Dopo l’11 settembre 2001, con la “guerra al terrore”, l’uso dei droni armati per combattere ed uccidere degli obiettivi umani è stato normalizzato, andando ad alimentare “guerre senza fine”. Liberati dalla tradizionale reciprocità della guerra, in cui entrambe le parti mettono a rischio la propria vita, gli operatori dei droni sono diventati più simili a dei carnefici giudiziari: processano persone dall’altra parte del pianeta senza assicurare un giusto processo e comminano condanne a morte tramite un telecomando.
Un errore onesto e non un crimine
Il 29 agosto scorso, alla vigilia dell’evacuazione USA dall’Afghanistan, tre adulti, tra cui un uomo che lavorava per un gruppo umanitario statunitense, e sette bambini (il più piccolo aveva solo 2 anni) sono stati uccisi a Kabul in un’operazione militare americana condotta con il lancio di un missile Hellfire da un drone che aveva l’obiettivo di colpire una casa e un veicolo occupati da militanti afghani dello Stato Islamico al fine di prevenire un attacco contro le forze militari americane. Il “terribile errore” era emerso solo a seguito di un’inchiesta del New York Times, dopo giorni in cui il Pentagono aveva cercato di depistare i media. Alla fine, gli USA hanno ammesso il tragico errore e preso l’impegno di risarcire i familiari superstiti.
Il 4 novembre, il tenente generale Sami Said, l’ispettore generale dell’aeronautica americana, ha reso pubblico un rapporto d’indagine in cui si ammette che quell’attacco di droni è stato un tragico errore (l’errore era stato ammesso già il 17 settembre), ma che non ha violato alcuna legge americana. “È stato un errore onesto (a honest mistake)… Non si tratta di condotta criminale, condotta casuale, negligenza“, ha detto Said ai giornalisti al Pentagono.
Said ha affermato anche che gli Stati Uniti credevano sinceramente che le persone uccise a seguito dell’attacco “stessero preparando un attacco imminente” alle forze e alla missione USA all’aeroporto internazionale Hamid Karzai. Una valutazione fatta sulla base di informazioni e osservazioni “purtroppo imprecise” fornite dall’intelligence che hanno portato a identificare la casa e la macchina sbagliate. Said ha detto che le condizioni di alta pressione che hanno circondato l’attacco (erano passati tre giorni da quando un attentatore suicida all’aeroporto aveva ucciso 13 militari americani e 170 di civili afghani) e il timore di un imminente attacco all’aeroporto di Kabul da parte dello Stato Islamico, hanno contribuito all’errore.
Dopo l’attacco terroristico all’aeroporto, il presidente Biden aveva lanciato un avvertimento ai combattenti dello Stato Islamico: “Vi daremo la caccia e ve la faremo pagare“, ha detto il 26 agosto, e tre giorni dopo, Biden ha autorizzato l’attacco coi droni e poi lo ha rivendicato come prova del suo impegno nel combattere i terroristi. D’altra parte, Biden era vicepresidente quando il presidente Barack Obama ha intensificato gli attacchi con i droni, aumentando gli “omicidi mirati“, che poi sono continuati durante la presidenza di Donald Trump e continuano nell’era di Biden.
Said ha spiegato che non c’era un punto di fallimento o una persona da incolpare per l’errore. Ha anche detto che non era nelle sue responsabilità decidere se qualcuno dovesse essere punito per l’errore. D’altra parte, il rapporto del Pentagono ha sostenuto che un fattore era stato un “pregiudizio di conferma” (la tendenza a prendere decisioni su ciò che ci si aspetta di vedere): gli operatori ai joystick che comandano i droni hanno visto quello che si aspettavano di vedere, presumendo che la Toyota Corolla bianca nel mirino (seguita in video per otto ore) fosse la stessa che era sta indicata dall’intelligence, anche se è una delle auto più comuni in Afghanistan. Inoltre, dato che si riteneva che il precedente attentatore dell’aeroporto avesse utilizzato una borsa per computer per trasportare esplosivi, quando gli operatori dei droni hanno visto le persone che stavano guardando si sono scambiate una borsa da computer, erano diventati più convinti di avere il bersaglio giusto. Purtroppo, effettivamente “era una borsa per computer” e non esplosivi, ha detto Said.
Uccidere i civili senza conseguenze
La mancata raccomandazione di azioni legali o disciplinari è in linea con la tradizione americana di tollerare e scusare i crimini di guerra, di trattare le sue diffuse uccisioni di civili nella cosiddetta “guerra al terrore” come errori innocenti commessi nel perseguimento della pace e della sicurezza.
