Le ragioni sociologiche del passaggio dalla logica televisiva all’immaginario della nuova serialità
Il successo delle nuove series è testimoniato dal ruolo cardine da esse assunto nell’immaginario: i referenti più efficaci e più influenti nella ridefinizione continua delle categorie di riferimento, dei criteri di strutturazione del comportamento, dei principi di relazionalità intersoggettiva, si sono repentinamente spostati dall’immaginario cinematografico a quello seriale. Probabilmente la definizione di «serie tv» oggi appare quanto mai riduttiva e fuorviante, benché si tratti di un termine composito ormai così in voga da venire adottato comunemente senza problemi. Ciò che fa problema è proprio il riferimento alla televisione: nella serie tv il medium di trasmissione e distribuzione determinante è proprio quello televisivo, che d’altronde era il canale privilegiato, essenziale, per non dire assoluto, della vecchia serialità.
A seguire un estratto di GALASSIA NETFLIX. L’ESTETICA, I PERSONAGGI E I TEMI DELLA NUOVA SERIALITA’ (Villaggio Maori, 2019) di Alessandro Alfieri
Di Alessandro Alfieri
Avere l’appuntamento fisso garantisce una stabilità sensoriale; nel flusso del mercato lavorativo completamente scardinato da principi regolativi rigorosi, nella perpetua e indefinita ridefinizione della propria identità legata a esigenze collegate alla realtà del nuovo mercato del lavoro, si cerca nella scansione settimanale una qualche garanzia di identificazione. Nell’identità del personaggio sempre riconoscibile, settimana per settimana, la nostra ambizione si rivolge a quell’identità (professionale ma per ciò stesso anche esistenziale) che ci sfugge: “Comunque vadano le cose, martedì sera resta il momento del mio eroe!”. E tuttavia, la struttura narrativa degli episodi, la stereotipizzazione e la dimensione a-problematica delle vicende concedono anche la possibilità di smarrire tali referenti che sono provvisori: la puntata della serie televisiva è una finestra sulla settimana, che apre lo spazio dell’abitudine per ripresentarsi puntualmente dopo sette giorni. Perciò, da un lato la ritualità della fruizione rigorosa dettata dal palinsesto riflette la dinamica della turnistica professionale classica, legata ai vecchi contratti di lavoro, ma dall’altro tale programmazione “annuncia” i tempi della disgregazione di questa logica del lavoro, perché si pone come garanzia di ancoraggio nella mutabilità perpetua dell’esistenza. E ancora: se questo accade attraverso profili psicologici statici, ben inquadrati, protagonisti di ogni episodio che contiene in sé sviluppo e conclusione, è proprio per offrire al neo-lavoratore smarrito una costante e un punto d’appoggio, perché nella liquidità postmoderna rappresenta un barlume di fissità, una possibile “risorsa di trascendenza”[1]. Dal momento che la costruzione di ogni singolo episodio segue però tale logica dettata dal medium televisivo, la conseguenza è proprio l’opposto: un episodio può venire scardinato dalla successione senza smarrire il senso complessivo: le serie autenticamente televisive sono malleabili, rispondono a principi di consumo televisivo classici, per i quali la televisione non intende mai tradirti. Hai perso un episodio? Poco male…recuperalo se riesci, altrimenti continua a vedere la serie dalla prossima puntata, non succede niente!
