C’è l’accordo per un nuovo governo israeliano. Netanyahu potrebbe cedere il passo dopo dodici anni di regno ininterrotto. Yair Lapid, che aveva ricevuto l’incarico di dare un governo al Paese, ha comunicato al presidente di avere trovato la maggioranza necessaria.
Una convergenza di opposti, che va dall’ultra-destra a uno dei partiti arabi, cementata da un minimo comune denominatore: porre fine all’era Netanyahu.
L’intesa è arrivata al fotofinish, poco prima che Lapid fosse costretto a rinunciare al mandato, che la Costituzione prevedeva scadesse alla mezzanotte di ieri. E non senza fatica, dati i tanti ostacoli a comporre le ovvie divergenze di una maggioranza tanto composita.
Sarà, meglio sarebbe, il primo governo israeliano a includere un partito arabo (il governo di Rabin aveva un supporto esterno dalle forze politiche arabe), altro indice della rilevanza di quanto avvenuto.
Condizionale d’obbligo dato che il nuovo governo deve ricevere la fiducia in Parlamento. Occorrerà una settimana o forse più, tempo che Netanyahu utilizzerà per vanificare l’intesa.
Gli errori di Netanyahu
Sui rischi di tale percorso scrive Anshel Pfeffer su Haaretz, che spiega come sia stato proprio Netanyahu a porre le basi per la riuscita del nuovo governo.
Prima attaccando ferocemente Bennet, quando nicchiava alle sue profferte per unirsi a lui, costringendo “il leader Yamina a rendersi conto che non avrebbe mai realizzato il suo sogno di fare pace con il mentore che un tempo ammirava così tanto”.
“Bennett era solo l’ultimo dei tanti ex protetti di Netanyahu che sono diventati suoi implacabili nemici, ma era necessario per completare la maggioranza di questa nuova coalizione”.
il secondo errore di Netanyahu “è stato quando ha negoziato con Abbas dopo le elezioni di marzo, nella speranza che il leader della United Arab List avrebbe sostenuto il suo governo. Netanyahu, che tanto aveva fatto per incitare gli ebrei contro gli arabi per il proprio tornaconto politico, aveva poi, nel suo modo cinico, legittimato l’inclusione del partito di Abbas in una coalizione con i partiti di destra”.
Un negoziato fallito, ironia della sorte, a causa di un grande successo di Netanyahu che nelle score elezioni era riuscito, con un accordo politico, a portare in Parlamento “l’alleanza suprematista ebraica del sionismo religioso, con i suoi membri neo-kahanisti”.
Proprio tale ambito ha detto no a un governo con gli arabi, che però il negoziato aperto da Netanyahu aveva sdoganato come possibile alleato anche di un partito di ultra-destra, la via percorsa da Bennet in questi giorni.
Il destino di Lapid
Sviluppi da seguire, dato che il nuovo governo può essere ucciso nella culla e di certo non avrà vita facile. Ma in questa temperie, come annota Pfeffer è stato cruciale il ruolo di Lapid, che ha tessuto la tela di questa convergenza impossibile proiettandosi come futuro premier.
Centrista pragmatico e fautore del destino di Israele come Stato ebraico, è però convinto che si necessaria una “separazione” con i palestinesi, ai quali, in caso contrario, non può essere negato il diritto di voto, pena la fine di Israele come Stato democratico (The Atlantic).
La necessità di uno Stato palestinese, se non come diritto almeno come necessità, lo pone in sintonia con la nuova amministrazione Usa, che ha rilanciato la prospettiva, relegando nel cassetto dei brutti ricordi l’Accordo del Secolo, propugnato controvoglia da Trump e realizzato entusiasticamente dal suo genero Jared Kushner per conto dei neoconservatori con la supervisione di Netanyahu.
Prospettiva favorita dal fatto che Lapid è uno strenuo sostenitore della necessità di un legame solido con gli Stati Uniti, che Netanyahu ha logorato. Tutto ciò apre nuove prospettive anche a un eventuale accordo sul nucleare iraniano, perseguito da Biden e avversato da Netanyahu.
È alquanto ovvio che nessuna intesa è stata possibile finora anche a causa della transizione israeliana e che l’instaurazione di un eventuale “governo di cambiamento” in Israele potrebbe favorire l’esito positivo dei negoziati che si stanno svolgendo a Ginevra.
La nave iraniana affondata
A tale proposito va segnalato che ieri è affondata, causa incendio, la più grande nave da guerra iraniana. Una semplice fatalità, forse, ma tanti analisti non hanno potuto fare a meno di evocare la guerra segreta tra Iran e Israele, che da alcuni anni vede il Mossad sabotare i navigli nemici.
Se in precedenza erano prese di mira le petroliere, a quanto pare la strategia israeliana è mutata, come denota l’attacco alla nave spia iraniana Saviz dello scorso aprile.
Un’azione che Israele aveva anche rivendicato, contraddicendo la linea guida di tale campagna, cioè agire e non dire, e suscitando le ire degli apparati di Sicurezza, che avevano criticato sia la rivelazione che il rilievo che aveva trovato sui media.
Ciò spiegherebbe la non rivendicazione di un’azione tanto gloriosa agli occhi degli israeliani e tanto odiosa agli occhi di tanta parte di mondo per le sue potenziali conseguenze.
Da parte sua l’Iran, anche se fosse stato un attacco, eviterebbe di dirlo, sia perché sarebbe un atto di guerra al quale sarebbe inevitabile rispondere con la guerra, sia per evitare di dover ammettere falle nella sicurezza, sia, infine, per evitare che una sua reazione faccia saltare il tavolo dei negoziati di Ginevra.
Se il silenzio è d’oro, è pure vero che tale campagna è a rischio escalation. Urgono correttivi. Vedremo.
FONTE: https://piccolenote.ilgiornale.it/51676/israele-raggiunto-laccordo-per-un-nuovo-governo
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