniva il reclutamento dei giovani brigatisti che poi venivano addestrati ideologicamente e forse anche militarmente nella tenuta del castello di Sermoneta di proprietà di Hubert Howard.

L’informativa riferiva anche che nel covo di via Gradoli 96, scoperto casualmente il 18 aprile del 1978, era stata trovata la chiave di una Jaguar con un talloncino dove era scritto il nome di Bruno Sermoneta, un commerciante che aveva un negozio di tessuti a via Arenula a Roma, nei pressi di via Caetani. Le indagini iniziarono solo il 12 ottobre del 1978, cinque mesi dopo la morte di Aldo Moro e vennero affidate ad un colonnello dei carabinieri affiliato alla P2, Antonio Cornacchia, che non svolse nessun approfondimento. In seguito risultò che Bruno Sermoneta era amico di una sospetta brigatista, Anna Buonaiuto, che frequentava un appartamento a via Sant’Elena 8, int. 9, poco distante da via Caetani, ritenuto un covo delle Br, dove avevano la residenza Laura di Nola, figlia di un commerciante di tessuti di via Paganica, che ha un passo carrabile proprio alle spalle di via Caetani, e Raffaello De Cosa.

L’appartamento era stato già oggetto di attenzione investigativa durante i 55 giorni del sequestro Moro, sempre su segnalazione della fonte di Cogliandro, ma fu visitato solo il 16 settembre dai vigili urbani, quando il comandante Francesco Russo poté apprendere dalla portiera del palazzo che, durante il periodo del sequestro Moro, la coppia si era allontanata da Roma per recarsi in una proprietà nei pressi del lago di Bracciano, lasciandole un recapito da usare “solo se la polizia avesse fatto irruzione”. L’appartamento aveva però continuato ad essere frequentato da un viavai di giovani, in particolare da una donna di nome Anna. In un’agenda sequestrata a Laura Di Nola fu trovato un riferimento, “Hubert”, con un numero telefonico, che indirizzò le indagini verso Hubert Howard.

A parlare dell’esistenza di un covo nella zona fu Elfino Mortati, un giovane di Prato che, dopo essere stato arrestato, dichiarò al giudice istruttore Francesco Amato, il 10 luglio 1978, di aver soggiornato da latitante in due appartementi coperti delle Br, a via Arenula, a Portico d’Ottavia, ed in via dei Bresciani, la sua collaborazione durò solo 48 ore e si fermò quando sulla stampa furono fatte filtrare le sue dichiarazioni.

Ai primi di maggio del 1978, quando era ancora in corso la prigionia di Moro, due agenti del Sismi,Antonio Ruvolo e Giuseppe Corrado, erano stati inviati a Palazzo Caetani per indagare su un Igor della famiglia Caetani, indicato dall’informativa come il capo delle Brigate Rosse. I due agenti furono però fermati da un contrordine del generale Santovito, capo del Sismi, e l’informativa venne post-datata a settembre dello stesso anno.

Dominus di Palazzo Caetani era Hubert Howard, un ex agente del servizio segreto britannico, che nel 1941 aveva partecipato alla campagna di liberazione dell’Italia come ufficiale del Psychological Warfare Branch (PWB), l’organismo diretto da Berna dal capo dell’OSSAllen Dulles, con la quale struttura erano in contatto anche molti esponenti comunisti che crearono i GAP (Gruppi d’Azione Patriottica). Howard, figlio dell’ex ambasciatore britannicopresso gli Stati Uniti, Sir Esme William Howard, tra il 1924 ed il 1930, appartenente ad un’importante famiglia dell’aristocrazia cattolica britannica, e di Isabella Giustiniani-Bandini, figlia del principe Giustiniani Bandini, aveva sposato Lelia Caetani di Sermoneta, figlia del compositore Roffredo Caetani e nel 1978 era rimasto vedovo da un anno, diventando l’ultimo dei Caetani, ereditando tutte le proprietà del nobile casato.

Howard, che amava molto le bellezze naturali del nostro paese, al punto di essere stato uno dei fondatori, nonché consigliere nazionale, dell’associazione Italia Nostra, possedeva una tenuta tra Norma e Sermoneta, il giardino Ninfa, un antico feudo dei Caetani, dove negli anni sessanta spesso era ospite Enrico Mattei, e dove frequentemente si recavano in visita capi di stato ed illustri amici come Paolo Emilio TavianiGiuseppe Saragat, Giulio AndreottiPaul Getty. Palazzo Caetani era anche la residenza del principe Schwarzenberg, ambasciatore del Sovrano ordine dei Cavalieri di Malta, che annoverava tra i propri membri ben 27 affiliati alla loggia P2; lo stesso edificio inoltre era stato una base della spia dell’OSS Peter Tompkins, nel 1943.

Hubert Howard era parente del musicista russo e direttore d’orchestra, naturalizzato italiano, Igor Markevitch, che aveva sposato Topazia Caetani, ed era nipote di Margaret Chapin in Caetani, la quale aveva diretto la rivista Botteghe Oscure edita dalla Feltrinelli.

Igor Markevitch, che nel ’78 aveva 66 anni, era stato amico di Michael Noble, ex capo del Psychological Warfare Branch in Italia, e aveva svolto un compito molto delicato per Howard durante il secondo conflitto mondiale: durante la liberazione di Firenze fece da staffetta tra i gappisti e l’ufficiale nazista Döllman. Durante la liberazione di Firenze, Markevitch entrò in rapporto anche con il gappista Alessandro Sinigaglia (nome di battaglia Vittorio), uomo del dirigente comunista Pietro Secchia (il quale morì in circostanze misteriose nel 1973), che aveva combattuto nella guerra civile spagnola ed era stato confinato a Ventotene dai fascisti, prima di essere ucciso nel 1944.

Markevitch aveva legami molto stretti con Israele, ed aveva rapporti eccellenti con la Francia, dove aveva ricevuto l’onorificenza della Legion d’Onore. A Parigi, nel 1976, avrebbe frequentato assiduamente Juri Borissov, agente del KGB in Francia, mentre suo figlio primogenito Vaslaw ha sposato Claudia Wessilinoff, figlia di Jordan Wessilinoff, una spia bulgara al servizio di diversi paesi, che aveva finanziato anche il Movimento di Azione Rivoluzionaria di Carlo Fumagalli.