L’elemento essenziale per comprendere la più recente produzione seriale è il superamento della esclusiva dimensione televisiva: «i sempre più stringenti accordi tra web, mobile e televisione stanno portando a uno scenario nuovo, la nascita di una sorta di piattaforma ipermediale, davvero convergente, in cui i contenuti transitano con semplicità su device molto diversi trasformando sempre più la TV in una smart TV e i mobile device in micro-smart TV»[2]; questo non significa che la tv non mantenga un ruolo essenziale anche come canale di trasmissione delle series, però da un lato si tratta di una TV evoluta, di tecnologia satellitare e soprattutto con tecnologia on demand. Resta in diverse occasioni la centralità televisiva, ma è indubbio che il web oggi domina la scena massmediale, non riducendosi solo al canale di distribuzione ma determinando anche le modalità dei contenuti. Le nuove series sono infatti adeguate a questo orizzonte: se passano per la tv si tratta solo di un fattore ausiliario, perché esse sono prodotte, pensate e distribuite in rete su piattaforme come Netflix o Infinity, quasi interamente dedicate al genere. Le modalità di uscita delle serie e dei nuovi episodi cambiano radicalmente, soprattutto perché le app a cui facciamo riferimento passano per dispostivi lontani dalla logica dell’apparecchio televisivo: la tv è fissa in salone o in camera, la proiezione è unilaterale nel senso che la nostra interazione si riduce a cambiare canale o ad alzare il volume, il palinsesto è rigoroso ed orizzontale. Il web si serve di dispositivi mobile come ipad e smartphone: il palinsesto televisivo nel senso classico è tramontato, lasciando spazio a una maggiore interattività da parte del fruitore, considerando però che a restare costante è l’esigenza di serialità dell’immaginazione: «Se la televisione tradizionale impone i ritmi dei propri palinsesti al pubblico, i nuovi dispositivi permettono allo spettatore di scegliere quale prodotto vedere nell’orario preferito; inoltre, con la sempre maggiore diffusione dei dispositivi mobili, la fruizione non è più limitata a dei luoghi ben precisi, collocati soprattutto all’interno dello spazio domestico, ma diventa un’esperienza che si può compiere praticamente ovunque»[3].
In questo senso la definizione di serie tv dovrebbe quanto meno essere ricompresa, ma come insegna McLuhan con l’avvento e il dominio di un nuovo medium i media precedenti non scompaiono, ma devono ri-aggiornarsi e riconfigurarsi: questo discorso ha riguardato il cinema dopo il trionfo della serialità, ma lo stesso elettrodomestico “televisore” ha assunto nuovi connotati. Oggi il televisore, in rapporto alla serialità, si affida ancora alla programmazione di vecchie serie tv, o alla trasmissione in seconda, terza o quarta visione di serie già circolate su altri canali. E comunque, stiamo parlando di una televisione già riplasmata a partire dalla web culture: la proliferazione di canali satellitari e la tecnologia on demand, sono mutamenti attraverso i quali la tecnologia televisiva si è evoluta per mettersi al passo col web. La tecnologia televisiva rivendica il proprio ruolo dominante nella logica dell’evento catalizzatore nella proposta (tipicamente italiana) di offrire i primi episodi della tanto attesa nuova stagione dell’acclamata seria in esclusiva, se non fosse che il consumo massivo di quella stessa serie, dal giorno successivo, si trasferisce proprio nello streaming. La Galassia Netflix si appoggia spesso su tecnologie iper-televisive direttamente online, e circola in maniera “vaporosa” affidandosi ai dispositivi mobile: Netflix e in generale le app predisposte alla produzione e alla proposta di nuovi prodotti seriali non sono “media” nel senso stretto del termine, perché assomigliano più a “contenuti”: la piattaforma è infatti immateriale, switcha perpetuamente tra i supporti come per la tecnologia cloud, questo in perfetta sintonia con lo scenario sociale che ci troviamo a vivere nella contemporaneità.
