Al finire del XX secolo si inizia a guardare all’ambiente, allo sviluppo e alle città con occhi diversi. Nella seconda metà del Novecento il susseguirsi di una serie di fenomeni (i disastri nucleari di Černobyl’ e Fukushima; il susseguirsi di vari disastri petroliferi, ultimo in ordine cronologico la petroliera giapponese Mv Wakashio; lo scioglimento dei ghiacciai; il forte inquinamento prodotto dalle industrie …), hanno fatto sì che si iniziasse a guardare alla tematica ambientale con molta più attenzione. Dalla “United Nations Conference on the Human Environment”, tenutasi a Stoccolma nel 1972, all’accordo di Parigi del 2015, si è puntato sempre di più sulla sensibilizzazione alla causa ambientale e agli spazi che si occupano, soprattutto nelle città, che si prestano ad essere il vero, e forse unico, motore green di questa nuova Società Internazionale.
Agenda 21 e governance locale
L’Agenda 21 è un “programma d’azione”, approvato in occasione della Conferenza su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro (1992) suddiviso in IV Sezioni. Nel Preambolo dell’Agenda 21 è stato messo in evidenza come l’umanità si trovasse in un punto cruciale della sua storia, avendo dovuto fare i conti non solo con le disparità tra nazioni ma, soprattutto, con il deterioramento e la distruzione degli ecosistemi da cui dipendono la nostra salute e il nostro benessere.
Viene sottolineata, dunque, non solo la presa di coscienza in ambito internazionale sul problema ambientale ma anche come mancasse un’azione unitaria e coordinata da un organismo centrale con legittimazione internazionale capace di dotare i provvedimenti e le azioni vincolati di forza coattiva. Nella prima sezione è stato fatto presente come la crescita della popolazione mondiale e della produzione in combinazione a modelli di consumo insostenibili incrementassero lo stress sulla “capacità di supporto vitale del nostro pianeta[1]”, e che le città crescendo rapidamente hanno dovuto affrontare il problema del “buon governo” amministrativo dei servizi e, soprattutto, dei problemi ambientali. Ma è il capitolo 28 della sezione III, intitolato“Local authorities’ initiatives in support of Agenda 21” che dà maggiore enfasi alle autorità locali. Esso sottolinea che i principali obiettivi posti in essere nell’Agenda 21 hanno origine nelle attività locali e che è fondamentale la partecipazione e la cooperazione tra le diverse autorità locali. Le amministrazioni locali devono dialogare con organizzazioni di tutti i livelli, cittadini e imprese private per rendere più dinamica, efficace e mirata l’azione dell’Agenda.
Inoltre, si esalta la cooperazione tra le organizzazioni di rilievo quali UNDP, UNEP, Banca Mondiale, Conferenza delle Grandi città del mondo ecc. sottolineando che “un importante obiettivo sarebbe di supportare, estendere e migliorare tutte le organizzazioni che operano nell’ambito della capacity-building delle autorità locali e della gestione locale dell’ambiente[2]”. Inoltre si fa pressione per l’attivazione di specifiche misure per i rappresentanti delle associazioni degli enti locali al fine di avviare un’efficace collaborazione, scambio di informazioni e assistenza tecnica, tra i cittadini e le istituzioni locali, al fine di incentivare forumambientali per l’organizzazione e la gestione dei problemi locali con mansioni, compiti, obiettivi e piani d’azione precisi. A scala europea si inizierà a trattare il tema dell’ambiente urbano solo con il Programma RECITE[3] del 1989, che prevedeva la cooperazione istituzionale e amministrativa nelle politiche comunitarie per lo sviluppo regionale in vari settori, tra cui: sviluppo economico regionale e locale, pianificazione regionale e urbana, trasporti, ambiente, energia e risorse locali, e con il V Piano di azione ambientale del 1993.
La sostenibilità a scala urbana
Come si intende la città oggi? G. Dematteis e C. Lanza, nel loro libro Le città del mondo. Una geografia urbana, riprendono i criteri elaborati da Louis Wirth: dimensione, densità ed eterogeneità[4]. Per ciò che attiene alla dimensione e alla densità, possiamo rilevare che le città sono cresciute sempre di più nel corso degli anni, soprattutto nei paesi ricchi, grazie anche alla rivoluzione dei trasporti e delle telecomunicazioni. In relazione all’eterogeneità culturale e sociale si riscontra che nelle metropoli dei paesi più sviluppati c’è una varietà etnica e culturale superiore rispetto ai paesi meno sviluppati che, viceversa, presentano grandi disuguaglianze sociali.