La duchessa vede i ruderi del Teatro Balbo, il terzo anfiteatro dove un tempo antichi guerrieri scendevano nell’arena. Chissà cosa c’era nel destino di Moro, perché la sua morte fosse scoperta contro quel muro. (Mino Pecorelli, OP, 23 maggio 1978)

Il cadavere di Moro fu fatto ritrovare all’interno di una Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani, tra i passi carrai dei Palazzi Mattei e Caetani, e dalla parte del muro dei resti del teatro di Lucio Cornelio Balbo. Il giornalista Mino Pecorelli, in un trafiletto del 23 maggio 1978, scrisse di una misteriosa nobildonna, presente sul luogo dove fu trovato il corpo del presidente della DC, la quale gli avrebbe suggerito l’ipotesi che il ritrovamente dell’auto fosse collegato ai ludi gladiatori che si tenevano nell’antico teatro romano. Pecorelli, poco prima di essere ucciso, un anno dopo, accennò su OP anche al musicista Igor e al ritrovamento, nel covo di via Gradoli, di un numero di telefono intestato all’immobiliare Savellia che si trovava in via di Monte Savello, di fronte all’isola Tiberina, a poche centinaia di metri da via Caetani, con un appunto: “Marchesi Liva mercoledì 22 ore 21 e 15 atropina”. Il numero di telefono corrispondeva all’immobiliare che curava la gestione di palazzo Orsini, residenza della marchesa Valeria Rossi in Litta Modigliani (Liva). Nel covo di via Gradoli fu ritrovata anche una cartina topografica di palazzo Orsini, con indicazioni dettagliate sulle entrate e sulle uscite, sulle mura e sulle parti sotterranee dove arrivano gli scavi del Teatro Marcello. Il personaggio della misteriosa duchessa di Pecorelli ricorre spesso negli scritti del giornalista, e forse si trattava di un’allusione, nel suo tipico stile, al falso comunicato n.7, quello del lago della “duchessa”.

Dalle indagini risultò che amministratore della Savellia era un prestanome, il quale indicò nel commercialista Giovanni Colmo l’effettivo amministratore, che ammise la circostanza. In seguito Colmo diventò amministratore della Palestrina III, una società che, con lo scandalo dei fondi neri del Sisde del 1993, si scoprì essere una copertura dei servizi segreti.

Il mistero delle icone di Sant’Erasmo Martire della Crypta Balbi

Le mura del teatro di Lucio Cornelio Balbo ospitano la splendida Crypta Balbi, nella quale è possibile apprezzare alcune testimonianze straordinarie del passato, come le icone di sant’Erasmo martire, santo la cui ricorrenza viene festeggiata il 2 giugno, data in cui si celebra anche la festa della Repubblica, con l’ormai tradizionale parata delle forze armate. Le icone, tipica espressione dell’arte bizantina dell’VIII secolo, che originariamente si trovavano nella basilica di Santa Maria a Lata, rappresentano Sant’Erasmo interrogato dall’imperatore Diocleziano e la Flagellazione di Sant’Erasmo alla presenza di Diocleziano. Sempre nella Crypta Balbi è possibile ammirare lo splendido bassorilievo dell’Ara romana del pastore dormiente, Endimione, che quando visse presso gli dei si innamorò perdutamente di Era, e per questo fu punito da Zeus, condannato a dormire per l’eternità.

Il dottor “Lupo”

Durante il sequestro Moro, un tentativo di mediazione per la liberazione dello statista fu esperito anche da papa Paolo VI, che affidò l’incarico a monsignor Cesare Curioni, cappellano di San Vittore e ispettore centrale dei cappellani carcerari. Lo storico Aldo Giannuli, riporta (nel libro Il Noto Servizio, a pag. 281) che Curioni fu indirizzato a Napoli per incontrare un intermediario delle Br a cui vennero offerti 10 miliardi di lire per il riscatto. L’incontro non avvenne in quanto Moro il 9 maggio fu assassinato. L’interlocutore non è mai stato identificato ma, un anno dopo, il 24 maggio del 1979, in base a documenti riservati visionati da Giannuli, il colonnello Titta del Sismi si recò a Napoli per incontrare il “dottor Lupo” della NATO di Bagnoli, per conoscere la sua attività durante il sequestro Moro. Anche il “dottor Lupo” non è mai stato identificato.

Senzani brigatista

Diversi elementi farebbero ritenere che, nella preparazione del suo romanzo, Attilio Veraldi avesse raccolto voci e testimonianze che lo portassero ad avvicinarsi sensibilmente, con un grado di relativa prossimità, al profilo di Giovanni Senzani, ed all’ambiente della colonna napoletana delle Br. Ma nel 1980, l’anno della pubblicazione de Il Vomerese, chi era Senzani?

Giovanni Senzani, secondo la versione fornita da lui stesso e dai brigatisti, diventò il capo delle Brigate Rosse dopo l’arresto di Mario Moretti, catturato in compagnia di suo cognato, il 4 marzo del 1981, mentre a Napoli aveva sviluppato da diversi anni contatti con l’area dei NAP, coordinando il Fronte delle carceri, l’organizzazione dei detenuti politici interna alle carceri, strutturata gerarchicamente, diventata in poco tempo il vero “centro studi” delle Brigate Rosse, nonché il luogo attraverso cui, con i comunicati messi agli atti dei processi, veniva legittimata la continuità politica dell’organizzazione esterna.

Nel dicembre del 1980, già irreperibile da diversi mesi, Senzani contattò, su richiesta di Moretti, il giornalista dell’Espresso Giampaolo Bultrini, che lo conosceva da diversi anni (lo aveva anche invitato in redazione nel 1978 ed ospitato a casa sua), per proporgli un’intervista con il capo delle Br, nel periodo del sequestro del magistrato di cassazione Giovanni D’Urso. L’incontro si tenne con un collega di Bultrini, Mario Scialoja, in una piazza pubblica, il 20 dicembre del 1980, ed in quella occasione Scialoja consegnò a Senzani, il quale si presentò come un emissario delle Brigate Rosse, le domande da rivolgere a Moretti. Dopo pochi giorni fu recapitato un pacco alla redazione dell’Espresso, contenente le risposte all’intervista (dove compare la definizione Partito Comunista Combattente), un resoconto di un interrogatorio al giudice D’Urso ed una polaroid del sequestrato. Il materiale fu pubblicato il 31 gennaio in coincidenza con l’assassinio del generale dei carabinieri Galvanigi, rivendicato dalle Br (comunicato n. 7 del 1 gennaio 1981) causando l’arresto di Mario Scialoja, che aveva ottenuto il permesso di un magistrato per pubblicare l’intervista sull’Espresso, nonostante il black out informativo della stampa nazionale sui comunicati dei brigatisti stabilito dal governo.

Il sequestro di Giovanni D’Urso fu un’azione decisa dal Fronte delle Carceri delle Br, nell’ambito della campagna “Liberazione e guerra alla differenziazione”, il cui risultato fu la concessione da parte della procura di Firenze della libertà provvisoria a Gianfranco Faina, fondatore di Azione Rivoluzionaria, gravemente ammalato, che morì poco dopo gli arresti domiciliari, ed il trasferimento dei detenuti dall’Asinara. Tra i comunicati delle Br diramati durante il sequestro, il n.3 chiedeva la chiusura del carcere di massima sicurezza dell’Asinara, la cui chiusura in verità era stata già richiesta dal generale Dalla Chiesa nel mese di luglio dello stesso anno ed era prevista per il 31 dicembre, ma fu poi rimandata per volontà del generale Dalla Chiesa per dare un segnale politico di fermezza alle Br.

