La prima a dirlo è stata Sylvie Kuffman a febbraio sul New York Times: “In a world where the vaccines have become a new measure of geopolitical power, no doubt President Vladimir Putin of Russia and President Xi Jinping of China will smile at the sight of Europe’s difficulties” (In un mondo in cui i vaccini sono diventati una nuova misura del potere geopolitico, senza dubbio il presidente russo Vladimir Putin e il presidente cinese Xi Jinping sorrideranno alla vista delle difficoltà dell’Europa) (1). Dal 2 dicembre 2020, data in cui l’Agenzia di regolamentazione dei medicinali e dei prodotti sanitari (MHRA) del Regno Unito ha approvato l’uso temporaneo del vaccino Pfizer-BioNTech, facendo della Gran Bretagna il primo Paese del mondo occidentale ad approvare l’uso di un vaccino contro il Covid (2), la parola vaccino è diventata sinonimo di potere globale: in mancanza di una cura efficace, prevenire il Covid-19 e le sue complicazioni è il solo modo per tornare alla normalità, qualunque cosa significhi. La disponibilità di vaccini significa soprattutto ritornare a muoversi liberamente: non solo andare a scuola e in ufficio, ma uscire a cena, godersi un film al cinema e un concerto in teatro, viaggiare. Detto in termini economici: produrre e consumare a pieno ritmo. Dopo lo shock economico del 2020, le previsioni di crescita delle nazioni dipendono innanzitutto dalla quota di popolazione resistente al coronavirus: il 17 marzo la Federal Reserve ha rivisto al rialzo le stime di crescita per il 2021 dell’economia americana, che ha inoculato ai suoi cittadini 118 milioni di dosi, portandole al 6,5% dal 4,2 % previsto appena a dicembre, prima della campagna di vaccinazione intensiva promossa da Biden. A marzo scorso il presidente della Fed, Jerome Powell ha dichiarato: “La ripresa economica americana sta guidando quella mondiale. […] Mi piacerebbe che l’Europa facesse meglio sulla crescita e sulle vaccinazioni, ma per ora non sono preoccupato per noi”.
La possibilità di fornire vaccini ai Paesi che ne sono privi è diventata così parte dei meccanismi di soft power, un termine utilizzato tipicamente in ambito diplomatico e nella teoria delle relazioni internazionali per descrivere l’abilità di un attore politico di persuadere, convincere, attrarre e cooptare altri soggetti senza ricorrere alle maniere forti (il potere militare), con l’obiettivo di modificare a proprio vantaggio lo scenario geopolitico del pianeta. In periodi di pandemia, cure e vaccini sono l’equivalente della fornitura di armi in tempo di guerra, e si sa, quando c’è da combattere per la propria vita, si è disposti a promettere qualunque cosa a chiunque, anche ai vecchi nemici, per salvarsi la pelle. Di conseguenza, le nazioni che hanno sviluppato vaccini anti Covid-19 efficaci si sono trovate nella desiderabilissima condizione di poter migliorare la propria posizione politica in contesti geografici fino a oggi inaccessibili, e le loro strategie di distribuzione dei farmaci riflettono questa nuova consapevolezza.
Il mondo e i vaccini
Al 25 marzo 2021 sono state somministrate oltre 328 milioni di singole dosi nel mondo, con Israele, Regno Unito, Cile e Bahrein in testa per singole dosi somministrate in rapporto alla popolazione (3). Sempre lo scorso marzo, 12 vaccini erano stati autorizzati da almeno un’autorità nazionale di regolamentazione per l’uso pubblico: due vaccini a RNA (il vaccino Pfizer-BioNTech – il primo approvato per l’uso regolare – e il vaccino Moderna), quattro vaccini inattivati convenzionali (BBIBP-CorV di Sinopharm, BBV152 di Bharat Biotech, CoronaVac di Sinovac e CoviVac), quattro vaccini a vettore virale (Sputnik V dell’Istituto di ricerca Gamaleya, il vaccino Oxford-AstraZeneca, Ad5-nCoV della CanSino e il vaccino Johnson & Johnson) e due vaccini a subunità proteiche (EpiVacCorona dell’Istituto Vektor e ZF2001) (4). Gli USA ne hanno sviluppato tre (Pfizer, Moderna e Johnson & Johnson); l’Inghilterra ha sviluppato AstraZeneca (società anglo-svedese); il brevetto dello Sputnik V, dell’EpiVac Corona e del CoviVac sono russi; quelli di Sinopharm, Sinovac, CanSino Biologics e ZF2001 sono cinesi; e infine il brevetto del BBV152 è indiano.
