Mario Draghi è fortemente convinto che la fase apertasi nell’Europa di oggi non sia destinata a rimanere transitoria e possa generare cambiamenti a tutto campo nell’Unione, nella governance della sua economia, nelle sue future prospettive di sviluppo. Il Recovery Fund e la costituzione in un progetto sostanzialmente strutturale delle politiche espansive sul piano monetario hanno sospeso a tempo indeterminato le logiche dell’austerità a lungo perorate dalla Germania di Angela Merkel e che, pragmaticamente, dall’inizio del Covid-19 anche Berlino ha messo da parte. Lasciando sostanzialmente ad alcuni suoi apparati, come la Bundesbank e la Corte di Karlsruhe, il ruolo di “guardiani” dei trattati e non seguendo i suoi satelliti più vicini, i “falchi” della Nuova lega anseatica, sul rigorismo.
In asse con Emmanuel Macron, da tempo Draghi perora l’ipotesi di rendere permanenti e strutturali i fondi del Recovery. A fine marzo il premier ha esordito al Consiglio Europeo battendosi per sostenere la creazione di un titolo europeo, a prova di pandemia e primo passo verso un debito pubblico comunitario in forma strutturale, capace di rendere permanente l’esperienza del Recovery Fund. Un vero e proprio Eurobond, molto simile al progetto del premier spagnolo Pedro Sanchez per la ripresa nella prima fase del Covid, un asset proposto dopo numerosi cambiamenti divenuti evidenti nell’Ue. Un anno di politiche espansive guidate dall’azione della Bce ha di fatto sterilizzato le divergenze tra tassi di interesse nel Vecchio Continente e “redento” una quota consistente delle emissioni sovrane di svariati Paesi, permettendo loro una maggiore esposizione sul debito. Draghi, che nella sua dottrina per la risposta al Covid-19 ha rilanciato la lezione di John Maynard Keynes, sa che alle crisi va imposta una risposta anticiclica. Spendendo in deficit per creare investimenti strategici, il cosiddetto “debito buono”, occupazione, reddito e valore aggiunto nell’economia.
Di questi tempi, circa un anno fa, Mark Rutte, primo ministro olandese, guidava il fronte dei rigoristi anseatici per sterilizzare la prospettiva di creazione del Recovery Fund e rilanciare la censura sui conti pubblici. Una vera e propria manovra suicida per l’Europa, che i nordici avrebbero voluto dividere tra i sommersi della pandemia e i salvati capaci di mantenere gli standard del modello mercantilistico e deflazionista pre-esistente al Covid. Giuseppe Conte, ai tempi, tentò dapprima una timida reazione, poi non potè fare a meno di appiattirsi sul compromesso Merkel-Macron siglato a un tavolo a cui non era stato invitato che diede via al debito mutualizzato. Oggi Draghi spinge il gruppo di testa dell’Ue, fa sponda nel triangolo con Parigi e Berlino, alza la posta con la Commissione. Che oramai sottolinea come inevitabile l’opzione secondo cui le misure transitorie “dovrebbero rimanere a sostegno dell’economia quest’ anno e l’anno prossimo. E dovremmo evitare un ritiro prematuro delle misure di supporto dell’economia”. Parola non di un politico greco, italiano o spagnolo ma del falco tra i falchi, il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis, censore dell’austerità negli anni della commissione Juncker, “cane da guardia” del nostro Paolo Gentiloni nella squadra di Ursula von der Leyen. Oggi ammorbiditosi rispetto ai tradizionali dettami austeritari.
“La sfida” di Draghi in Europa “è iniziata e destinata ad entrare a breve nel vivo”, nota Il Messaggero. L’obiettivo è costruire un nuovo consenso europeo, rompere le maglie del patto di stabilità, i formalismi incisi in trattati già superati prima del Covid. Si rivela dunque il valore strategico che il progetto nazionale del governo di unità e d’emergenza ha per le rotte dell’interesse nazionale italiano: un successo del Piano nazionale di ripresa e resilienza può dimostrare che fare deficit comune aiuta la ripresa europea: “Per Draghi il primo requisito che l’Italia deve assolvere, prima di un nuovo affondo e tentare di rendere permanente il meccanismo degli eurobond, è quello di dimostrare che il Paese sa spendere bene il denaro del Recovery”. L’espansione dei fondi del Pnrr oltre i limiti di Next Generation Eu, l’operazione-fiducia avviata da Draghi, dal governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco, dal ministro dell’Economia Daniele Franco e dal collega alla Pubblica Amministrazione Renato Brunetta sulla tenuta dei fondamentali macroeconomici italiani e sulla capacità del Paese di consolidare la ripresa, il vento nuovo delle riaperture creano un contesto favorevole. A cui dovrà seguire una matura campagna politica capace di creare le basi per un serio dibattito sul tema in sede europea. Nella consapevolezza che prima di avere un quadro completo dei nuovi assetti di potere in Germania e Francia difficilmente si potranno avere risposte definitive, ma che al contempo l’Italia possa essere la nazione più centrale in questa discussione.
All’Italia serve dar subito slancio ai progetti del Pnrr, investire strategicamente, consolidare la ripresa per mostrare la bontà della rottura della linea austeritaria. Le nomine di Draghi in società come Cdp e Ferrovie sono in questo contesto funzionali a dare un volano al flusso di investimenti per alimentare il capitale politico del governo. In gioco ci sono i futuri assetti dell’Europa. Nella cui definizione l’Italia è tornata centrale, interpretando il vento di discontinuità e di cambiamento che da tempo soffia da oltre Atlantico. Gli Usa, alla finestra, sono a favore della rottamazione dell’austerità, in passato fattore deflazionistico per l’intero sistema mondiale. E Draghi sa ben cogliere gli orientamenti in via di definizione oltre Oceano. Sapendo bene che su questi temi un cambio di rotta per l’Europa troverebbe Roma e Washington pienamente concordi. E che la fine dell’austerità è un obiettivo che, in fin dei conti, gioverebbe conseguire a ogni cittadino dell’Unione, affinche i disastri dello scorso decennio diventino solo un ricordo.
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