Le città dunque hanno subito continue modificazioni spaziali, partendo dalle città nuclearidel XIX secolo fino ad arrivare ad aree metropolitane estese e, in alcuni casi, alle cosiddette città-rete, ossia una rete di città e aree metropolitane con funzioni complementari e flussi costanti di persone, merci, servizi e informazioni. Altrettanto importante, frutto anche degli effetti di competizione tra i vari territori rafforzati dalla globalizzazione, è l’affermazione dei sistemi territoriali locali (SLoT). Sui territori, come ricordano G. Dematteis e C. Lanza, si sviluppa una competizione tra attori privati, pubblici e misti (ad esempio agenzie per la promozione dell’economia circolare) che, vivendo nel medesimo territorio, hanno una identità territoriale comune e, se coordinati da una buona leadership, sono capaci di sviluppare un progetto condiviso, utilizzando risorse proprie del territorio, creando una rete locale di soggetti[5]. L’insieme delle risorse territoriali, dei progetti e dei valori condivisi è definito milieu territoriale. Esso è delimitato geograficamente costituendo una microregione che coopera con le altre microregioni strutturando un sistema territoriale locale che, nel concreto, è una regione-programma che trova la sua struttura solo nella costruzione volontaria da parte di certi soggetti intenzionati ad avviare relazioni orizzontali (tra loro e con l’esterno) e relazioni verticali (con il milieu territoriale in cui operano)[6].
Con la globalizzazione tutto entra in connessione: geograficamente si verifica un cambiamento di scala[7] in relazione a molti fenomeni, tra cui i fatti locali che coinvolgono sempre più territori e comunità andando, formalmente, a ridurre la distanza, con la produzione di conseguenze dirette e indirette su tutti i paesi. Allo stesso modo, interi continenti comunicano e fanno rete tra loro: città e intere regioni geografiche si connettono tra loro per studiare una governance condivisa. M. Bagliani e F. Ferlaino ritengono che la rete globale debba svolgere due funzioni: “descrivere i collegamenti orizzontali tra gli ecosistemi locali” e “rappresentare non solo la rete dei collegamenti, ma anche il risultato che scaturisce da tale messa in rete degli ecosistemi[8]”. A scala locale, invece, si fa riferimento alla rete ecologica, approccio che permette di analizzare la rete locale tanto per le componenti socio-economichequanto ambientali[9]: il dibattito, infatti, si concentrerà sulla visione dello sviluppo dal basso capace di coniugare tre concetti: basic needs, self-reliance (autosufficienza)ed ecosviluppo.
Lo studio sulla sostenibilità urbana, ricorda M. Tononi, nasce al finire degli anni Sessanta del Novecento in relazione a due problemi: le crisi ecologiche date dall’attività sempre più intensiva delle industrie e dalla scarsa educazione ambientale sia dal lato della domanda che dell’offerta, e la crisi della città industriale con il periodo post-fordista in cui si cerca di ristrutturare le città dato l’inevitabile fenomeno della globalizzazione che trasforma i modi di produzione da rigidi a flessibili e, soprattutto, caratterizzati dall’imprenditorialismo urbano, per arrivare poi dalla città post-moderna fino alla crisi economica ancora in atto. Il dibattito internazionale ha inizio con il Programma Città Sostenibili delle Nazioni Unite (1990-2000), che declina a scala urbana le tematiche dei limiti dello sviluppo, della qualità della vita e della sostenibilità[10]. Bisogna identificare gli strumenti per analizzare e porre in essere soluzioni sul territorio. La Fondazione Lombardia per l’Ambiente con il continuo supporto dell’ICLEI (International Council for Local Environmental Initiatives) ha redatto una “Guida europea all’Agenda 21 Locale” per “rafforzare il ruolo delle autorità locali”. Questa guida propone due tipologie di analisi dei problemi per semplificare la ricerca degli strumenti:
- Analisi soggettiva: si concentra su come la comunità percepisce i problemi ambientali. È un approccio che non permette un’analisi a 360 gradi ma aiuta a dare un’immagine della realtà. Esso sottolinea, infatti, come sia la società a dare gli input necessari attraverso un flusso di informazioni costanti tra i diversi attori, in particolare attraverso forum e focus group[11].