Come è facile intuire, fra questi sono tre gli Stati ad avere interessi di egemonia planetaria e i cui obiettivi collidono: gli USA, la Russia e la Cina. Ma le loro strategie sull’uso della nuova arma di salvezza di massa sono al momento piuttosto differenti.
Nella puntata di Mappa Mundi (Limes) del 2 marzo 2021 (5) Dario Fabbri e Giorgio Cuscito hanno analizzato la battaglia geopolitica delle tre big intorno alla produzione e distribuzione dei vaccini, individuando due modelli molto differenti. Il primo, quello adottato dagli USA, considera l’attuale disponibilità di vaccini un vantaggio di breve periodo, in parte per l’emergere di varianti resistenti del virus, ma soprattutto nella convinzione che molte nazioni del pianeta arriveranno velocemente a produrre nuove alternative fra cui scegliere. Biden ha preferito dunque puntare sull’immunità di gregge all’interno degli USA, anche a rischio di ritrovarsi nel famoso backyard (il cortile di casa) russi e cinesi, ritenendo (a torto o a ragione) che gli sforzi dei concorrenti globali per pescare consenso nei territori di influenza americana (segnatamente America Latina ed Europa) saranno presto disinnescati.
All’estremo opposto, Cina e Russia hanno scelto di utilizzare i loro vaccini essenzialmente come strumenti di soft power per rosicchiare consenso nei territori che storicamente si trovano sotto l’ala dell’aquila americana. Anche il processo di sviluppo dei vaccini all’interno è stato fin dalle prime fasi orientato in questo senso: Russia e Cina, coerentemente con i loro obiettivi di esportazione, hanno ottenuto dalle rispettive attività di vigilanza l’approvazione per somministrare il vaccino prima ancora di aver validato i risultati dei trial clinici. Subito dopo hanno iniziato a offrire i nuovi farmaci all’estero a prezzi molto convenienti, sacrificando di fatto l’obiettivo dell’immunità di gregge all’interno dei loro confini, sebbene a partire da situazioni molto differenti: la Cina, che ha imparato a controllare efficacemente il virus con misure a basso impatto, a oggi registra circa 50 casi al giorno e può quindi permettersi a cuor leggero di esportare i vaccini; mentre la Russia, che è in condizioni sanitarie ben peggiori, ha deciso deliberatamente di disinteressarsi della situazione interna pur di guadagnare prestigio e influenza all’estero. Non a caso il nome del più importante vaccino russo è Sputnik, come quello del primo satellite lanciato nello spazio, forse il momento in cui la Russia si è trovata più vicina a vincere la corsa per la conquista del cosmo e con essa la guerra fredda con gli USA. E la strategia funziona, sia per Xi Jinping che per Putin. J. Stephen Morrison, vicepresidente senior del Center for Strategic and International Studies (CSIS), un think tank basato a Washington, ha dichiarato a marzo scorso: “Non ci sono dubbi sul fatto che i russi e i cinesi stiano usando in maniera aggressiva i propri vaccini come strumenti di diplomazia […] Chi sta guadagnando influenza e chi la sta perdendo è una considerazione difficile da fare al momento, perché siamo ancora a una fase iniziale della risposta. Sicuramente è in atto una competizione geopolitica. Per certi aspetti i russi e i cinesi sono avanti nella corsa” (6).
