Di Alberto Negri
La Libia ha trovato il suo sponsor in Erdogan che ha scambiato la sua protezione militare contro Haftar con accordi sulle zone marittime; con un obiettivo non dichiarato ma esplicito: estromettere l’Italia dopo le parole del premier Draghi su Erdogan «dittatore». Questa è la differenza con il passato costellato di tensioni e sequestri tra marineria da pesca italiana e libici.
Lo potremmo chiamare il «sovranismo blu», in salsa libica ma con gli ingredienti neo-ottomani di Erdogan. La sottile e incandescente linea della pesca del gambero rosso ci riporta oltre che a vecchie questioni, ad una realtà recente: il Mediterraneo è diventato un mare conteso come non mai dai tempi della guerra fredda, dove gli attori protagonisti sono le vecchie potenze ex coloniali e gli sconfitti di un tempo rivendicano larghe porzioni di mare.La Russia delle tensioni non è dispiaciuta: ha le basi in Siria e punterebbe ad averne un’altra sulla costa in Egitto o in Cirenaica dove è presente con la compagnia di mercenari Wagner.
La Libia, che unita e sovrana non è, ma è occupata sia in Tripolitania che in Cirenaica da potenze e milizie straniere, ha trovato il suo sponsor in Erdogan che ha scambiato la sua protezione militare contro il generale Haftar con intese economiche e accordi sulle zone marittime; con un obiettivo non dichiarato ma esplicito: estromettere l’Italia dopo le parole del premier Draghi su Erdogan «dittatore».
Questa è la differenza con il passato costellato di tensioni e sequestri tra marineria da pesca italiana e libici. La Turchia aveva già ben fatto capire che ritiene il mare davanti alla Tripolitania un’area di sua influenza, e non a caso aveva fatto fotografare i suoi militari sulle motovedette donate dall’Italia a Tripoli.
Erdogan non fa niente per caso. Se incoraggia i libici a mostrare i muscoli ai pescatori italiani è perché non ha intenzione di ritirarsi dalla Libia come dichiara il ministro degli Esteri Cavusoglu. E intende rafforzare le sue pretese nel Mediterraneo orientale dove contesta le zone economiche esclusive di Grecia e Cipro per l’estrazione di gas offshore. Qui affronta una coalizione costituita oltre che da Atene e Nicosia, da Francia, Egitto, Israele ed Emirati.
La partita della pesca ha una posta in gioco ben superiore al gambero rosso. Lo sanno perfettamente anche le autorità italiane che negoziano da qualche tempo sui confini marittimi con Algeria e Turchia. Ma la nostra diplomazia è sottile e sfuggente come un pesce che non vuole abboccare e quando vede guai in vista, trova subito il capro espiatorio.
Alla fine, per le nostre autorità, la colpa è dei pescatori, così si evince da un comunicato della Farnesina. Il peschereccio “Aliseo”, con sette uomini d’equipaggio, il cui comandante Giuseppe Giacalone è rimasto ferito dai colpi sparati da una motovedetta libica di Misurata non doveva essere lì perché la zona, dice il ministero degli esteri, «è altamente pericolosa», e da un decennio.
L’attacco era stato preceduto questa settimana da un altro tentativo di abbordaggio contro pescherecci italiani partito dalle coste della Cirenaica, quelle controllate da Khalifa Haftar. L’episodio aveva riportato alla memoria il sequestro dei marittimi terminato in dicembre dopo che in Cirenaica dovette recarsi una delegazione guidata dal premier Giuseppe Conte e dal ministro degli esteri di Maio. Missione senza precedenti della storia della repubblica.
Ma che accade a largo della Libia e di quella Tripolitania sotto protettorato di Erdogan?
Ecco le rivendicazioni dei libici e come le giustificano – fin dai tempi di Gheddafi. L’episodio sarebbe accaduto a circa 35 miglia dalle coste libiche tra Tripoli e Misurata, all’interno della zona riservata di pesca istituita dalla Libia nel 2005, con estensione di 62 miglia al di là delle acque territoriali di 12 miglia.
La diatriba è tra chi ritiene che il tentativo di sequestro illegittimo perché avvenuto in una zona di giurisdizione libica non internazionalmente riconosciuta e chi invece considera che sia illegittima la pesca nelle zone rivendicate dalla Libia, tranne che vi sia il consenso dello stato costiero.
Quest’ultima tesi è sostenuta dal fatto che la Libia ha dichiarato nel 2009 una zona economica esclusiva estesa «sino ai limiti consentiti dal diritto internazionale» e che l’Italia non ha realmente contestato. Dichiarando la zona di pesca ad «alto rischio» e promettendo di evitare sconfinamenti, di fatto ha già riconosciuto alcune pretese di Tripoli.
Il tutto non può che fare felice Erdogan, sempre più impegnato a rinsaldare i legami con la parte occidentale della Libia a scapito dell’Italia. Misurata, prima nostro avamposto e dove teniamo ancora un ospedale da campo militare, adesso è saldamente in mano alla Turchia.
Per noi non solo il Mediterraneo non è più da un pezzo Mare Nostrum ma sta diventando un pantano politico-diplomatico. Era inevitabile visto che della Sponda Sud l’Italia, l’Europa e gli Usa hanno fatto una sorta di discarica dei diritti umani, dei profughi e di ogni dignità.
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