Questa decisione ha suscitato accuse immediate di impunità nelle forze armate statunitensi. “Quando non c’è alcuna responsabilità per un errore così grave e così costoso, si invia un messaggio a tutta la struttura di comando che l’uccisione di civili è solo un normale costo della guerra“, ha detto su Twitter il senatore democratico Chris Murphy. “Questo è inaccettabile.”
Un problema fondamentale alla base dei ripetuti incidenti di vittime civili causati da attacchi di droni è stato il rifiuto degli Stati Uniti di ratificare o adottare il primo protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1977, che si occupava della protezione delle vittime dei conflitti armati. Il protocollo dice che le parti in guerra hanno il dovere di verificare che le persone che prendono di mira non siano civili. L’esercito americano riconosce solo il dovere di prendere le precauzioni possibili in “buona fede” per evitare vittime civili. Dal momento che gli Stati Uniti non hanno adottato espressamente tale principio, si prestano a questa raccolta e analisi non strutturata di informazioni che non fanno le domande giuste sulle persone che diventano degli obiettivi da eliminare.
Il fatto è che i droni, insieme alle forze speciali e all’utilizzo dei subcontrctors militari, hanno stabilito una “asimmetria radicale” della violenza, diversa da qualsiasi cosa creata dalle armi precedenti. La totale asimmetria della violenza, in cui una parte è completamente libera dal pericolo e l’altra alla loro totale mercé, mette in discussione se ciò che sta accadendo sia una guerra o qualcosa di più sinistro. Liberati dalla tradizionale reciprocità della guerra, in cui entrambe le parti mettono a rischio la propria vita, gli operatori dei droni sono diventati più simili a dei carnefici giudiziari: processano persone dall’altra parte del pianeta senza assicurare un giusto processo e comminano condanne a morte tramite un telecomando.
Negli attacchi dei droni, l’obiettivo è uccidere, non catturare. Agli esseri umani viene negato il diritto di arrendersi e vengono invece giustiziati per essere membri di un gruppo definito dagli assassini come malvagio. Si presume che i droni siano degli strumenti per premiare rapidamente i giusti e punire gli ingiusti. I giustiziati sono ritenuti “colpevoli”, senza arresto, interrogatorio o successiva condanna. Le uccisioni mirate sono state normalizzate, portando ad un aumento delle violazioni dei diritti umani.
In Sahel, da circa un decennio i francesi e i loro alleati cercano di “decapitare” i gruppi terroristici, eliminando i dirigenti attraverso l’utilizzo di missili lanciati da droni; solo nel 2020 il capo di Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqim) e Bah Ag Moussa di JNIM; prima ancora Mokhtar Belmokhtar, il guercio1. Secondo dati riportati dalla stampa, la missione Barkhane (vedi qui e qui) ha neutralizzato una media di 80 ribelli al mese nel 2020. Colpi pesanti, ma che non hanno fermato le formazioni, anche perché queste, e non gli Stati, esercitano l’effettivo controllo del territorio. Una guerra sporca che uccide civili. Il 3 gennaio 2021, ad esempio, un raid aereo francese nel Mali centrale, supportato da droni, ha ucciso 19 civili Fulani riuniti per la celebrazione di un matrimonio, scambiato dai militari francesi per un summit di jihadisti armati (un piccolo gruppo di jihadisti era effettivamente presente sulla scena, ma per imporre la separazione tra uomini e donne durante la celebrazione e la festa, e in 3 sono stati uccisi), secondo un rapporto dell’ONU.
I giustiziati degli attacchi con i droni sono persone che nella maggioranza dei casi non rappresentano una minaccia concepibile per Paesi come gli Stati Uniti o la Francia, i cui costumi, circostanze e persino identità sono spesso sconosciuti a queste vittime.
Ma, l’ascesa della “guerra umana”, con droni, forze speciali e subcontractors militari privati, ha indirizzato governi e opinioni pubbliche in una direzione diversa rispetto a questi argomenti, perché non è così dipendente da un gran numero di soldati, che siano arruolati o volontari.
In Paesi come il Pakistan, lo Yemen, la Libia e la Somalia, gli Stati Uniti hanno effettuato migliaia di attacchi in assenza di una significativa presenza sul terreno di forze militari e di intelligence americane. Per anni la Libia ha continuato ad essere bombardata dai droni americani che decollavano dalla base siciliana di Sigonella e sono stati guidati dal sistema satellitare MUOS di Niscemi (costato 7 miliardi di dollari). Dal 2011 al 2017 hanno compiuto oltre 550 attacchi sul suolo libico contro le forze locali dell’ISIS.