La Cina e la Health Silk Road
Almeno 25 Paesi in tutto il mondo stanno già utilizzando i vaccini cinesi. Quattordici (Bahrain, Cambogia, Egitto, Ungheria, Giordania, Macao, Marocco, Pakistan, Perù, Senegal, Serbia, Seychelles, Emirati Arabi Uniti e Zimbabwe) hanno scelto il SinoPharm cinese; mentre undici (Brasile, Cile, Guatemala, Hong Kong, Indonesia, Malesia, Cipro del Nord, Filippine, Thailandia, Turchia e Uruguay) hanno optato per il Sinovac, sempre cinese (7). Ma sarebbero addirittura 60 i Paesi interessati, distribuiti in Medio Oriente, Europa, America latina e persino in Oceania. Secondo il Financial Times, l’intero apparato statale cinese sarebbe coinvolto nella diplomazia dei vaccini. Pechino sarebbe entrata in azione attraverso i canali di cooperazione aperti dalla Belt and Road Initiative: “La sanità era uno dei tanti sotto-progetti della BRI. Con la pandemia, è diventata l’obiettivo principale”, afferma Moritz Rudolf dell’Istituto tedesco per gli affari internazionali e la sicurezza (8).
Il 21 febbraio il Wall Street Journal riporta (9) che l’aeroporto di Addis Abeba, in Etiopia, è diventato il centro di una vasta supply chain che la Cina sta costruendo per accelerare la consegna dei suoi vaccini contro il coronavirus e ampliare la sua influenza verso il mondo in via di sviluppo. Solo nell’ultima settimana di febbraio, secondo i funzionari dell’Ethiopian Airlines, più di un milione di dosi di vaccini cinesi contro il Covid-19 sarebbero passate dal terminal etiope. L’obiettivo sarebbe la riconoscenza dei politici e delle persone che hanno bisogno di vaccini Covid-19 a basso costo, e il prestigio di essere visti come una nazione in grado di agire da custode della salute pubblica globale. All’inizio di febbraio sono arrivate in Pakistan mezzo milione di dosi di SinoPharm, destinate a essere smistate in altri 13 Paesi tra cui la Cambogia, il Nepal, la Sierra Leone e lo Zimbabwe. L’ambasciatore cinese in Pakistan ha descritto l’operazione come una “manifestazione della nostra fratellanza”, un sentimento ricambiato dal governo pakistano (10). Dopo mesi di battaglia contro il risentimento e la sfiducia per aver dato inizio alla pandemia, i diplomatici, i dirigenti farmaceutici e altri mediatori cinesi hanno raccolto decine di richieste di vaccini da parte di funzionari disperati dell’America Latina, che sta pagando al coronavirus un prezzo devastante in termine di vite umane. Improvvisamente, Pechino si è ritrovata con un’enorme nuova leva nella regione, tradizionalmente sotto l’egemonia statunitense ma dove la Cina ha una vasta rete di investimenti e l’ambizione di espandere il commercio, le partnership militari e i legami culturali (11). Il Brasile è forse il caso più clamoroso. Solo l’anno scorso, il presidente Jair Bolsonaro, un fervente alleato di Trump, disprezzava il vaccino cinese che era in fase di sperimentazione clinica in Brasile, arrivando a impedire al ministero della Salute di ordinarne 45 milioni di dosi: “Il popolo brasiliano non farà da cavia per nessuno”, scriveva su Twitter. Ma con la partenza di Trump e gli ospedali brasiliani allo stremo, il governo di Bolsonaro ha cercato di ricucire i rapporti con la Cina. Il presidente, suo figlio e il ministro degli Esteri hanno bruscamente smesso di criticare Pechino, mentre i funzionari di gabinetto che hanno contatti con i cinesi, come Fabio Faria, ministro delle Telecomunicazioni, hanno lavorato furiosamente per far approvare nuove spedizioni di vaccini. Faria si è recato a Pechino nel mese di febbraio, ha incontrato i dirigenti di Huawei nella loro sede e ha fatto una richiesta molto insolita per una società di telecomunicazioni: “Ho approfittato del viaggio per chiedere i vaccini, che è quello che tutti vogliono”, ha dichiarato il ministro. Due settimane dopo, il governo sudamericano ha annunciato le regole per la sua asta 5G, una delle più grandi al mondo. Huawei, che non aveva le carte in regola per partecipare appena qualche mese prima, fa ora parte delle concorrenti. Alla fine del mese milioni di dosi di vaccino cinese sono arrivati in Brasile. “La distribuzione globale dei vaccini deve essere equa e, in particolare, accessibile e conveniente per i Paesi in via di sviluppo”, ha detto il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi. “Speriamo che tutti i Paesi che ne hanno la capacità si uniscano e diano il loro contributo” (12). Un contributo che potrebbe rivelarsi molto conveniente.