Il magistrato Tindari Baglione a proposito del ruolo di Senzani ha riferito quanto segue alla commissione stragi:

BAGLIONE.(…) L’ideologo era Senzani che faceva il consulente per il caso Moro.

PARDINI. Chi glielo ha riferito?

BAGLIONE. Non lo ricordo. Comunque all’epoca mi fu detto che il professor Senzani era un esperto di queste vicende. Mi dissero che il professor Senzani era un uomo delle istituzioni e che quindi doveva stare attento.

PRESIDENTE. A noi risultava che fosse un consulente del Ministero di grazia e giustizia, e più su questioni carcerarie che su problemi riguardanti la vicenda Moro.

BAGLIONE. Sono piuttosto abbottonato nelle mie dichiarazioni perché il reato di calunnia sapeste come corre!

FRAGALA’. Dottor Baglione, vorrei innanzi tutto ringraziarla della sua disponibilità e del contributo che sta portando ai nostri lavori. Vorrei ora chiederle una cosa che riguarda una sua affermazione di poco fa. Lei ha dichiarato che Giovanni Senzani ha fatto da consulente per il caso Moro. Voglio sapere da lei che cosa vuol dire con questa affermazione.

PRESIDENTE. Tenga presente, consigliere, che se lei desidera non affrontare il rischio della calunnia abbiamo la possibilità di passare in seduta segreta.

BAGLIONEDi segreto non c’è nulla. Per rispondere all’onorevole Fragalà, con questa affermazione volevo dire che questo ragazzo, tale Bombaci, che era il figlio di un maestro di Carlentini, risiedeva a Tavarnelle Val di Pesa, ma venne arrestato in un appartamento di Borgognissanti. Mi fu detto dalla molto più preparata questura – ufficio DIGOS (quindi non c’è scritto da nessuna parte ma è il mio ricordo) che questo appartamento era nella disponibilità del professor Senzani, un grosso criminologo che aveva espresso delle ipotesi a livelli molto alti, non mi ricordo se sul luogo di cattura. Non è che sono reticente è che non si tratta di fatti documentali; fu un discorso del tipo: “Lo vogliamo avvisare Senzani di chi si mette in casa?”. Io risposi che non avrei avvisato nessuno, perché facevo il magistrato e non il telefonista. Quindi è in questi termini che il discorso va posto. Alla domanda se eravamo più preparati noi o loro, la mia risposta, con una battuta, potrebbe essere che avevamo gli stessi consulenti, cioè il Senzani.

BIELLI. (…) Le faccio un’ultima domanda che poi si ricollega alla questione Senzani. Lei ha per caso qualche informazione sul fatto che Senzani sia stato borsista dell’USIS.

BAGLIONE. Mi scusi, cosa vuol dire USIS?

BIELLI United States Information Service.

BAGLIONE. Mi dispiace, ma io conosco solo il francese.

(Dichiarazione del magistrato Tindari Baglione alla Commissione Stragi, seduta del 21 Marzo 2000)

Senzani era ufficialmente sotto indagine dal dicembre del 1978, quando fu arrestato a Firenze il brigatista Stefano Bombaci, insieme a due studenti, Paolo Baschieri e Dante Cianci, ed all’architetto Giampaolo Barbi. Bombaci, studente fuori sede siciliano nell’università fiorentina, aveva abitato fino alla fine del 1977 dove risiedeva il criminologo a Firenze, in via Borgo Ognissanti n.104. Il sostituto procuratore nazionale antimafia Gabriele Chelazzi, il 7 giugno del 2000, chiarì alla commissione Stragi che Bombaci abitava effettivamente nello stesso stabile, e che in base alle informative della DIGOS di Firenze, risultava essere un assiduo frequentatore di Giovanni Senzani. Arrestato una prima volta nel febbraio del 1979, nell’ambito delle indagini successive all’arresto di Bombaci, Senzani fu liberato dopo solo tre giorni rendendosi poi irreperibile a partire dal giugno di quello stesso anno.

Molte delle vicende relative al sequestro Moro, oltre al presunto ruolo del criminologo e consulente del Ministero di Grazia e Giustizia, portavano già in quegli anni verso la Toscana ed in particolare a Firenze, dove si ritiene che venivano ciclostilati tutti i comunicati emessi dalle BR; tuttavia Senzani non era tra gli imputati del processo Moro Uno e Bis iniziato il 24 gennaio 1983, grazie ad un clamoroso affidavit (una dichiarazione giurata) del direttore del Sismi, il generale piduista Giuseppe Santovito, il quale sostenne che nel periodo del sequestro dello statista democristiano, il criminologo era negli Stati Uniti per uno stage. La circostanza dell’affidavit di Santovito è importante anche perché il capocentro del Sismi di Firenze, Federigo Mannucci Benincasa, aveva un’importante fonte informativa a Firenze, interna alle Brigate Rosse, e aveva collocato una centrale telefonica in un monolocale di via Sant’Agostino 3, a disposizione del Sismi, per ricevere le comunicazioni della fonte, la quale cesserà la sua attività nel 1982, immediatamente dopo l’arresto di Senzani e di Giovanni Ciucci del comitato rivoluzionario toscano. Nelle recenti acquisizioni della Commissione Moro è emerso dagli atti che nel 1981, la moglie di Senzani, all’epoca latitante e ricercato in tutta Italia, aveva trovato una microspia inserita in una presa elettrica della loro abitazione a Firenze. La casa fiorentina di Senzani, era stata utilizzata nel 1977 da Prospero Gallinari e Franco Bonisoli, entrambi membri del commando delle BR di via Fani.

Nel 1978 Senzani avrebbe partecipato ad un convegno di criminologia a Lisbona. Nell’ottobre del 1990, quando furono ritrovate le fotocopie del memoriale di Aldo Moro che facevano riferimento alla struttura Gladio, nell’intercapedine del covo di via Monte Nevoso a Milano, fu ritrovato anche un mitragliatore di fabbricazione sovietica del 1943, avvolto da due copie del Corriere della Sera del 7 settembre e del 9 settembre 1978. Le pagine del 7 settembre presentavano tre ritagli, uno relativo ad un articolo sul modello d’industrializzazione in Italia, un altro sulla produzione di un nuovo modello di elicottero dell’Agusta, ed un terzo scritto dal magistrato Adolfo Beria d’Argentine che si intitolava “Confronto a Lisbona fra mille criminologi”. Quest’ultimo articolo era dedicato ad un convegno della società internazionale di criminologia che si tenne in quel periodo, a cui avrebbe partecipato anche Senzani. Beria d’Argentine ricorderà alla commissione Moro che Senzani era seduto proprio accanto a lui sull’aereo che tornava da Lisbona, sul quale viaggiarono anche tre partecipanti al convegno che furono uccisi dalle BR, il magistrato Girolamo Tartaglione, ucciso il 10 ottobre del 1978, il professor Alfredo Paolella, ucciso a Napoli l’11 ottobre 1978, e Girolamo Minervini, ucciso a Roma il 18 marzo del 1980.