La Somalia – un Paese con un governo debole e con uno scarso supporto interno, mentre al-Shabaab continua a creare scompiglio (con autobombe, uccisioni e rapimenti) nell’intera regione – è stata trasformata in una sorta di poligono di tiro per droni, missili e forze speciali americane (circa 700) ed africane che dovrebbero contrastare ribelli jihadisti di al-Shabaab, ma hanno ucciso anche migliaia di civili innocenti. Le persone che vengono uccise sul terreno negli attacchi di solito non rappresentano, e in effetti non possono, rappresentare una minaccia immaginabile per gli americani.
Il concetto di guerra come attività legale e moralmente regolata è stato storicamente costruito su un’assunzione di rischio e pericolo reciproci tra i partecipanti. Quella dinamica semplicemente non esiste più quando una parte sta combattendo solo con i robot dall’altra parte del pianeta. Mentre i precedenti progressi tecnologici possono aver ridotto la minaccia strutturale tra i combattenti, la guerra con i droni è la prima volta che una parte si è resa assolutamente immune alla violenza.
In sostanza, i droni hanno spostato in modo significativo i calcoli dei costi della guerra. I droni possono essere dispiegati rapidamente, per lunghi periodi di tempo e con effetti letali a costi finanziari e rischi per la vita inferiori per coloro che li utilizzano, rispetto agli aerei pilotati o alle forze di terra proiettate su grandi distanze. Ciò rende più probabile che vedremo più guerre (nascoste) con i droni, ma meno guerre (dichiarate).
Come si combatte una guerra coi droni?
La prima cosa da sapere è che il drone – un velivolo senza pilota – è solo una parte del sistema. Degli operatori americani a terra negli Emirati Arabi Uniti possono lanciare in aria un drone Reaper, ma poi il controllo passa a un altro gruppo di operatori situato alla base aeronautica di Creech, appena fuori Las Vegas. Questi equipaggi lavorano da stazioni di controllo a terra cariche di schermi e computer, ma dipendono anche da una massiccia infrastruttura di rete di satelliti, data center e cavi in fibra ottica.
I droni non sono solo degli aerei telecomandati e le squadre che li controllano includono più che semplici piloti. A seconda della missione, potrebbero essere coinvolti decine di analisti di immagine. Se la missione prevede un attacco letale, la cosiddetta “catena di uccisioni” coinvolge nel processo decisionale avvocati e comandanti militari. In breve, un’enorme quantità di attrezzature e manodopera viene utilizzata per far funzionare i droni militari. Questo è uno dei motivi per cui i militari americani preferiscono termini come “sistema aereo a pilotaggio remoto” (RPAS) a “drone“.
Gli strateghi militari di tutto il mondo hanno visto i droni come un punto di svolta per la gestione dello status quo e delle guerre. Grandi droni come il Predator e il Reaper – da tempo in dotazione anche all’aeronautica militare italiana che ora li vuole armare con uno stanziamento di 168 milioni di euro – aiutano gli Stati Uniti a esercitare potere in tutto il mondo. Dotati di dispositivi di sorveglianza ad alta tecnologia, questi droni possono fornire supporto ai soldati a terra e lanciare i propri attacchi, limitando in modo proattivo le capacità degli insorti e dei gruppi identificati come terroristi. E possono fare tutto questo senza esporre i propri equipaggi al pericolo. I sostenitori affermano, inoltre, che i droni rendono la guerra più sicura per civili e soldati, rendendola più tecnica e precisa (si parla di “surgical precision”).
Ma, migliaia di civili (i cosiddetti “danni collaterali”) sono stati uccisi solo negli attacchi dei droni americani. Daniel Hale, un veterano militare che si è dichiarato colpevole di aver divulgato documenti riservati che hanno rivelato debolezze letali nel programma dei droni, sta scontando quattro anni di carcere. I pubblici ministeri hanno affermato che quei documenti hanno costituito la base per The Drone Papers, una serie di articoli investigativi pubblicati da The Intercept. Tra le altre rivelazioni, i documenti di Hale hanno reso noto come ben nove su 10 vittime di attacchi di droni statunitensi in Afghanistan non erano gli obiettivi previsti.