La Russia e il successo dello Sputnik
Sul versante Russia, per quanto riguarda Putin, nessuno dubita che veda nello Sputnik V una nuova possibilità per proiettare la propria influenza altrove. Gli esperti hanno ripetutamente espresso preoccupazione per la poca trasparenza intorno ai dati dei trial clinici del vaccino e per la sua autorizzazione troppo rapida. Ma la Russia sostiene di aver ricevuto ordini per 1,2 miliardi di dosi, soprattutto dopo che una delle più prestigiose riviste di medicina al mondo, The Lancet, ha affermato che il vaccino è sicuro ed efficace: molto efficace, il 91,6% per prevenire del tutto il Covid19 e il 100% per impedirne le forme da moderate e gravi. A fine marzo, secondo il Russian Direct Investment Fund (RDIF), che commercializza il farmaco, lo Sputnik V è stato approvato in 56 Paesi con una popolazione complessiva di oltre 1,5 miliardi di persone (13). Fra questi l’Iran, che ha iniziato la vaccinazione di massa con un gesto altamente simbolico: l’inoculazione del vaccino russo al figlio del ministro della Salute, Saeed Namaki (14), e il Vietnam, uno dei Paesi più popolosi del sud-est asiatico. Risultati molto interessanti sono stati ottenuti in America latina, in cui nove Stati hanno approvato l’uso dello Sputnik: Argentina, Bolivia, Guatemala, Guyana, Honduras, Messico, Nicaragua, Paraguay e Venezuela.
L’Argentina è stata la prima, alla fine di dicembre, e ha contrattato l’acquisto di 25 milioni di dosi. Venezuela e Messico hanno ricevuto spedizioni rispettivamente di 100.000 e 200.000 dosi all’inizio di febbraio. Il Nicaragua ha iniziato a distribuire il vaccino il 2 marzo dopo aver ricevuto dalla Russia una quantità non specificata di dosi come donazione. La Bolivia ha ricevuto 20.000 dosi di Sputnik a gennaio e dovrebbe riceverne ancora abbastanza per vaccinare 2,6 milioni di persone. Il Paraguay ha annunciato l’acquisto di un milione di dosi, ma finora ne ha ricevute solo 4.000 (15).
Ma non è tutto. A febbraio la Russia aveva anche offerto all’Unione Africana (UA) 300 milioni di dosi di vaccino: i Paesi disposti ad acquistare le dosi avrebbero avuto diritto anche a un pacchetto di finanziamenti aggiuntivi. L’UA, composta da 55 membri, spera di vedere immunizzato il 60% dei suoi 1,3 miliardi di persone entro i prossimi tre anni. “Siamo grati di ricevere i vaccini Sputnik V dalla Federazione Russa e tremendamente orgogliosi di poterli offrire […] ai nostri Stati membri dell’UA”, ha dichiarato John Nkengasong, direttore dell’organismo di controllo delle malattie dell’UA, aggiungendo: “Le partnership bilaterali come queste sono fondamentali nei nostri sforzi per porre fine alla pandemia” (16). Il contratto con l’UA, se rispettato per intero, sarebbe uno dei più grandi accordi di fornitura russi mai sottoscritti con l’estero. Nel continente africano, l’Algeria sta già distribuendo il vaccino, mentre la Guinea è in trattativa per ottenerne circa 400.000 dosi; anche il ministero della Salute del Sudafrica ha fatto sapere che la Russia ha presentato la documentazione al regolatore locale per la registrazione. Tuttavia John Nkengasong, capo dell’Africa Centres for Disease Control and Prevention, ha messo in guardia contro la “diplomazia dei vaccini”: “L’Africa si rifiuterà di essere un terreno di gioco in cui si usa il Covid come strumento per gestire le relazioni”, ha dichiarato in un webinar ospitato dal think tank Atlantic Council alla fine di febbraio (17).