L’ex vicequestore vicario di Genova Arrigo Molinari, convinto che Senzani fosse un componente di vertice delle Br già dal 1977 e che abbia partecipato all’organizzazione del sequestro Moro, riferì alla commissione Stragi, il 18 ottobre del 2000, che il criminologo godeva di uno speciale lasciapassare dei servizi segreti (il NOS?) e di importanti appoggi a La Spezia, sede di una importante base della marina militare e del reparto di incursori della Marina, i Consumbin, corpo speciale dell’organizzazione Gladio, e crocevia di traffici finiti nelle inchieste della magistratura che hanno interessato i rifiuti tossici, la P2, mafie e servizi segreti.

PRESIDENTE: (…) Cosa aveva a che fare il Senzani con Moro? Perché lei ha sospettato che fosse stato uno degli organizzatori del sequestro Moro?

MOLINARI: Perché nell’ambiente dei medici di San Martino (a La Spezia, ndr), che erano tutti collegati alla P2, si considerava Senzani come l’ispiratore del sequestro Moro; tant’è vero che noi nel 1978 lo avevamo identificato, avevamo cercato di arrestarlo, ma ad un certo punto siamo stati anestetizzati noi, perché il Ministro Rognoni incontrò a Portofino delle persone e quando tornò a Roma convocò il Capo della polizia ed il capo del personale per fare eseguire un’inchiesta alla questura di Genova. Sono quindi andato a prendere tutte le lettere anonime che potevano essere al Ministero dell’Interno nei confronti del Questore, delle guardie e dei buttafuori…

PRESIDENTE: Tanto è vero che il questore De Longis si dimise…

MOLINARI: Per forza si dimise, perché fu attaccato da tutte le parti, nel momento in cui abbiamo toccato Senzani. D’Amato (il prefetto Federico Umberto D’Amato, capo dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale, ndr) mi ha detto telefonicamente che quando arrivò la segnalazione di Senzani, il Ministro Rognoni prese la lettera e se la mise in tasca. Il venerdì si incontrò a Portofino con determinate persone; il lunedì ritornò a Roma e chiamò il capo della polizia; il mercoledì abbiamo subito un’ispezione eclatante che ci ha messo fuori uso, siamo rimasti bloccati.(…) Voglio ricordare che La Spezia era il centro della P2 dove Senzani poteva avere contatti con gli americani, anche se non lo sappiamo di sicuro, perché godeva di particolari protezioni. (dichiarazioni dell’ex questore vicario di Genova Molinari alla commissione Stragi, seduta del 18 ottobre 2000)

In base alle dichiarazioni del vice questore Molinari, il contenuto della lettera che il ministro dell’Interno Virginio Rognoni avrebbe occultato, redatta dallo stesso dirigente di polizia, riferiva che nel 1978, Senzani, oltre a possedere un lasciapassare dei servizi segreti, si riteneva fosse il capo delle Brigate Rosse. La vicenda, che effettivamente ha dell’incredibile, si sarebbe verificata poco prima di un’indagine del Ministero dell’Interno che portò alle dimissioni del questore e allo scioglimento dell’ufficio della Digos di Genova.

Nella primavera del 1979, all’indomani dell’operazione 7 aprile che portò all’arresto del presunto “vertice” delle Brigate Rosse, in base al teorema giudiziario del giudice Calogero, venne pubblicato un fumetto sul sequestro Moro, sul primo numero di Metropoli. L’autonomia del possibile, a cui collaboravano alcuni esponenti dell’area dell’Autonomia, tra cui Franco Piperno e Lanfranco PaceOreste Scalzone e Paolo Virno.

Nel fumetto compariva un uomo barbuto dalla somiglianza impressionate con Senzani, dal nome Blasco, il quale partecipa ad un riunione in cui si decide di rapire Aldo Moro. Nella striscia compare anche una donna, Anna. Altri volti dei personaggi sono tutti somiglianti a quelli reali, Amintore Fanfani, Renato Curcio, Claudio Signorile. Solo il volto nella vignetta che raffigura l’interrogatorio di Aldo Moro è oscurato.

Un estratto del fumetto venne anticipato su un numero dell’Espresso e la rivista fu sequestrata dalla magistratura dopo solo pochi giorni dall’uscita nelle edicole. La narrazione situazionista del fumetto non sfuggì a tutti però. La sceneggiatrice della striscia era stata Rosalinda Socrate, sorella dell’allora moglie di Paolo Mieli, collega di Scialoja presso l’Espresso. Il direttore di Metropoli era Alfredo Azzaroni, padre di Barbara Azzaroni, brigatista uccisa a Torino il 28 febbraio 1979 durante uno scontro con la polizia, ed autore del libro Blasco: la riabilitazione di un militante rivoluzionario, con una introduzione di Ignazio Silone, lo scrittore che nel 1930 fu espulso dal partito comunista con l’accusa di essere vicino alle posizioni del Blasco. Blasco era stato il nome di battaglia di Pietro Tresso, rifugiatosi in Francia negli anni ’30, uno dei fondatori della IV internazionale, tra i teorici dell’entrismo nelle formazioni staliniane. Durante la guerra civile spagnola, Tresso subì le conseguenza del Frontismo e viene espulso dal PcdI. Venne infine ucciso durante la resistenza in Francia nel 1944 da un commando partigiano stalinista.

Il mistero dell’appunto olografo. Le BR al centro dei venti di guerra nel mediterraneo

Il rapporto esiste, ma non è ufficiale nel senso che non verrà mai ammesso, punto 1 dell’accordo. Il rapporto è ufficiale con AF [al-Fatah], ed è possibile perché fra gli innumerevoli gruppi che si riconoscono in AF [al-Fatah], uno ci appoggia (Quale? Paolo).

Punto 2 dell’accordo = costituire stock tattici e strategici in Italia, appoggio in operazioni; promessa dell’O.[Organizzazione = Br] di fare qualcosa contro I [Israele] in Italia (detto ma non ribadito come richiesto)

Inoltre oggi c’è un III giocatore, peso della Europa in Medio O. [Oriente], che oggi ha un certo controllo.

C’è un asse Mitterrand – Kresky [Kreisky] per il controllo politico del Medio O. [Oriente] e la R. [Russia] tenta in ogni modo di far saltare questa politica europea. Gli ultimi attentati gravi in Europa (Sinagoga, Bo e Trieste (?)) possono essere letti in questa chiave internazionale – [A. pensa così] – Così ogni altro movimento in Europa di forze rivoluzionarie e servizi segreti può essere letto in questo modo – Andando avanti si vedranno altre dimostrazioni di ciò – – altri attentati e dietro c’è sempre R. [la Russia] (e suoi collegati)… – A. aspetta.