Le persone che hanno vissuto e vivono sotto i droni in Afghanistan, Pakistan, Yemen, Somalia, Siria, Iraq, Etiopia, Sahel (Mali, Chad, Burkina Faso, Niger), Turchia (Kurdistan), Sahara Occidentale, Gaza e altrove riferiscono un’ansia costante, non sono mai sicuri di quando arriverà il prossimo attacco. In molti finiscono per soffrire di disordine da stress post traumatico (DSPT). Questo, mentre anche molti operatori dei droni descrivono gli attacchi come esperienze psicologicamente difficili e di DSPT, nonostante che siano spesso visti come una forma di uccisione antisettica e disumanizzata, paragonabile a far saltare in aria bersagli in un videogioco.
Infine, ci sono prove che suggeriscono che gli attacchi dei droni sono controproduttivi perché alienano e radicalizzano le popolazioni locali, seminando i semi per ulteriori violenze. Per quanto la guerra con i droni abbia eliminato quasi del tutto il rischio mortale per una delle parti in guerra, ha contemporaneamente spostato quel rischio sui civili la cui sicurezza l’esercito è apparentemente incaricato di difendere. Rendendosi completamente immuni alla violenza punitiva di un nemico che uccidono da lontano, i militari americani hanno reso più probabile che quei nemici rispondano attaccando qualunque obiettivo sia disponibile, di solito quelli civili, piuttosto che accettare la resa o l’annientamento di fronte a una violenza implacabile a senso unico. Al tempo stesso, gli sforzi per rendere meno brutale la condotta degli Stati Uniti in tempo di guerra hanno contribuito a spianare la strada a una politica di antiterrorismo armato permanente (le cosiddette “forever” o “endless wars”).
Dopo l’11 settembre 2001, gli Stati Uniti hanno fatto largo uso di attacchi con droni contro obiettivi in Paesi stranieri come parte della “guerra al terrore” 2. Nel gennaio 2014, è stato stimato che 2.400 persone sono morte a causa di attacchi di droni statunitensi in cinque anni. Nel giugno 2015 il bilancio delle vittime totale degli attacchi dei droni statunitensi è stato stimato in oltre 6.000. Tra il 2015 e il 2021 si stima che gli Stati Uniti abbiano condotto più di 14.000 attacchi di droni nel solo Afghanistan. Insieme agli USA, Regno Unito, Israele, Pakistan, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Nigeria e Turchia hanno tutti utilizzato droni armati per uccidere obiettivi umani dal 2015. Molti alleati degli USA, e in particolare i membri della NATO (come Francia e Italia), hanno dotato o stanno dotando le loro forze armate di droni, sia per missioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione, sia per armarli e usarli in funzioni di combattimento3. Alcuni Paesi dell’Unione Europea stanno sviluppando propri programmi per la produzione di droni.
Le nuove frontiere: i droni governati dall’intelligenza artificiale
Gli sforzi di Washington per controllare la proliferazione attraverso restrizioni alle esportazioni di droni non sono riusciti a rallentare la corsa globale all’acquisizione della tecnologia4. Come tecnologia, i droni hanno un vasto numero di applicazioni oltre al loro uso nelle operazioni di combattimento. Il loro sviluppo è in parte guidato da usi commerciali e civili, dall’irrorazione delle colture con pesticidi alla gestione del traffico. Vietare i droni come tecnologia non è quindi né possibile né auspicabile.
I droni militari esistono da decenni, Israele li ha usati negli anni ’80 per trovare la difesa aerea siriana, ad esempio. Oggi, Israele è uno dei principali produttori di droni al mondo e produce il drone Harop che può essere utilizzato in una missione di “soppressione della difesa aerea nemica“.
La prima “guerra dei droni” è stata la prima Guerra del Golfo: secondo un rapporto del Dipartimento della Marina del maggio 1991 “almeno un un velivolo senza pilota era sempre in volo durante la Tempesta del Deserto“. Negli Stati Uniti, il Pentagono acquisì i sistemi senza equipaggio Predator e Global Hawk che divennero un punto fermo delle operazioni di contro-insurrezione. La pianificazione 2005-2030 per i velivoli senza pilota americani (UAV) ha segnalato che c’erano circa 20 tipi di droni in uso che avevano volato 100.000 ore durante le operazioni in Afghanistan e Iraq. La loro gamma di missioni si stava rapidamente espandendo, così come la loro diversità di dimensioni, dai micro droni che pesavano meno di un chilo al Global Hawk da oltre 14,5 tonnellate.