E, con tutti i 27 membri dell’Unione Europea che faticano ad accelerare la campagna di vaccinazione contro il Covid-19, il vaccino russo fa breccia nei cuori di molti, soprattutto i Paesi dell’Europa orientale, creando le basi per un’ulteriore potenziale spaccatura nella regione. L’Ungheria, un Paese con relazioni difficili con Bruxelles, è diventata in gennaio la prima nazione europea ad autorizzare lo Sputnik, bypassando l’EMA, l’Agenzia europea per i medicinali. Il Paese si aspetta nei prossimi mesi una fornitura di due milioni di dosi del vaccino russo, e nel frattempo ha approvato anche il cinese SinoPharm. Il 3 marzo la Slovacchia è diventata il secondo Stato europeo ad annunciare di aver acquistato lo Sputnik, assicurandosi 2 milioni di dosi, mentre il Primo ministro ceco Andrej Babis ha dichiarato che anche il suo Paese potrebbe utilizzarlo senza l’approvazione dell’EMA; mentre Vladimir Putin e il cancelliere austriaco Sebastian Kurz hanno discusso “la fornitura del vaccino russo all’Austria e la possibilità di una sua produzione congiunta”, ha dichiarato il Cremlino, sottolineando che il colloquio era stato avviato dall’Austria (18). La Serbia, che è stato il primo Paese in Europa a usare il Sinopharm, ha acquistato centinaia di migliaia di dosi di Sputnik V dalla Russia (19), e per di più ha inflitto alla Ue lo smacco di surclassarla nelle pubbliche relazioni, consegnando 10.000 dosi di vaccino di AstraZeneca prodotto in India alla Bosnia Erzegovina. Come la maggior parte degli altri Paesi dell’Europa sudorientale e dei Balcani occidentali, la Bosnia aveva fatto affidamento sul Covax (20), eppure non aveva ricevuto nessun vaccino e non era riuscita ad acquistare una sola dose per conto proprio. L’ambasciata russa in Croazia ha confermato sul suo account Facebook ufficiale che l’ambasciatore Andrej Nesterenko e il ministro della Salute croato Vili Beros hanno avuto una conversazione telefonica, durante la quale è stato affermato che la Croazia è interessata ad acquistare il vaccino Sputnik (21).
La lentezza europea ha fatto sì che tutti i Paesi della regione siano rimasti molto indietro rispetto ai propri piani di vaccinazione. Di fronte alla crescente pressione pubblica, la maggior parte dei governi dell’Europa sudorientale – con l’eccezione di Grecia, Romania e Slovenia – sembrano ora determinati a seguire gli esempi ungherese e serbo, e stanno meditando o già negoziando con fornitori al di fuori dei sistemi Ue e Covax: del resto, come ha commentato la dottoressa Gergana Nikolova alla televisione nazionale bulgara il 27 febbraio: “Il miglior vaccino è quello che viene iniettato”.
Collaborazione o concorrenza?
La Cina e la Russia sono al momento partner strategici e stanno cooperando nella produzione di vaccini. La Russia sta effettuando prove del vaccino CanSino e la Cina ha iniziato a produrre lo Sputnik V russo alla fine di febbraio, dopo quello che l’ambasciatore russo in Cina, Andrei Denisov, ha definito “negoziati molto difficili” su questioni delicate, compreso il problema della proprietà intellettuale che ha a lungo tormentato i rapporti militari sino-russi.