Anche RAF, ultima operazione Nato, è loro, ma politicamente guidata da servizi segreti di R. [Russia] che ha fornito sicuramente (ma indirettamente) le notizie (Appunto olografo di Giovanni Senzani ritrovato al suo arresto, il 9 gennaio del 1982)

In seguito all’arresto di Mario Moretti si verificò una spaccatura tra le Brigate Rosse. Il gruppo Senzani diede vita all’ala movimentista delle BR-Partito della Guerriglia e, distaccandosi dal gruppo dei “militaristi” delle BR- Partito Comunista Combattente di Antonio Savasta e Barbara Balzerani (accusati di essere diventati delle pedine dei servizi segreti sovietici), si avvicinò agli ambienti “francesi”, come dimostrerebbero gli appunti trovati addosso a Senzani in occasione del suo arresto. Gli appunti sarebbero delle note scritte in occasione degli incontri tenuti con un esponente palestinese a Parigi tra l’agosto ed il dicembre del 1981.

Con la cattura di Moretti si erano interrotti i rapporti iniziati dopo il sequestro Moro tra le BR e la fazione dell’OLP che faceva riferimento ad Abu Ayad, alias Salah Khalaf, mentre l’arresto di Abu Anzeh Salehdel Fronte Popolare di Liberazione per la Palestina, il 14 novembre del 1979, trovato in possesso di due lanciamissili Sam-7 Strela, provenienti dal deposito creato da Moretti con le armi acquistate dall’OLP, aveva liquidato definitivamente il lodo Moro, in base al quale i palestinesi avevano libera circolazione sul territorio nazionale, in cambio della rinuncia ad attentati contro obiettivi strategici.

Nell’estate del 1978 i brigatisti cercavano di ottenere armi ed esplosivi, assistenza dei latitanti all’estero e accesso ai campi di addestramento in Libano. Per l’OLP invece le Brigate Rosse avrebbero dovuto effettuare attacchi contro obiettivi israeliani in Italia, senza che l’OLP venisse coinvolta direttamente. In seguito all’accordo sarebbe stato consegnato un carico di armi di fabbricazione sovietica, il cui trasporto fu organizzato da Mario Moretti attraverso un valico alpino della Liguria, nell’estate del 1978.

Nell’estate del 1979 venne effettuata una seconda consegna di armi aCipro, questa volta di produzione occidentale, che furono trasportate da Moretti, Riccardo Dura e Sandro Galletta a Venezia a bordo di un panfilo di 12 metri acquistato per l’occasione dallo psichiatra anconetano Massimo Gidoni.

Dopo l’arresto di Moretti si interruppero i canali esteri delle BR, che furono ripresi solo quando, con il sequestro Dozier, ebbe inizio la campagna “Anti Nato” della fazione militarista delle BR. L’individuazione di obiettivi Nato per gli attacchi era stato già oggetto di un forte controversia politica, che aveva portato ad una prima scissione interna alle Br del gruppo originario di Curcio e Franceschini con il gruppo di Corrado Simioni, nella prima metà degli anni ’70.

Stando agli appunti di Senzani, si evincerebbe che l’URSS sarebbe stata interessata a far fallire l’asse eurosocialista instauratosi tra Kreisky (cancelliere socialdemocratico austriaco dal 1970 al 1983) e Mitterrand, entrambi favorevoli ad un’accelerazione per la costruzione di un’autonomia politica europea, con la Francia come terzo giocatore tra USA e URSS. Quest’asse socialdemocratico e socialista europeo avrebbe sviluppato una politica favorevole all’OLP di Arafat e si sarebbe chiaramente opposto agli interessi sovietici nel quadrante mediorientale.

Sempre secondo gli appunti, dietro gli attentati più importanti avvenuti in Europa ci sarebbero stati i sovietici, ed il riferimento dovrebbe probabilmente riguardare l’attentato alla Sinagoga di Parigi del 3 ottobre 1980, che causò quattro morti e trenta feriti; quello alla stazione di Bologna; e quello di Trieste (su cui lo stesso Senzani pone un interrogativo), probabilmente all’attentato del 4 agosto 1972 quando l’organizzazione Settembre Nero fece saltare l’oleodotto Siot Trieste-Ingolstad. Gli appunti in verità tradiscono molte indecisioni e sembrerebbero indicare che nemmeno Senzani sapesse quale gruppo di “AF” (Al Fatah?) appoggiasse le BR. Inoltre sembrerebbe strano che i sovietici conducessero la regia di attentati anti-israeliani in Europa. Sempre dalla lettura degli appunti, sembrerebbe inoltre che Senzani ritenesse necessariamente che i sovietici avessero intenzione di fornire sostegno alla fazione di Abu Nidal contro Yasser Arafat, e che la rete internazionale che stava allestendo poteva contare su appoggi logistici all’estero. In base alla documentazione sequestrata in occasione dell’arresto di Senzani la rete che stava predisponendo si sarebbe estesa in Svizzera, in Francia, ed in Africa, in particolare in Angola, mentre erano in corso tentativi di costruzione di un rapporto con la Cambogia, con il Fronte Khmer.

Da sempre ci chiedono di uscire allo scoperto, dalla dimensione locale e di contare politicamente a livello internazionale, dandoci una base di ritiro all’estero e un punto di riferimento logistico e politico all’estero, stabilendo contatti con i movimenti rivoluzionari (Appunto olografo di Giovanni Senzani ritrovato al suo arresto, il 9 gennaio del 1982)

Come potesse realizzarsi un intreccio di questa natura senza delle coperture statali è una domanda alla quale ancora oggi non è stata data una risposta definitiva; di certo il ruolo giocato da entità esterne doveva essere dato per scontato, al punto che le accuse rivolte ai nemici interni alle BR riguardavano proprio eventuali collegamenti e rapporti con i servizi segreti di altri paesi, con accuse gravi, come quella rivolta ai “militaristi” di Savasta e Balzerani i quali vennero accusati di essere al servizio dei sovietici e dei bulgari.

Giovanni Senzani fu arrestato il 9 gennaio del 1982, durante il sequestro Dozier, nello stesso covo romano dove era stato tenuto sotto sequestro il giudice Giovanni D’Urso. Durante la stessa notte caddero altri due covi brigatisti e furono arrestati venti brigatisti, oltre che sequestrato un intero arsenale. Dai documenti ritrovati emerse che Senzani fu catturato “giusto in tempo”, prima che mettesse in atto i suoi obiettivi più ambiziosi: uno spettacolare attentato dinamitardo alla Democrazia Cristiana, durante una riunione del consiglio nazionale; un attacco al Ministero di Grazia e Giustizia, ed il rapimento di Cesare Romiti, amministratore delegato della FIAT. Tra il 1982 ed il 1984 è stato in cella d’isolamento nel carcere di Ascoli, proprio nella cella a fianco ad Ali Agca, l’attentatore di papa Wojtila.