- Analisi oggettiva: sebbene secondo la guida sia impossibile ottenere un’analisi del tutto oggettiva, è possibile raggiungere un alto livello di oggettività adottando criteri di indagine accettati a livello internazionale, utilizzando liste di controllo per appurare l’esistenza dei problemi ambientali o effettuare singoli casi studio sui fattori inquinanti[12].
Studiare la sostenibilità urbana prevede un approccio multidimensionale. Per ciò che attiene la dimensione ambientale, M. Tononi ha preferito introdurre il concetto di ecosistema urbano, giacché le due crisi, ambientale ed urbana, hanno modificato l’approccio stesso della disciplina, che non ha guardato più alla città come “sistema lineare” ma come un complesso ecosistema in cui interagiscono vari elementi naturali e umani che generano diversi stati[13]. La dimensione economica, invece, tiene conto del metabolismo urbanoche si concentra, contrariamente all’ecosistema urbano, sulla gestione dei flussi e le interconnessioni interne ed esterne del sistema urbano[14]. Tononi ha citato anche P. Newman, scienziato ambientale, per sottolineare come, considerando gli elementi fisico-ambientali del metabolismo, si possano analizzare i meccanismi di funzionamento della città andando a concentrarsi su oggetti di studio quali risorse energetiche e ciclo dei rifiuti, mettendo il tutto a paragone con i livelli ottimali di vivibilità urbana. G. Dematteis e C. Lanza hanno parlato della città come “un sistema sempre più energivoro”, in cui “l’afflusso di energia, beni materiali, persone e informazioni da luoghi sempre più distanti s’accompagna a una crescente specializzazione funzionale e quindi a un aumento delle connessioni interne che richiede un aumento dei flussi energetici[15]”. Ciò crea degli ecosistemi urbani in costante squilibrio. L’approccio della geografia della transizione analizza appunto la transizione verso la sostenibilità, mirando ad individuare quali sono le condizioni territoriali che supportano e semplificano lo sviluppo della sostenibilità[16]. Lo scopo è quello di superare la classica visione economica della sostenibilità, che la considera come mero intervento tecnologico-imprenditoriale, lasciando totalmente isolate le cause ambientali e sociali. Per far combaciare ognuna di queste dimensioni, M. Tononi ha ricordato che è necessaria un’attenta analisi degli spazi della sostenibilità[17] in grado di prendere in considerazione i diversi paesaggi dati dall’interazione di tutti questi elementi per far sì che si crei una governance capace di progettare paesaggi urbani che non solo integrino la variabile socio-culturale, ma rivalutino anche gli aspetti naturali. La geografia svolge sicuramente un ruolo essenziale in questi dibattiti, perché è capace di integrare entrambi gli aspetti nel rispetto dei territori.
European Green Capital Network
Nel 2014 è stato lanciato a Copenhagen, municipalità vincitrice dello European Green Capital Award, il progetto European Green Capital Network. Lo scopo era quello di mettere al centro delle politiche locali la sostenibilità urbana attraverso lo scambio di idee, competizioni, soluzioni e buone pratiche ai problemi ambientali “in rete” e a supportare e incentivare altri paesi e città europee a fare meglio in tema di sostenibilità, mobilità sostenibile e tutela ambientale. La metafora della rete europea delle città sostenibili è nata dal bisogno di azione immediata nei territori, sostenuta da tutti gli attori pubblici e privati, e di creare una rete condivisa tra le città europee per la creazione di: una pianificazione urbana integrata e una mobilità sostenibile, più spazi verdi e comunità inclusive tenendo fede alla Cittadinanza Europea fortificata nel Trattato di Lisbona. La rete europea si struttura tecnicamente in una dimensione ambientale, una “sostenibilità sociale” e una dimensione economico-creativa.
L’Unione Europea e la sua visione di sostenibilità
Con l’emergenza sanitaria mondiale causata dalla diffusione del virus SARS-CoV-2 molti punti dei SDGs (dal primo, legato all’eliminazione della povertà, all’undicesimo, legato alla necessità di città e comunità sostenibili e ancora al tredicesimo, che sottolinea la necessità di un’azione climatica) sono finiti, insieme alle buone intenzioni degli amministratori, nel dimenticatoio, viste le necessità della politica di dare risposte in primis sulla gestione del virus. Dopo la prima ondata si è riscontrato, sia su scala locale che globale, una lenta ripresa nel dibattito e nelle azioni dei SDGs in particolare sugli obiettivi: 3 “buona salute e benessere delle persone”, 6 “acqua pulita e servizi igienico-sanitari”, 8 “lavoro dignitoso e crescita economia”, 11 “città e comunità sostenibili”, 13 “i cambiamenti sul clima” e 15 “vita sulla terra”.