L’evoluzione tecnologica sta correndo e la produzione dei droni militari più iconici del mondo sta per finire. Gli Stati Uniti hanno ufficialmente terminato le operazioni di Predator tre anni fa e l’anno scorso hanno annunciato che avrebbero interrotto la produzione di Reaper più velocemente del previsto. Ciò è in parte dovuto al fatto che la loro tecnologia sta invecchiando rapidamente5. Ma, è anche perché le guerre future potrebbero essere molto diverse dalle recenti guerre americane in Iraq, Afghanistan e Africa. Queste guerre hanno contrapposto una macchina militare avanzata contro eserciti, insorti e gruppi terroristici mal equipaggiati. Ora, l’ISIS è in gran parte sconfitto e la caccia ai terroristi in tutto il pianeta ha perso il suo splendore.
I pianificatori militari guardano ai conflitti del futuro. Per gli Stati Uniti e alleati come l’Australia, questo significa una potenziale guerra con la Russia o la Cina. Il classico drone Reaper – il primo ad essere stato dotato di missili e ad essere stato impiegato dagli USA durante la “guerra al terrore” – è fondamentalmente un enorme aliante con un sofisticato motore da tosaerba fissato al centro. Questo lo rende un’obiettivo relativamente facile per un’aeronautica avanzata come quella cinese o russa6. La maggior parte degli eserciti occidentali avanzati sembra pensare che i droni non assicurino la vittoria delle guerre, come dimostra la lenta adozione di un gran numero di altri sistemi. I droni si sono dimostrati utili in territori non governati, dove la guerra asimmetrica è prevalente, come la caccia ai militanti in Somalia o nei combattimenti tra l’Arabia Saudita e i militanti Houthi nello Yemen7. I droni funzionano bene principalmente nello spazio aereo incontrastato contro coloro che non hanno una difesa aerea integrata e multistrato.
La guerra dei droni vecchia scuola continua soprattutto nei Paesi poveri privi di vere difese aeronautiche, con prodotti relativamente a basso costo realizzati con tecnologia digitale conveniente da Paesi come Turchia, Cina e Iran. La Turchia sta vendendo i droni Bayraktar TB2 – che costano 1-2 milioni di dollari (un decimo del prezzo dei droni americani Protector), sono considerati le armi di questo tipo più efficaci al mondo e vengono realizzati da Baykar Makina, una società il cui responsabile tecnologico, Selçuk Bayraktar, è sposato con la figlia minore di Erdoğan – alla Polonia, all’Ucraina, alla Serbia, all’Albania, al Qatar8, al governo federale dell’Etiopia, al Kyrgyzstan, al Marocco, alla Tunisia, al Kazakhstan, presentando nuove munizioni tattiche vagabonde a guida laser, come l’Alpagu.
I droni turchi sono stati un fattore significativo nelle vittorie delle forze di Tripoli su quelle di Khalifa Haftar in Libia nel 2020 e di quelle dell’Azerbaijan su quelle dell’Armenia nella guerra per il controllo del Nagorno-Karabakh nell’autunno del 2020. La stessa Turchia li ha usati e usa con terrificanti effetti nelle sue guerre in Siria e contro le popolazioni curde, i separatisti e il Partito dei Lavoratori Curdi (PKK) in Turchia, Siria e Iraq. Questi tipi di droni più piccoli vengono sparati da un tubo e il drone è costituito da una testata in modo che cerchi un bersaglio e poi voli su di esso come un missile. Tali sistemi kamikaze sono diventati comuni in Iran e tra gli alleati iraniani come gli Houthi, Hamas, Hezbollah e i militanti filo-iraniani in Iraq.
Droni armati sono stati utilizzati nell’operazione che ha portato all’uccisione di al-Gheddafi il 20 ottobre 2011, nell’assassinio del generale iraniano Qassem Soleimani nel giugno 20199, nell’uccisone di vari leader di al-Qaeda e dell’ISIS, come nell’uccisione da parte dell’esercito marocchino ai primi di aprile 2021 del capo di stato maggiore della gendarmeria del Fronte Polisario, Addah Al-Bendir, a Tifariti, nella zona liberata del Sahara Occidentale, dopo che aveva appena partecipato a un attacco nella zona di Bir Lehlou contro il muro di sabbia difeso dalle forze armate marocchine. Il 6 novembre, il primo ministro iracheno Mustafa al-Kadhimi è uscito illeso (ma sette guardie sono state ferite) da un tentativo di assassinio con tre droni armati, mentre era nella sua abitazione nella Green Zone di Baghdad, settimane dopo un’elezione generale che è stata messa in discussone da gruppi di miliziani sostenuti dall’Iran che hanno perso gran parte del loro potere parlamentare nelle elezioni.