Ma l’apparente armonia nasconde una competizione per i mercati dei vaccini nelle tradizionali aree di influenza russa in Asia centrale e Mongolia. E, se consideriamo la distribuzione dei vaccini russi e cinesi, nonostante la “diplomazia sanitaria” lungo i Paesi della Belt and Road Initiative e gli sforzi per espandere il soft power cinese in Eurasia, è lo Sputnik V che è stato accolto con più entusiasmo, con i vaccini indiani (il Covishield, nome del vaccino Astrazeneca di produzione indiana, e il Covaxin, non ancora in commercio) (22) che si piazzano al secondo posto. Il Kazakistan e la Mongolia hanno entrambi approvato il vaccino russo, così come il Turkmenistan. Il governo mongolo ha inoltre rifiutato le offerte di fornitura di Pechino, ma ha accettato la proposta indiana per il Covishield (anche il Kazakistan, che è il primo Paese a produrre localmente lo Sputnik V, è interessato ad accedere ai vaccini indiani). Solo l’Uzbekistan, che ha cercato a lungo di mantenere la sua libertà di manovra con la Russia e la Cina, ha sia approvato lo Sputnik che accettato di testare i due vaccini cinesi in cambio dell’opportunità di produrli localmente. Il governo sta inoltre negoziando con la società russa Vektor sullo sviluppo del vaccino EpiVacCorona (23). Il Tagikistan, l’Uzbekistan e il Kirghizistan hanno le caratteristiche per accedere al Covax dell’OMS, ma il programma, secondo uno studio dell’Economist Intelligence Unit, non sarà probabilmente in grado di vaccinare la maggior parte degli Stati dell’Asia centrale fino alla fine del 2023 (24). Ciò rende di fatto i vaccini russi e cinesi l’unica alternativa a basso costo.
La retromarcia USA
“Non vedo l’ora di accogliere @POTUS alla riunione del Consiglio europeo di questa settimana. Ho invitato il Presidente degli Stati Uniti a unirsi al nostro incontro per condividere le sue opinioni sulla nostra futura cooperazione. È tempo di ricostruire la nostra alleanza transatlantica”. Con questo tweet del 23 marzo Charles Michel, Presidente del Consiglio europeo, annuncia la presenza da remoto di Biden al meeting settimanale. All’ordine del giorno c’è il Covid, e la notizia della partecipazione del primo cittadino americano alimenta la speranza di un soccorso al vecchio continente nella campagna vaccini. Ma forse, dietro alla mano tesa da oltreoceano, si nasconde qualcosa di diverso da una disinteressata amicizia. Il giorno successivo, il 24 marzo, il Washington Post pubblica un’analisi dal titolo “Biden’s vaccination success story is about to run into a world of pressure”: dato che gli Stati Uniti hanno ordinato molte più dosi di farmaci di quelle di cui avranno bisogno per completare la campagna di vaccinazione, e posto che è stata una buona cosa decidere di dare la priorità ai cittadini americani, sembra arrivato il momento per gli USA di abbandonare la politica isolazionista e di ricominciare a preoccuparsi di quello che succede oltre i confini, perché la Russia e la Cina stanno guadagnando terreno (25).