E l’Europa? Con la nomina di Ursula von der Leyen a guida della Commissione Europea si segna una svolta in tema di sviluppo sostenibile e green economy. Sin dall’inizio del nuovo mandato, infatti, la Commissione ha voluto rimarcare l’intenzione di voler attuare un Green Deal Europeo, ossia un riorientamento del Semestre europeo verso i Sustainable Development Goals e, in fine, il rilancio dei diritti sociali. Tra i macro-obiettivi più importanti: operare un taglio di circa il 50% delle emissioni di gas serra per il 2030 e totale entro il 2050; incentivare e garantire l’utilizzo di energia pulita, economica e sicura; incentivare l’adozione di un’economia circolare con forte investimento anche in tecnologie al fine di mobilitare un’economia pulita; incentivare la transizione verso forme di mobilità più sostenibili. Ma, in che modo la Commissione intende realizzare questo ambizioso progetto? Sicuramente attraverso vari finanziamenti e istituzioni di fondi pluriennali.
La cosa però che salta più all’occhio è la volontà della Commissione di trasformare la Banca Europea degli Investimenti nella Banca dell’UE per il Clima, prevedendo investimenti immediati dei flussi economici entro il 2025. Una grande spinta dovrà essere data, certamente, dagli Stati nazionali i quali dovranno rendere il loro bilanci più green, orientando investimenti pubblici secondo le priorità ambientali e avviando riforme fiscali in modo da stimolare crescita economica, ricerca e sviluppo.
Allo stesso modo, bisognerà investire in istruzione, università, ricerca, sviluppo e innovazione e in questo gli stati sono favoriti dall’Europa che, attraverso una serie di programmi e fondi, sta già cercando di mobilitare risorse ed incentivare investimenti nel settore pubblico e privato. Per consentire sin da subito agli Stati di affrontare l’emergenza, la Commissione ha congelato il Patto di stabilità e crescita e ha proposto al Consiglio Europeo la creazione di un piano per la ricrescita denominato Next Generation EU di 750 miliardi di euro, ed un Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027 pari a 1074,3 miliardi di euro che vedrà integrato al suo interno anche l’azione per la lotta al cambiamento climatico, dove è previsto che circa il 30% della spesa totale dovrà essere destinato al conseguimento di un obiettivo climatico. Inoltre è stato previsto il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) un credito destinato a sostenere i costi diretti e indiretti di assistenza sanitari. Dunque si può dire che l’Europa è in azione e sta cercando di attuare una sostenibilità forte spingendo soprattutto sulle tempistiche considerato che, ormai, gli ecosistemi sono ad un punto di non ritorno e bisogna tutelare immediatamente l’ambiente, la salute e il futuro del pianeta. Essa cerca di farlo spingendo sul principio di sussidiarietà, creando un vero e proprio effetto cascata nell’utilizzo dei fondi europei e coinvolgendo non solo gli Stati nazionali ma anche le autorità locali.
Conclusioni
La Rivoluzione industriale è stata concepita come un riscatto dell’uomo nel mondo: dal modo di concepire il commercio, passando per l’educazione al consumo per arrivare alla concezione delle città che diventano sempre più policentriche e interconnesse tra loro, andando a strutturare hub&spoke strategici che hanno cambiato e rivoluzionato gli stessi stili di vita urbani, l’architettura e il benessere di intere città e regioni geografiche.
Ciò ha creato un dinamismo accademico negli studi sia per quanto riguarda il tema “ambiente-sviluppo” (rispetto al quale si è passati dall’ antropocentrismo all’approccio della gestione delle risorse che si presenta come “attuale” e maggiormente condiviso), sia per il tema “sviluppo sostenibile”, che trova la sua origine nel rapporto voluto dal Presidente della Commissione Mondiale sull’ambiente e lo sviluppo Gro Harlem Brundtland. Il rapporto nasce da un dinamico dibattito accademico e politico di teorie e approcci orientati allo sviluppo economico e alla conservazione dell’ambiente, come ricorda Adalberto Vallega. Le istituzioni internazionali e locali hanno discusso a lungo sulla fattibilità degli approcci della sostenibilità forte e debole che comporta una minore o maggiore attenzione allo “stock di qualità della vita” delle future generazioni. Questo approccio ha attirato diverse critiche in particolare sulla sostenibilità forte che risulterebbe inapplicabile nel presente modello economico-industriale, come sottolineato anche da G. Dematteis e C. Lanza quando parlano di sistema energivoro. L’Agenda 21 locale ha dato una grande spinta propulsiva allo sviluppo sostenibile partendo dagli enti locali e da scale geografiche più idonei a recepire tutte le richieste dei territori dai vari attori, pubblici e privati, e ad elaborare policy mirate per i territori e la collettività presente e futura. Punto centrale dell’Agenda 21 è il flusso di informazioni costante che deve esservi nei territori e tra essi al fine di elaborare politiche di sviluppo sostenibile sempre più efficaci ed efficienti.