La proliferazione dei droni sta alimentando i conflitti armati in Medio Oriente ed Africa perché questi velivoli armati senza pilota abbassano la soglia dei costi per combattere una guerra.
Le nuove tecnologie dei droni sono disponibili in molte forme, dimensioni e gusti diversi. La maggior parte è alimentata da innovazioni nell’elaborazione dei computer e nell’intelligenza artificiale, oltre che dalla progettazione aeronautica. Durante gli AlphaDogfight Trials del 2020 negli Stati Uniti, un drone controllato dall’intelligenza artificiale ha ripetutamente battuto uno dei piloti di caccia dell’Air Force. Poiché i droni alimentati dall’intelligenza artificiale non sentono la forza G o sperimentano lo stesso desiderio di autoconservazione, possono correre rischi e fare manovre che anche i migliori umani non possono o non vogliono. Inoltre, il primo rifornimento aereo con l’MQ-25 Stingray potrebbe aprire la strada a un’era in cui i droni si riforniscono a vicenda in aria. Se sul piano economico gli Stati Uniti non riescono più a mantenere il proprio potere imperiale, continuano a farlo sul piano militare, investendo massicciamente nell’intelligenza artificiale, biometria, tecnologie e “forze” spaziali che controllano satelliti, droni, automi, missili ipersonici, veicoli telecomandati, e velivoli ad alta tecnologia.
Con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale si va verso la prospettiva di piattaforme di armi autonome, che potrebbero avere la capacità di allontanare ulteriormente gli esseri umani che combattono dalla guerra, automatizzando l’intero processo di uccisione. Questo tipo di controllo dell’intelligenza artificiale consente di sciamare droni, che sono stati pubblicizzati per anni, ma che ora vengono testati sul campo. Anche l’Unione Europea ne ha finanziato lo sviluppo con il programma Robotborder per utilizzarli nel pattugliamento dei propri confini in funzione anti migranti e facilitare i respingimenti a terra e in mare, come fanno gli USA lungo il confine con il Messico.
Gli sciami si affidano a droni che comunicano tra loro per raggiungere una missione: uno sciame potrebbe essere composto da una mezza dozzina o fino a un migliaio di droni che lavorano tutti insieme. Perdi uno o due droni e lo sciame può auto-guarirsi adattandosi alla perdita o chiamando un sostituto.
Un’altra vasta area di ricerca e sviluppo è il lavoro di squadra uomo-macchina, che potrebbe trasformare la guerra a terra e in mare, oltre che in cielo. Ad esempio, Boeing con una collaborazione australiana ha realizzato il Loyal Wingman che offre ai piloti di caccia umani una squadra di droni da combattimento aereo che operano come dei potenziali sherpa. Questi droni possono essere usati per deviare il fuoco nemico o aumentare la capacità di attacco. Dall’altro lato dello spettro, ci sono anche sviluppi nel mondo dei nano droni. Come qualcosa uscito dal programma televisivo distopico Black Mirror, questi minuscoli dispositivi possono infiltrarsi in tutti i tipi di luoghi inaccessibili senza essere visti e potrebbero essere il futuro della sorveglianza.
Molte di queste tecnologie sono in fase di sviluppo o test, con un’implementazione non lontana dall’orizzonte. I piccoli droni sono già più comuni di quelli più grandi. Oggi, quasi tutte le operazioni di terra statunitensi portano con sé un drone tattico Raven che può essere lanciato da un singolo soldato per dare agli ufficiali a terra una visione dall’alto. Presto, potrebbero trasportare un kit di sciami di nano droni per le operazioni urbane.
Questi nuovi droni aumentano anche la posta in gioco relativa alle questioni di trasparenza e responsabilità che non sono mai state adeguatamente risolte nel vecchio tipo di guerra dei droni. C’è una mancanza di trasparenza riguardo alle operazioni dei droni, attribuita alla natura altamente sensibile delle informazioni riguardanti le operazioni militari.
FONTE E ARTICOLO COMPLETO: https://transform-italia.it/le-guerre-dei-droni-e-necessario-aprire-un-dibattito-pubblico-in-italia-e-unione-europea/
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