1- Il 3 settembre è uscito il tuo nuovo album, intitolato “A Ticket Home”. Quanto ti ritieni soddisfatta di quest’ultima fatica?
Noi musicisti siamo abituati all’impermanenza, quindi tutto ciò che è duraturo nel tempo è per noi fonte di continuo e straziante scrutinio. Il desiderio sarebbe quello di rivisitare, continuamente, e reinterpretare il lavoro passato per rivestirlo delle nuove idee che ci accompagnano nell’evoluzione della nostra creatività. Detto questo non potrei essere più soddisfatta e orgogliosa del mio disco. Nel mio piccolo è stata un’impresa titanica che ho affrontato curandone ogni dettaglio, durante la pandemia, con budget e tempo limitati. L’ho voluto fortissimamente e ci ho riversato tutto il mio cuore e intelletto. È la fotografia di un momento molto intenso della mia vita, sia del punto emotivo che da quello creativo. È la mia nascita, la mia voce, il mio rivelarmi.
2- “A Ticket Home” è un disco totalmente autoprodotto. A tal proposito, quali sono a tuo parere i pro e contro della stessa autoproduzione musicale e/o artistica?
Ho adorato essere la produttrice e unica padrona di ogni mia nota e scelta estetica. Ho amato osare ed essere completamente me stessa. Nella musica classica e, in particolare in orchestra, le scelte artistiche concesse ai musicisti sono infinitesimali, decisamente un sottile piacere fatto di dettagli quasi invisibili. Io desideravo avere carta bianca per poter raccontare la mia storia musicale, la mia visione. È stato un desiderio di libertà creativa di tale portata che non avrei potuto tollerare alcuna scelta imposta dall’alto. Proprio per questo tante scelte sono state sofferte perché sono ricadute tutte solo ed esclusivamente sulle mie spalle. Dopo questa esperienza mi piacerebbe farne una con un collaboratore virtuoso, qualcuno che dopo aver ascoltato questo disco capisca chi sono e anche, perché no, possa immaginare scenari artistici per me che sfuggono anche alla mia comprensione. Sarebbe un sogno. Solo se fosse nello spirito della ricerca creativa e non commerciale.
3- Il tuo stile musicale è decisamente variegato, spaziando da world music e jazz al pop raffinato. Quanto ritieni fondamentale la trasversalità nel tuo percorso artistico?
Per me la musica si divide in bella e brutta. I diversi generi ne sono la ricchezza culturale, storica, stilistica e di espressione, ma non un universo a compartimenti stagni. Esiste indubbiamente, secondo me, uno spessore artistico straordinario nel repertorio cosiddetto classico, ma in tutti i generi si annoverano capolavori straordinari. Io sono cresciuta tra Bach, il jazz e la musica napoletana. Benedico i miei genitori per avermi dato le chiavi per assaporare tanta bellezza e tanta diversità. Da David Sylvian passando per Bjork, Keith Jarret e Debussy, la musica è un universo troppo bello per essere confinato in categorie rigide.
4- Il nuovo album è contraddistinto dalla reinterpretazione di diverse hit storiche, come “Que sera sera” e “In cerca di Te”, così come di brani della musica popolare come “Maria Marì”. A tuo parere, tra musica popolare e pop storico vi sono dei legami più forti di quanto comunemente si potrebbe pensare?
Il pop storico entra a far parte del bagaglio popolare acquistandone pieni diritti sanciti dal successo duraturo. In fin dei conti, tutti i brani iconici possono diventare degli standard da reinterpretare secondo i nostri gusti, sensibilità e contaminazioni musicali. Ogni canzone nasconde tante anime - e la musica popolare è un patrimonio da cui si attinge quasi in modo inconsapevole, poiché è scolpito nel nostro dna.
5- Hai collaborato con importanti direttori d’orchestra noti a livello mondiale, come Lorin Maazel o Daniel Oren per citare qualcuno. Quanto queste esperienze ti hanno arricchito, sia personalmente che da un punto di vista lavorativo?
Avere avuto la fortuna di collaborare con il Maestro Maazel è stato un grande dono della vita. Non lo dimenticherò mai. La sua capacità di comprendere, descrivere e tradurre la sua musica aveva del prodigioso. Era come se fosse a lui a suonare per te il tuo strumento. Un’esperienza mistica.
6- Ti sei esibita al Lincoln Center di New York e, inoltre, hai suonato presso l’Ambasciata italiana a Washington DC e per gli Istituti di cultura italiani di Cultura in diverse nazioni. Quali sono stati i concerti a cui sei più legata e quanto ritieni possa o debba incidere la musica e l’arte italiana a livello di ‘diplomazia culturale’, sia per questioni di cooperazione internazionale che per il ruolo dell’Italia nel mondo?
Ogni concerto è un’avventura a sé stante. La magia che si crea tra gli ascoltatori e l’esecutore obbedisce a regole alchemiche misteriose. Ovviamente suonare in luoghi prestigiosi aumenta la carica di adrenalina, ma io ricordo di aver suonato in una casa di riposo una volta e di essere stata rapita da una magia infinita. O quando ho suonato all’ambasciata Italiana di Washington, ed eravamo tutti in lacrime in orchestra. O l’emozione di suonare le opere più belle. Per anni confesso di aver pianto tanto mentre suonavo nella buca ringraziando la vita per la gioia incommensurabile di essere parte di un’operazione di sinergia perfetta che è l’Opera lirica. Potrei andare avanti tanto, è la ragione per cui si fanno tanti sacrifici pur di essere musicisti. L’Italia deve difendere e diffondere il suo patrimonio culturale il più possibile. Per i suoi cittadini che stanno perdendo il contatto con la nostra grande tradizione e per il mondo che può essere salvato solo dalla bellezza dopo tante brutture, ingiustizie e orrori.
7- Quanto e come ha influito l’emergenza Covid sulla tua attività musicale e sulla tua vita in generale?
Il covid, portatore di tanto orrore e dolore, ha paradossalmente regalato a quelli di noi più fortunati il dono prezioso del tempo e del desiderio di usarlo al meglio. È grazie alla pausa forzata dal lavoro a cui il covid mi ha costretta che ho trovato il tempo per poter realizzare il mio disco. È stata un’avventura incredibile trovare il coraggio di svelare la mia musica e scoprire tanta energia che non credevo neanche di avere. Ho riscoperto tutte le cose che contano. Ho davvero imparato a contare con la matematica del cuore.
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