Il crepuscololo delle BR

Dopo la spaccatura politica interna alle BR, il clima di sospetti reciproci fu avvelenato dalle prime collaborazioni con la magistratura dei brigatisti arrestati, come nel caso del pentimento di Patrizio Peci, grazie alla cui collaborazione i carabinieri del generale Dalla Chiesa ottennero la copia delle chiavi dell’appartamento del covo di via Fracchia a Genova, durante la cui irruzione, il 28 marzo 1980, furono uccisi a sangue freddo Riccardo DuraLorenzo BetassaPiero Panciarelli e Annamaria Ludmann.

Senzani, capo delle Br Fronte delle Carceri, “il professor Bazooka”, come veniva chiamato, ordinò il sequestro del fratello, Roberto Peci, il 10 giugno del 1981, che fu tenuto segregato sotto una tenda per 53 giorni (la stessa durata della prigionia di Aldo Moro) durante i quali furono emessi sette comunicati. Tra questi si sosteneva che Roberto Peci aveva ammesso di essersi prestato a fare la spia per i carabinieri. Roberto Peci fu poi ucciso con 11 colpi di pistola, il 3 agosto del 1981, e la sua “confessione” ed esecuzione fu ripresa da Senzani con una telecamera. La registrazione fu inviata a giornali ed a fiancheggiatori e componenti dei gruppi armati con l’intento di minacciare chiunque avesse deciso di collaborare con lo Stato. La vicenda di Roberto Peci si distinse per la chiara simbologia collegata alla vicenda del sequestro Moro.

Senzani fu in grado di gestire, contemporaneamente al sequestro di Roberto Peci, anche il sequestro dell’assessore regionale all’urbanistica della Campania, Ciro Cirillo, un democristiano della corrente di Antonio Gava, rapito a Torre del Greco il 27 aprile del 1981 e tenuto segregato per 89 giorni, durante i quali avvenne una trattativa tra la Democrazia Cristiana e le BR, con il coinvolgimento del boss della Nuova Camorra Organizzata Raffaele Cutolo, e la mediazione di un apparato riservatissimo del Sismi (il Noto Servizio) che, fuori da ogni protocollo, mise da parte il Sisde guidato dal prefetto Parisi, che aveva avviato la mediazione con il boss. Durante la trattativa fu fatto trasferire appositamente dal carcere di Cuneo al carcere di Palmi, con una opportuna sosta nel carcere di Ascoli, il brigatista con legami con la camorra Luigi Bosso. Nel carcere di Palmi, Luigi Bosso ricevette la visita (il 20 maggio ed il 4 giugno 1981) di Vincenzo Casillo, il braccio destro di Cutolo e del camorrista Corrado Iacolare, accreditati come funzionari dei servizi segreti per la visita in carcere dal dott. Giangreco della Direzione degli istituti di prevenzione e pena.

Ma nella vicenda Cirillo erano entrati in gioco anche altri personaggi misteriosi (forse troppi). Quando si verificò il cambio della guardia tra Sisde e Sismi, nella gestione dell’operazione, a trattare con il boss si trovarono di fronte le stesse persone, oltre a Casillo e Giuliano Granata, sindaco di Giugliano, partecipò anche l’avvocato Cangemi, su indicazione dell’esponente della DC Zaccagnini. Oltre al canale già avviato, altri personaggi si dettero da fare per liberare l’assessore democristiano, tra questi il faccendiere del Sismi Francesco Pazienza, il quale si incontrò con Vincenzo Casillo per conto dell’onorevole Flaminio Piccoli, otto giorni prima del rilascio di Cirillo. A mettere in contatto Pazienza con Casillo fu il suo braccio destro, l’imprenditore Alvaro Giardilli, che per sette anni ha condiviso un ufficio in via Eustachio Manfredi 11, a Roma, con il principe Lanza di Scalea, proprietario di una società, il CIM, il cui amministratore unico era Luciano Bellucci. Giardilli ha rivelato alla commissione P2, il 9 febbraio 1984, che Luciano Bellucci era un uomo del colonnello Cogliandro del Sismi.

Il maresciallo Luigi Incandela, ascoltato dal giudice Alemi il 9 luglio del 1982, raccontò di aver appreso dallo stesso Luigi Bosso, su sua richiesta, che per la trattativa furono pagati 3 miliardi di lire, la metà dei quali sarebbe andata a Cutolo, mentre Bosso, arrivato al carcere di Palmi, doveva spargere la voce tra i detenuti che la DC era disposta a trattare per la liberazione di Cirillo, e che Cutolo era il canale di comunicazione.

A Cutolo fu invece promesso un mandato di scarcerazione per lui, una considerevole parte del riscatto ed il trasferimento in altre carceri, con trattamento favorevole, di numerosi camorristi detenuti, e perizie psichiatriche favorevoli per l’attenuazione della pena o per il ricovero negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Nell’accordo inoltre si sarebbe affrontata anche la questione delle tangenti sugli appalti della ricostruzione post terremoto affidati a grandi aziende nazionali, nonché sarebbero stati definiti degli accordi per l’ingresso negli appalti mediante ditte subappaltatrici legate all’organizzazione cutoliana.

Pasquale Aprea, uno dei brigatisti carcerieri di Cirillo, riferì al giudice Alemi che aveva appreso da Chiocchi, altro componente della colonna napoletana delle BR, che Gava si era rivolto a Cutolo per trattare la liberazione di Cirillo e che Cutolo aveva fatto sapere alle BR che era disposto a consegnare dai cinque agli otto miliardi di lire, mille mitra e una lista componente nomi di giudici senza specificare altro. Senzani, all’epoca capo del Fronte della Carceri, aveva contatti interni agli istituti di pena ed era al corrente delle mediazioni offerte da Cutolo. La questione del denaro e della trattativa costituì però un elemento che acuì i contrasti tra il gruppo di Senzani e l’ala più moderata delle BR, tanto più che il riscatto veniva suggerito da Cutolo e non dalle Br, che non avevano mai accettato denaro come contropartita dei sequestri.

