A pochi mesi dalle elezioni in Germania i Verdi hanno operato un nuovo affondo sulle strategie energetiche di Berlino promosse dal governo di Angela Merkel e riguardanti un legame sempre più sinergico con la Russia di Vladimir Putin. Nelle scorse settimane il partito che con Annalena Baerbock spera di conquistare uno storico posto alla Cancelleria federale dopo il voto di settembre ha rilanciato dapprima il suo netto rifiuto del completamento del gasdotto Nord Stream II, per poi ispirare una serie di iniziative a livello europeo volte a frenare su scala complessiva la cooperazione energetica tra l’Europa e Mosca.
Nel quadro dei nuovi equilibri disegnati dall’avvento di Joe Biden alla presidenza degli Usa la questione ambientale sta ottenendo una crescente esposizione geopolitica e viene utilizzata dai partiti che se ne fanno portavoce, in ascesa in tutta Europa, per saldare legami più stretti con i centri di potere di oltre Atlantico. Dopo la proposta dell’Ue di attivare i “dazi verdi” contro il dumping ambientale dei Paesi del resto del mondo, pensati con un occhio alla Cina e promossi dal Verde francese Yannick Jadot, il connubio tra ambientalismo e atlantismo si va consolidando sulla scia dell’offensiva diplomatica e mediatica contro Mosca. Ritenuta fonte di una dipendenza sistemica del Vecchio Continente in termini energetici, fonte principale della una ‘bolletta’ mensile di 27 miliardi di euro per le importazioni di materie prime pagata dai Paesi dell’Unione.
Dapprima la Baerbock ha provato a giustificare una nuova richiesta di stop al Nord Stream 2 con i crescenti sospetti di cyberattacchi russi in Europa; in seguito a fine maggio i Verdi tedeschi hanno promosso un’iniziativa comunitaria volta a criticare la collaborazione di diverse aziende europee, principalmente tedesche, francesi ed italiane, al progetto Artic Lng 2. Attualmente in costruzione nel Grande Nord russo, a Murmansk, i terminal del nuovo progetto per un impianto di liquefazione e rigassificazione dell’oro blu sono destinati ad aprire al mercato globale i giacimenti siti nella penisola di Gydan, quasi 2,000 km più a est. La compagnia mineraria Novatek ha dal 2019 i permessi per operare nella regione sita sulle coste del Mare di Kara, uno dei bacini in cui si divide l’Oceano Artico.
Artic Lng 2 è stato pensato per amplificare la capacità d’azione della Russia nel mercato del gas naturale liquefatto globale, uno dei terreni in cui gli Stati Uniti hanno provato ad assediarne le prospettive di espansione. In meno di dieci anni la Russia è diventata il quarto produttore mondiale di Gnl (alle spalle di Qatar, Australia e Usa) con una capacità di 27 milioni di tonnellate l’anno, che dovrebbe salire a 73,2 milioni entro il 2025 anche grazie al completamento del progetto artico, che non essendo promosso da alcuna compagnia pubblica non è soggetto alle sanzioni del 2014. Tanto che aziende del calibro della francese Total e nostra Saipem partecipano attivamente a un progetto che è valutato circa 9,5 miliardi di euro. Saipem è forte di un contratto del valore di 2,2 miliardi di Euro siglato in joint venutre con TechnipFMC, azienda a guida francese nata nel 2017 dalla fusione della transalpina Technip e della statunitense FMC Technologiestra i leader mondiali nel settore del Lng, e Nipigas, una tra le più importanti società di ingegneria russe, e dell’interessamento di Sace per la garanzia all’export di materiali e impianti. Analoga scelta fatta dalla tedesca Euler Helmes per sostenere le aziende dell’impiantistica sue connazionali.
