La transizione energetica sarà un’importante partita di matrice tecnologica, industriale e anche geopolitica. Questo fatto va tenuto in grande considerazione quando si parla delle dinamiche a tutto campo che la caratterizzeranno e delle risorse in prima linea per abilitarla.
L’IEA (Agenzia internazionale dell’energia) e la Banca mondiale in particolare puntano fortemente sul ruolo che potranno giocare i Rare Earth Elements (REE), le cosiddette “terre rare” decisive per la costruzione di un’economia “verde” per il loro ruolo decisivo nella catena del valore dell’eolico, del fotovoltaico, dell’auto elettrica, delle reti digitali di ultima generazione.
Sotto il profilo scientifico, le cosiddette Terre rare sono per la precisione diciassette elementi della tavola periodica, quindici dei quali della famiglia dei lantanidi (Lantanio, Cerio, Praseodimio, Neodimio, Promezio, Samario, Europio, Gadolinio, Terbio, Disprosio, Olmio, Erbio, Tulio, Itterbio, Lutezio) a cui si aggiungono il littrio e lo scandio. Essi hanno particolari proprietà per cui esercitano un magnetismo resistente anche alle alte temperature, consentendo, a seconda delle varie applicazioni, di ottimizzare diversi processi industriali e produttivi e di accelerare la produzione di diversi materiali critici e strategici. Il controllo della produzione e della distribuzione delle terre rare sta diventando una sfida sempre più importante nell’era della transizione digitale ed energetica.
La distribuzione delle terre rare
Come ogni risorsa strategica, anche le terre rare hanno un valore intrinsecamente legato alla loro distribuzione sul territorio del pianeta, alle catene del valore che le incorporano, ai processi tecnologici per la loro estrazione e lavorazione. Esse non sono risorse “rare” in termini di distribuzione geologica: lo sono, piuttosto, le proprietà chimico-fisiche che le rendono, senza dubbio, essenziali per quasi ogni aspetto tecnologico nell’era digitale. Si stima che le riserve mondiali assommino a ben oltre 100 milioni di tonnellate, per quanto profondamente diseguali a seconda delle risorse: il cerio è presente sulla crosta terrestre con la stessa abbondanza del rame, mentre il tulio, che è il più raro, è comunque più abbondante del cadmio.
Per la precisione questi elementi sono diffusi in natura in un centinaio di minerali, sotto forma di ossidi, carbonati, silicati, fosfati, associati ad altri elementi quali ferro e alluminio, il che rende decisiva, prima ancora dell’individuazione di nuovi giacimenti, la disponibilità di tecnologie estrattive volte a procacciarsi le terre rare a bassi costi. Questo appare in grado di spiegare la profonda sproporzione tra la distribuzione delle risorse e le dinamiche del mercato. Sul fronte dei giacimenti, come scritto su Pandora, “secondo le ultime stime dell’US Geological Survey le riserve mondiali ammontano a 120 milioni di tonnellate, concentrate prevalentemente in Cina (33,3%), Vietnam (18,3%), Brasile (18,3%), Russia (10%), India (5,75%), Australia (2,75%), Stati Uniti (1,16%) e Groenlandia (1,2%)”. Tuttavia, sul secondo fronte la Cina da sola controlla oltre l’80% dell’estrazione in atto risorse provate di terre rare, con picchi di stime che portano questa quota addirittura oltre il 90%. E questo basta da sé a spiegare la valenza strategica di materie prime decisive per le nuove filiere industriali.
Terre rare e tecnologie per la transizione
Pechino si trova per questi motivi in cima alla classifica dei Paesi che si possono preparare a sviluppare politiche industriali volte a accelerare la transizione green: la Cina guida la classifica mondiale dei brevetti sulle rinnovabili, della produzione di pale eoliche e pannelli fotovoltaici, è al vertice della classifica anche per la loro installazione sul territorio e per generazione elettrica da rinnovabili, è la prima costruttrice al mondo di veicoli elettrici e sta spingendo molto sia sulla costruzione di un ecosistema tecnologico attivo basato sul 5G sia su piani industriali di prospettiva come Made in China 2025. Ma la rivoluzione delle terre rare per la transizione green sarà ancora più pervasiva.
Complessivamente, almeno duecento sono i prodotti industriali decisivi per la transizione che contengono terre rare nella loro composizione, e molti di essi sono quelli a più alta intensità tecnologica. Si pensi solo al settore della distribuzione elettrica, sottoposto da tempo a cambiamenti disruptive sulla scia della diffusione sempre maggiore delle reti “intelligenti” (smart grid) e delle tecnologie legate al governo in tempo reale del flusso generazione-immagazzinamento-distribuzione in campo energetico legato alla generazione da fonti rinnovabili. Inoltre, come ha ricordato Aspenia, è importante sottolineare che “nuove risorse si connetteranno alla rete” con sempre maggior frequenza, tra cui “accumulatori e veicoli elettrici” in un contesto in cui “l’intera catena del valore” del settore “sarà modificata per decenni”.
Le nuove reti intelligenti, i nuovi centri di produzione e distribuzione, gli elementi collaterali alla rete elettrica (centrali di ricarica, sensori abilitanti le nuove interazioni IoT etc.), assieme agli elementi dell’infrastruttura digitale che accelereranno gli scambi di dati (reti 5G) e la loro analisi (data center) comporteranno un cambio radicale di paradigma sul fronte produttivo. Di conseguenza, la domanda globale di questi elementi, di conseguenza crescerà a dismisura nei prossimi decenni: lo studio “Minerals for Climate Action: The Mineral Intensity of the Clean Energy Transition”, pubblicato dalla Banca Mondiale, lo sembra confermare.
Questo imporrà una serie di investimenti notevoli, come ha ricordato l’ad di CESI Matteo Codazzi sempre su Aspenia. Per Codazzi il processo di “modernizzazione delle reti incorporerà un’accurata e strutturata serie di processi volti a identificare gli investimenti chiave e sviluppare la necessaria infrastruttura tecnologica in una maniera veloce e strutturata”. Gli investimenti dovranno essere quantitativamente ingenti, ha spiegato il manager della multinazionale italiana specializzata in consulenza per il settore energetico, dato che la “Commissione Europea stima una necessità di investimento media di 50 miliardi di euro l’anno”, il doppio della media dell’ultimo decennio, mentre negli Usa “su 14 miliardi di dollari di fabbisogno solo 2 sono stati stanziati nel 2018”.
La distribuzione elettrica appare un fattore abilitante per l’intera filiera della transizione. In ambito industriale, infatti, anche i settori ad alta intensità di emissione, i cosiddeti “hard to abate”, baseranno nel quadro di una crescente sostenibilità i loro consumi su idrogeno verde prodotto tramite elettrolizzatori alimentati da energia elettrica di stampo rinnovabile, in un contesto di crescente digitalizzazione.
Aziende come CESI sono in prima linea per governare appieno questa transizione energetica, industriale e geopolitica che avrà nelle terre rare un driver e un abilitatore di primaria importanza e porterà a sviluppare nuove tecnologie e nuovi settori nel campo decisivo della transizione. Le aziende e le utilities dovranno saper giocare al meglio, assieme ai governi, questa partita, curando sia il fronte dell’approvvigionamento delle terre rare sia l’apertura di nuovi investimenti in prodotti strategici, filiere produttive e tecnologie in grado di entrare nel mercato in piena maturità e senza shock sistemici. Una partita complessa che segnala la rilevanza dei processi che guideranno negli anni a venire la transizione.
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