Ciò ci deve sollecitare a cercare soluzioni immediate per un futuro sostenibile realizzato attraverso una politica più dinamica, che parta dal livello locale e venga applicata a tutte le scale dell’approccio della gestione delle risorse, al fine di incrementare la ricerca e lo sviluppo di tecnologie capaci di ottimizzare l’efficienza energetica ed evitare sprechi di energie in modo da tutelare le generazioni presenti e future. Per fare tutto questo bisogna sicuramente guardare alle Città come attore primario, andando a immaginare città sostenibili, resilienti, dinamiche ed economicamente forti basate su politiche di sviluppo sostenibile e green economy, il che può portare a tassi di crescita e innovazioni maggiori di una brown economy. Ovviamente la cooperazione multi-scalare tra tutti gli attori, pubblici e privati, è di fondamentale importanza per creare città, regioni e continenti sempre più inclusivi.
[1] United Nations Sustainable Development, Agenda 21, Section I, Social and Economic Dimensions, United Nations Conference on Environment & Development, Rio de Janeiro, Brazil, 3-14 June 1992. Sito internet: https://sustainabledevelopment.un.org/content/documents/Agenda21.pdf, consultato il 20 novembre 2020
[2] United Nations Sustainable Development, Agenda 21, Section III, Strengthening the Role of Major Groups, United Nations Conference on Environment & Development, Rio de Janeiro, Brazil, 3-14 June 1992. Sito internet: https://sustainabledevelopment.un.org/content/documents/Agenda21.pdf, consultato il 20 novembre 2020
[3] Regioni e Città d’Europa (1989-1994), seguito dal Programma REG-RECITE 2
[4] Dematteis G., Lanza C., (2015), Le città del mondo. Una geografia urbana, Torino, UTET Università, p. 57
[5] Dematteis G., Lanza C. et alii, (2014), Geografia dell’economia mondiale, Torino, UTET Università, p. 21
[6] Ibidem, p. 22
[7] Dematteis G., Lanza C. et alii, Geografia dell’economia mondiale, Torino, UTET Università, p. 28
[8] Bagliani M., Ferlaino F., (2003), Sistemi locali territoriali e sostenibilità ambientale, Piemonte, Istituto Ricerche Economico Sociali del Piemonte, 177, p. 10
[9] Per ciò che attiene le componenti socio-economiche dello sviluppo si trovano, ad esempio, le reti sovralocali e locali, mentre per ciò che attiene la componente ambientale della sostenibilità possiamo trovare le reti ecologiche e la rete globale di ecosistemi
[10] Tononi M., (2015), Immaginare, misurare e realizzare la sostenibilità urbana. Come le città europee diventano più verdi, “Rivista Geografica Italiana”, 122, p. 284
[11] Fondazione Lombardia per l’Ambiente (1999), Guida europea all’Agenda 21 Locale – La sostenibilità ambientale: linee guida per l’azione locale, Milano, Isabel Litografia, p. 50. Sito internet: http://www.sinanet.isprambiente.it/gelso/files/linee-guida-iclei.pdf, consultato il 20 novembre 2020
[12] Ibidem, p. 50
[13] Tononi M., (2015), Immaginare, misurare e realizzare la sostenibilità urbana. Come le città europee diventano più verdi, “Rivista Geografica Italiana”, 122, pp. 285-286
[14] Ibidem, p. 287
[15] Dematteis G., Lanza C., (2015), Le città del mondo. Una geografia urbana, Torino, UTET Università, p. 115
[16] Tononi M., (2015), Immaginare, misurare e realizzare la sostenibilità urbana. Come le città europee diventano più verdi, “Rivista Geografica Italiana”, 122, p. 288
[17] Ibidem, p. 288
FONTE: http://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/citta-europee-verdi/
https://www.pandorarivista.it/articoli/il-cuore-verde-delle-citta-europee/
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