Fumo negli occhi per i Verdi, che sono partiti a testa bassa contro il progetto con una missiva, ispirata dai loro esponenti tedeschi, promossa dal gruppo ecologista all’Europarlamento a fine maggio e che è stata sottoscritta anche da esponenti dei Socialisti, di Renew Europe (ex-liberali) e della Sinistra Unita Gue. “Questo progetto produrrà 19.8 milioni di tonnellate di Lng ogni anno, e questo cosiddetto “gas naturale” è fonte di importanti emissioni di carbonio con fuoriuscite di metano lungo tutta la catena di produzione”, scrivono allarmati gli eurodeputati verdi prendendo le mosse dalla causa ambientalista, aggiungendo che Artic Lng 2 contribuirà a aumentare l’export russo verso il Vecchio Continente (a cui sarà destinato il 20% del suo output). Questo è il punto di caduta di una critica politica che dalle parti di Washington sarà stata ben apprezzata. Gli eurodeputati Verdi ricordano che Mosca “si è dimostrata più volte un fornitore altamente inaffidabile, oltre che politicamente conflittuale, in particolare negli ultimi mesi”.
La coalizione verde che comprende quattro italiani ex del Movimento Cinque Stelle spinge poi perché sia il governo italiano a ““rifiutare di supportare questo progetto e a individuare un nuovo standard mettendo fine a qualsiasi garanzia all’export per i combustibili fossili prima del Cop26”. Roma è ritenuta il principale riferimento Usa in Europa dopo l’ascesa di Mario Draghi a Palazzo Chigi, e certamente l’allineamento euro-atlantico del nuovo esecutivo non si discute. Ma lo zelo dei Verdi europei ha un tempismo decisamente infelice: negli stessi giorni in cui la loro lettera partiva, Biden dimostrava pragmatismo non bloccando un progetto avviato dalla precedente amministrazione Trump per lo sfruttamento del petrolio in Alaska.
Sul fronte del legame con le politiche energetiche del predecessore Donald Trump, Biden sta infatti perseguendo una linea cauta: dopo il via libera alle trivelle della Conoco nella National Petroleum Reserve dell’Alaska e dopo che a inizio aprile si era opposto alla possibilità di chiudere un importante oleodotto che corre dal North Dakota all’Illinois, Biden ha concesso una sponda al fronte ambientalista laddove le mosse trumpiane erano più controverse. Il 3 giugno è arrivata la conferma che il primo giugno, nota Lifegate, “Deb Haaland, la prima nativa americana alla guida del dipartimento degli Interni, ha temporaneamente sospeso le licenze operative per trivellare un’area di 1,5 milioni di acri – equivalenti a più di seimila chilometri quadrati – a Prudhoe Bay, nel nordest dell’Alaska. L’area fa parte dell’Artic national wildlife refuge, un’enorme riserva naturale istituita nel 1960 che si estende per quasi 80mila chilometri quadrati e ospita specie animali sempre più rare, come renne e orsi polari”. Insomma, solo laddove il trumpismo si è spinto troppo oltre Biden ha, comprensibilmente, adottato una linea prudenziale ed ecologista. Mentre altrove il pragmatismo ha prevalso.
Tale scelta realista dovrebbe portare diversi politici, in Europa, a interrogarsi, mutatis mutandis, sull’agenda ottimale da applicare nei confronti della Russia. Ridurre la dipendenza energetica da un singolo fornitore come la Russia è un obiettivo strategico? Assolutamente si. Può essere uno zelo sanzionatorio e una chiusura unilaterale a opportunità d’affari legali la via da seguire? Ne siamo meno convinti. Specie considerato il fatto che i Verdi non hanno sciolto l’ambiguità su progetti rivolti a una transizione pragmatica e al sostegno a altre iniziative infrastrutturali che riguardano diversi Paesi Ue e le loro interconnessioni energetiche. Alla prova della realtà questa indecisione potrebbe ridurre la loro capacità di azione qualora gli ecologisti, tedeschi in testa, salissero al governo dei propri Paesi senza un’agenda. E neanche un legame privilegiato con Washington può aiutare a far sviluppare del sano realismo.
FONTE: https://it.insideover.com/energia/i-verdi-europei-allattacco-dei-progetti-russi-sul-gas-artico.html
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