Alle conseguenze del patto tra Br e Cutolo andrebbe ascritto sicuramente l’omicidio del vicequestore Antonio Ammaturo e dell’agente Pasquale Paola a Napoli, in piazza Nicola Amore, il 15 luglio del 1982. Ammaturo si occupava prevalentemente di contrasto alla criminalità organizzata, ed aveva guidato un’irruzione della polizia in un summit di camorra ad Ottaviano, con la quale fu arrestato il figlio del boss Raffaele Cutolo, che era stato definito “cialtrone” in un’intervista su Paese Sera dallo stesso vicequestore. L’omicidio fu rivendicato dalle Brigate Rosse. Gli esecutori dell’agguato godettero di assistenza logistica e protezione nel quartiere di Forcella, dove imperava il clan dei fratelli Giuliano, del cartello della Nuova Famiglia che si opponeva al cartello della NCO di Cutolo. L’episodio è oscuro, anche se un collaboratore di giustizia della fazione anticutoliana, Pasquale Gatto, anni dopo ha confermato la collaborazione tra brigatisti ed i Giuliano, i quali avrebbero ospitato in un loro appartamento uno degli esecutori dell’agguato, ferito alla schiena.

Le cose evidentemente non erano andate come erano state concordate. Agli inizi del 1982 esplose sui giornali lo scandalo della lussuosa detenzione di Cutolo ad Ascoli, che fu trasferito al supercarcere dell’Asinara per interessamento personale del presidente della Repubblica, Sandro Pertini. La vicenda coincise con l’esplosione della guerra di camorra tra i cutoliani ed i clan della Nuova Famiglia – Ammaturo (Umberto), Bardellino, Alfieri e Nuvoletta – che provocarono centinaia di morti, annientando in pochi mesi il cartello criminale dei cutoliani.

Ad aumentare i misteri sulla reale identità dei soggetti coinvolti nel sequestro Cirillo, va sicuramente annoverata l’ordinanza di rinvio a giudizio del giudice Carlo Alemi sulla vicenda del sequestro Cirillo, nella quale è riportata la testimonianza del pentito Roberto Buzzatti, secondo cui Senzani aveva rapporti con un uomo dei servizi segreti, con il quale si sarebbe incontrato almeno una volta ad Ancona nel 1981, in base alla sua testimonianza diretta. L’episodio è stato ricordato anche dal dirigente del Sisde Giorgio Criscuolo, nell’audizione alla commissione stragi del 1 giugno 1989. Criscuolo ha riferito che l’incontro avvenne alla stazione di Ancona, e che l’uomo con cui Senzani si era incontrato un certo Paolo Santini (probabilmente un nome di copertura). Senzani parlò anche di Criscuolo a Buzzati, durante il viaggio, riferendogli un’informazione riservatissima, ovvero che Criscuolo era diventato dirigente dei raggruppamenti di Roma per il Sisde, cosa che in effetti era avvenuta da solo 20 giorni.

I Grandi Vecchi… del caso Cirillo

Altri personaggi inquietanti fecero capolino nella vicenda della trattativa Stato-Cutolo-Br durante il sequestro Cirillo. Tra questi il criminologo Aldo Semerari, mente nera e personaggio crocevia tra la destra eversiva e gli ambienti di vertice della criminalità organizzata, protagonista di alcune delle più inquietanti trame degli anni ’80, il cui identikit era simile a quello di un agente dei servizi sotto copertura. In contatto con Licio Gelli ed esoterista paranoico, Semerari possedeva una villa a Castel San Pietro, nei pressi di Rieti, nella quale reclutava ed indottrinava personaggi provenienti dall’estremismo neofascista e dalle file della criminalità organizzata.

Il criminologo aveva anche interessi internazionali, si era recato più volte in Libia ed aveva partecipato a Roma, all’Hotel Hilton, ad un incontro con Abd al-Salam Jalloud, inviato speciale di Gheddafi, nel marzo del 1974, a cui avevano partecipato anche esponenti dell’eversione nera e alcuni rappresentanti palestinesi. L’obiettivo dell’incontro per Semerari sarebbe stato quello di curare l’invio di armi in Libia e di organizzare l’addestramento di personale paramilitare, nonché l’acquisto di armi leggere da usare in Italia ed in Germania (Stefania Limiti, Doppio Livello, pag. 311-312).

Semerari si avvaleva della collaborazione di uno psichiatra e criminologo, docente di psicopatologia forense all’Università di Roma, il piduista Franco Ferracuticollaboratore del Sisde per la selezione degli agenti da assumere nel servizio, che aveva fatto parte del Comitato di Crisi istituito dal ministro Francesco Cossiga durante il sequestro Moro, di cui fece parte anche Steve Pieczenik e di cui avrebbe fatto parte anche Licio Gelli. Ferracuti, che aveva rapporti molto stretti con l’FBI, la CIA ed il Mossad, in particolare con il giornalista Michael Leeden, e con Robert Kupperman e Brian Jenkins, esperti di terrorismo internazionale; in seguito venne coinvolto nelle indagini sulla strage di Bologna.

Altro personaggio strano collegato a Semerari era Luigi Rotondi, originario di Avellino, che curava un servizio di vigilanza sui detenuti. Durante il sequestro Cirillo, Rotondi procurò alla sua compagna dell’epoca Marina Maresca, collaboratrice dell’Unità, un falso documento intestato “Mininter”, secondo il quale due esponenti della Democrazia Cristiana, Vincenzo Scotti e Francesco Patriarca, si erano recati da Cutolo al carcere di Ascoli Piceno per trattare la liberazione di Cirillo. L’Unità pubblicò i contenuti del documento in due puntate, il 16 ed il 18 marzo del 1982. Marina Maresca fu però arrestata e scontò il carcere. Il documento, nonostante fosse un falso, conteneva alcune informazioni vere, quali l’intermediazione di Cutolo e la questione del riscatto. La giornalista rivelò ai magistrati che il suo (ex) compagno era un collaboratore dell’Ufficio Affari Riservati del Viminale, del prefetto Federico Umberto D’Amato, e che Rotondi era frequentatore di Aldo Semerari.

Semerari non venne risparmiato dalla guerra di camorra scoppiata nel 1982, il suo cadavere fu ritrovato decapitato, il 1 aprile dello stesso anno, davanti all’abitazione di Vincenzo Casillo, vice di Cutolo, ad Ottaviano. Vincenzo Casillo morirà invece a Roma il 29 gennaio del 1983, nell’esplosione di una bomba collocata sotto la sua auto, in via Clemente VII, nei pressi di Forte dei Braschi, sede del Sismi. Ma l’elenco degli assassini tra i “testimoni” della trattativa Cirillo toccò le 29 vittime nei mesi successivi, molti per cause “naturali”, altri per incidente stradale.

Tra partito della fermezza e partito della trattativa

A margine della sconfitta politica delle Brigate Rosse, il finale di questa storia, iniziata pretestualmente dalle pagine del romanzo di Attilio Veraldi, potrebbe essere sinteticamente affidato alla ricostruzione che Marco Pannella fece dei collegamenti tra il sequestro D’Urso ed il sequestro Cirillo, nelle sedute della commissione Stragi del 28 gennaio e del 18 febbraio 1998.