C’è un universo di contenuti audiovisivi che pagano evidentemente un tributo al cinema, alla televisione e al video ma che essendo inseriti in un sistema tecnologico di comunicazione con caratteri molto specifici e determinati, vanno innanzitutto ridefiniti e catalogati all’interno di un sistema che ne faccia emergere l’omogeneità e poi studiati, anche e soprattutto, alla luce proprio dei caratteri che le ricerche sull’informatica, sulle tecnologie, sulla Rete stanno mettendo in risalto.[4]
Il laptop è il supporto agile utile all’attività postmoderna, dallo studio all’intrattenimento, adeguato alla liquidità dilagante che ha contaminato il mercato del lavoro e la nostra stessa sfera esistenziale. Recuperare il proprio account ovunque ci troviamo, usufruire dei contenuti in ogni fase della giornata riprendendo da dove si aveva interrotto: la mobilità nomade preferisce apparecchiature disposte a sacrificare il gigantesco schermo cinematografico per lo schermo dello smartphone, anche perché l’abbonamento a Netflix risulta assai più economico della frequentazione abituale dei cinema. Non solo: la maggiore interattività concessa dall’app (pausa, scorrere gli episodi, appunto switchare dispositivo…) è esattamente la dimensione dettata dal superamento delle tempistiche classiche di lavoro, dalla rigidità degli ambienti e dei contratti classici: «In questo modo, lo spazio di fruizione del prodotto si allarga a dismisura, coinvolgendo molti altri momenti della giornata dello spettatore, che può così continuare a far parte della dimensione messa in piedi dallo show, ad essere a sua volta parte di quell’universo narrativo anche al di fuori dei limiti spazio-temporali imposti dalla fruizione televisiva»[5].
Ora, la vecchia serie tv seguiva il principio della ritualità dell’appuntamento fisso settimanale, solitamente serale, e paradossalmente la scarsa attenzione nella dimensione stilistico-formale di regia e fotografia rispecchiava una semplicità percettiva che esprimeva il principio di rilassare il fruitore con prodotti senza pretese, e questo perché è «la forma della narrazione a produrre piacere, non il suo contenuto»[6]. […] L’ambizione delle nuove series è di altro tipo: la durata del singolo episodio è in linea con le esigenze temporali dei nostri ritmi esistenziali, ma ciò che avviene è che a partire dalla durata ridotta dal singolo episodio siamo condotti a vedere il successivo, e poi il successivo ancora: «La differenza del web è quella di mettere a disposizione i diversi episodi per una visione differente: le maratone (più episodi tutti insieme, magari un’intera stagione), la pura frammentazione (quando ho tempo) e di conseguenza l’ubiquità della visione (dove voglio)»[7]. Le series non lasciano possibilità di omettere episodi, perché è un unico lungo sviluppo strettamente interconnesso da episodio a episodio: «ogni stagione funzione (e viene girata) come un lungo film, che solo successivamente viene tagliato in vari segmenti settimanali»[8]. Così, il risultato è dialetticamente l’opposto a quello che enunciavamo prima; si tratta del fenomeno del binge watching:restiamo ore e ore dinanzi al monitor del dispositivo per esaurire il prodotto nella sua interezza. Si tratta di una sorte di “fruizione ipnotica” motivata anche dalla profondità dei contenuti e dalla complessità dei profili psicologici dei protagonisti; l’insaziabilità del fruitore ingordo cerca nelle series non più una tappa rituale nella sua settimana, ma la possibilità di colmare un vuoto che può prolungarsi per intere giornate (“il contratto è scaduto, mentre cerco un nuovo lavoro buona parte delle giornate sono dedicate alla visione di series!”), e questo perché «gli universi diegetici delle recenti serie tv non sono solo mutevoli: sono anche duraturi. Cambiano e occupano tempo per farlo. Abbiamo a che fare con universi permanenti, cioè che durano nel tempo, che hanno una durata materiale con un forte potere di condizionamento delle risorse temporali dei fruitori»[9]. La Galassia Netflix punta in questo senso sulla qualità e sull’accuratezza delle produzioni: se il principio di scelta spetta al fruitore, allora il criterio qualitativo diventa essenziale in quella che Grasso definisce quality television – «una testualità che svolge lo stesso ruolo della letteratura e del cinema per la sua capacità di fornire una visione artistica del mondo»[10] –, dal momento che a essere promosso è l’approccio attivo da parte del fruitore: «la televisione narrativamente complessa stimola, e in certi casi rende necessaria, una nuova modalità partecipativa da parte dello spettatore»[11].
[1] Cfr. Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2002.
[2] S. Arcagni, Visioni digitali, Einaudi, Torino 2016, p. 11.
[3] G. Grignaffini, A. Bernardelli, Che cos’è una serie televisiva, Carocci, Roma, 2017, p. 116.
[4] S. Arcagni, Visioni digitali, cit., p. 27.
[5] V. Innocenti, G. Pescatore, Le nuove forme della serialità televisiva. Storia, linguaggio e temi, Archetipolibri, Bologna, 2012, p. 33.
[6] I. Ang, Watching Dallas. Cultura di massa e imperialismo culturale, Armando Editore, Roma, 2013, p. 68.
[7] S. Arcagni, Visioni digitali, cit., p. 96; «La puntata è un segmento narrativo non autosufficiente, un frammento di una trama aperta, che occupa un posto preciso nella narrazione, ed è direttamente concatenato ai segmenti precedenti e successivi» (V. Innocenti, in V. Innocenti, G. Pescatore, Le nuove forme della serialità televisiva,cit., p. 9).
[8] P. Brembilla, G. Pescatore, La serialità televisiva americana: produzione, consumo e tipologie di prodotto, in G. Carluccio (a cura di), America oggi, Kaplan, Torino 2014, p. 288.
[9] Ivi, p. 61. Se da un lato si tratta di sottolineare il «legame anche affettivo con personaggi che [si] vedono crescere, cambiare, sbagliare, riprendersi» (A. Grasso, in A. Grasso, C. Penati, La nuova fabbrica dei sogni, cit.,p. 13), dall’altro «Questi mondi narrativi – tanto frantumati da portare in primo piano insicurezze e drammi, angosce irrisolte e irrisolvibili, imminente crollo di un Paese e dei valori liberali in cui crede – sembrano cercare una coerenza interna non tanto nella possibilità illusoria di un lieto fine, quanto piuttosto nella ricomposizione di un principio unitario che ne riscatti la poliedrica – e di fatto ingestibile – realtà. Del resto, tanto complessi nella loro struttura, i mondi narrativi delle serie televisive rincorrono sempre quell’antica duplicità che permette di guardare al mondo con occhio certo, capace di distinguere tra ciò che è male e ciò che è bene. Il riscatto è dunque nella ricomposizione. I protagonisti dopotutto inseguono la sicurezza degli affetti, la certezza del diritto, la semplicità dei valori. In una visione così semplificata l’uomo riacquista il suo posto in un universo nel quale ogni cosa si ricolloca nell’ambito che tradizionalmente le spetta. La ragione, la fede, il rapporto tra naturale e soprannaturale, la ferrea oggettività della scienza rivendicano la propria naturale legittimità» (A. Coco, Le serie tv e l’esperienza del transito, in «Segnocinema», n. 142, novembre-dicembre 2006,p. 25).
[10] A. Grasso, in A. Grasso, C. Penati, La nuova fabbrica dei sogni, cit.,p. 11; le nuove serie «sfidano il pubblico a uscire dall’orizzonte di aspettative costituito dalla gabbia di stili e temi per misurarsi con racconti difficilmente incasellabili entro formule già note» (C. Penati, in A. Grasso, C. Penati, La nuova fabbrica dei sogni, cit.,p. 75).
[11] J. Mittel, La complessità narrative nella televisione americana contemporanea, in «The Velvet Light Trap», n. 58, Fall 2006, in V. Innocenti, G. Pescatore, Le nuove forme della serialità televisiva, cit.,129.
FONTE: https://www.lafionda.org/2021/10/29/la-galassia-netflix-e-le-trasformazioni-nel-mondo-del-lavoro/
Commenti
Posta un commento
Partecipa alla discussione