Secondo il leader dei radicali, che ha sempre sostenuto la teoria della gestione golpista del sequestro Moro, la chiave di lettura della strategia della tensione va interpretata lungo la linea di confine dell’ordine di Yalta, per cui in Italia sarebbero esistiti, durante la prima repubblica, un partito di Yalta (ovvero un partito “americano” , che ha poi assunto le caratteristiche dell’estremismo filo-atlantista) ed un partito partitocratico, rigidamente abbarbicato agli interessi trasversali della borghesia italiana, chiuso nel proprio specifico nazionale ed istituzionale. La loggia P2sarebbe stata essenzialmente il luogo di potere occulto dell’oltranzismo atlantico. La P2, secondo Pannella, contrariamente alla lettura maggioritaria, sarebbe stata favorevole tatticamente ad una politica di unità nazionale, schierando a suo favore il “partito degli editori”, al servizio del piduista Bruno Tassan Din, dirigente del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera. Questo orientamento sarebbe continuato, per Pannella, almeno fino al 1981.

Anche nel caso del sequestro D’Urso si scontrarono due linee, quella della “fermezza” e quella della “trattativa”, simboleggiata dagli appelli di Leonardo Sciascia per consentire ai giornali di pubblicare i comunicati delle Br, dopo il blackout informativo. Ma gli appelli furono vanificati dall’omicidio del generale Enrico Calvanigi dei Carabinieri (braccio destro del generale Dalla Chiesa, che aveva creato l’Ufficio di coordinamento per i servizi di sicurezza nelle carceri) il 31 dicembre del 1980, e che rappresentò un’intollerabile sfida per lo Stato.

Tra i sostenitori più accesi della linea della fermezza contro le Br, Pannella ha ricordato più volte il ruolo svolto da La Repubblica che immediatamente dopo l’omicidio del generale Calvanigi, attraverso gli editoriali di Eugenio Scalfari, iniziò un attacco al presidente della Repubblica, Sandro Pertini, chiedendo l’attuazione di misure straordinarie e d’emergenza. Il giornale arrivò anche alla richiesta di impeachment di Pertini, dopo la liberazione di Giovanni D’Urso. In quello stesso periodo De Benedetti, dalle colonne del quotidiano diretto da Scalfari, richiamava l’allarme sulla corruzione, sul clientelismo e sulla voragine del debito pubblico, chiedendo un commissariamento alla politica per almeno un anno e mezzo. Secondo Pannella la linea della “fermezza” di De Benedetti, e del suo gruppo editoriale, aveva come corollario la caduta del governo Cossiga, per consentire la nascita di un governo dei “capaci e degli onesti con o senza tessera di partito” con a capo Bruno Visentini e con il PCI nella maggioranza,

Il governo Visentini avrebbe dovuto avere come ministri Paietta e Pecchioli, Di Bella, quelli che io chiamai allora “Pci, P38, P2 e P-Scalfari” (Marco Pannella, commissione stragi, 28 gennaio 1998) 

Il tentativo di formazione di nuova maggioranza favorevole ad un governo tecnico fallì contestualmente allo scoppio dello scandalo della P2, con la perquisizione di Castiglion Fibocchi, residenza di Licio Gelli, il 17 marzo 1981, in cui furono trovati gli elenchi della loggia massonica coperta. Secondo la ricostruzione di Pannella, il CAF (il patto Craxi-Andreotti-Forlani), che perpetuò l’agonia del sistema politico italiano, sarebbe nato in reazione al fallimento del tentativo di ristrutturazione delle istituzioni dello Stato auspicato da De Benedetti, che dovette aspettare fino alla stagione di tangentopoli per sostenere un nuovo progetto riformatore e tecnocratico.

Il capo delle Br Senzani, sempre più isolato e persa la copertura che lo rendeva insospettabile, per Marco Pannella, avrebbe compreso perfettamente che le azioni delle Brigate Rosse stavano di fatto consentendo una sorta di golpe e, con il sequestro Cirillo, tentò di attuare un tentativo estremo di operazione mediatico-politica, funzionale a colpire la DC, nella fisionomia che aveva assunto il sistema di potere in Campania dopo il terremoto del 1980 in Irpinia, ed a costruire consenso su un blocco sociale esplosivo, basato sui sottoproletariato dei terremotati e sui disoccupati. Le operazioni delle Br a Napoli, dopo l’omicidio di Pino Amato, si erano rivolte contro uno dei riferimenti democristiani dei disoccupati, con la gambizzazione di Rosario Giovine; a cui seguì il sequestro lampo e la gambizzazione dell’assessore comunale di Napoli, l’architetto Uberto Siola, dopo il terremoto del 23 novembre; fino all’assassinio dell’assessore regionale al Lavoro, Raffaele Delcogliano. La città di Napoli in quegli anni era governata dal sindaco comunista Maurizio Valenzi, con l’appoggio esterno della DC e, secondo Pannella, la connessione strettissima tra il sequestro d’Urso ed il sequestro Cirillo, riguarderebbe non solo la natura politica del blocco clientelare rappresentato dalla DC di Gava, ma anche il ruolo delle cooperative rosse nella ricostruzione post-terremoto in Campania.

La vicenda troverebbe riscontro nelle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Pasquale Galasso, alla commissione d’inchiesta sulla mafia della XI legislatura (presidente Luciano Violante), il quale ha riferito di una intermediazione avvenuta con un certo Giuliano Cava di Bologna, rappresentate della Lega delle Cooperative, con il quale fu pattuita una tangente di 4 o 5 miliardi di lire su un appalto complessivo di 250 miliardi per la realizzazione della superstrada da Napoli all’agro nocerino sarnese, nel 1986. Lo stesso Galasso ricostruì anche che le aziende che versavano le tangenti ai cutoliani, nel 1984 passarono sotto la protezione dei clan della Nuova Famiglia, dopo la sconfitta militare del cartello della NCO.

Nell’estate del 1981, a ridosso della liberazione di Cirillo, si tenne un summit del cartello della Nuova Famiglia, nella masseria dei fratelli Nuvoletta a Marano, alla presenza dei corleonesi RiinaProvenzano e Bagarella, in cui fu deciso di “risolvere” il problema costituito da Cutolo. Galasso ha ricordato alla commissione dei rapporti molto stretti tra Gava ed i Nuvoletta, i quali godevano di protezione da parte delle forze dell’ordine, e della richiesta di uomini legati a Gava di intervenire per la liberazione di Cirillo. La guerra di camorra si sarebbe scatenata, dopo la liberazione dell’assessore democristiano, proprio per evitare che Cutolo diventasse troppo forte, grazie alla protezione concordata con gli apparati di sicurezza durante la trattativa.

FONTE: https://emilianodimarco.wordpress.com/2014/08/10/quando-la-fantasia-supera-la-realta-il-vomerese-di-veraldi-il-romanzo-che-annuncio-il-sequestro-dozier/#more-2689

ARTICOLO PUBBLICATO ANCHE SU https://www.agoravox.it/Quando-la-fantasia-supera-la.html

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