Qualche giorno prima, il 19 marzo, un articolo pubblicato su Foreign Affairs invitava il Presidente americano a pensare ancora più in grande. Il pezzo, intitolato “America can and should vaccinate the world” (26), riconosce che, nell’affrontare la peggiore delle crisi globali da oltre vent’anni, gli Stati Uniti sono stati finora superati. Si legge nell’articolo che Russia e Cina hanno aggressivamente commercializzato e distribuito i loro vaccini a Paesi stranieri: la Russia per rafforzare la sua immagine e le sue prospettive di investimento e per creare un cuneo tra i Paesi dell’Ue; la Cina per ottenere una leva nelle dispute territoriali ed espandere la sua influenza nell’ambito della Belt and Road Initiative. Sia Mosca che Pechino si sono mosse inoltre per disturbare gli Stati Uniti “nel cortile di casa” fornendo vaccini all’America Latina. Ma Biden, afferma sempre Foreign Affairs, non dovrebbe cercare di battere la Russia e la Cina al loro stesso gioco, distribuendo vaccini a Paesi specifici in base alla loro importanza geostrategica e alla quantità di attenzione che stanno ricevendo dalle potenze rivali; piuttosto, dovrebbe perseguire all’estero il tipo di approccio che ha utilizzato in patria: la sua amministrazione dovrebbe concentrarsi meno sui vantaggi strategici e più sul vaccinare il maggior numero di persone al mondo nel minor tempo possibile. Immaginiamo, si chiede il Foreign Affairs, cosa potrebbe accadere se Washington trattasse il Covid come la nazione nemica in una guerra mondiale o, in altri termini, quale avrebbe dovuto essere la mobilitazione USA se la pandemia fosse davvero combattuta come la minaccia globale che è. “Washington guiderebbe uno sforzo multilaterale […] Il governo attiverebbe l’esercito e chiamerebbe gli alleati del G-7 e della NATO in una grande operazione di assistenza che acceleri il flusso delle forniture di vaccino e rafforzi i sistemi di consegna. […] Il governo degli Stati Uniti userebbe il Dipartimento di Stato, l’Agenzia americana per lo sviluppo internazionale (USAID), i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC), e altre agenzie civili e programmi di sviluppo per aiutare i Paesi (esteri) con i propri programmi nazionali di vaccinazione. E arruolerebbe aziende, organizzazioni non profit e l’intera società civile per aiutare ad aumentare la produzione di vaccini, raccogliere fondi e fornire assistenza tecnica alle controparti straniere”. Quello che gli USA dovrebbero fare è: go really big. Una campagna di questo tipo, conclude Foreign Affairs, premierebbe gli interessi economici e di sicurezza degli Stati Uniti e riaccenderebbe la leadership globale americana dopo anni di declino. Piuttosto che perpetuare la “diplomazia vaccinale transnazionale” di Cina e Russia, uno sforzo vaccinale globale guidato dagli Stati Uniti potrebbe creare un nuovo multilateralismo più pragmatico e inclusivo dell’ordine internazionale e più adatto ad affrontare le minacce globali. Il presidente Biden dimostrerebbe inequivocabilmente che gli Stati Uniti non solo non sono “indietro” ma guardano molto avanti.
Senza contare, aggiungiamo noi, quanto si potrebbe guadagnare (in vile denaro) da una ripresa accelerata dell’economia globale: uno studio dell’Eurasia Group ha stimato che vaccinare le nazioni a basso e medio reddito genererebbe almeno 153 miliardi di dollari per gli Stati Uniti e le altre nove economie più sviluppate nel 2021 e fino a 466 miliardi di dollari entro il 2025. Anche se gli Stati Uniti vaccinassero tutta la popolazione interna, infatti, la loro ripresa economica sarebbe rallentata dalla debolezza dei partner commerciali senza un pieno accesso al vaccino. Come ha già commentato Biden: “In definitiva non saremo sicuri finché il mondo non sarà sicuro”.
Inoltre, la pandemia di oggi non sarà l’ultima: gli Stati Uniti sono consapevoli che le partnership e le infrastrutture sanitarie pubbliche che costruirebbero per ‘salvare il mondo’ da questo coronavirus li difenderebbero anche dal prossimo agente patogeno mortale, e una seria campagna globale per vaccinare tutti il prima possibile segnerebbe l’inizio di un’era molto diversa della leadership americana. Considerazioni che, certamente, fanno anche Cina e Russia.
Articolo interessante ed esaustivo rovinato proprio nel finale con un riferimento sibillino "Inoltre, la pandemia di oggi non sarà l’ultima". Se sa cose che altri ignorano perchè non le pubblica? Si rende conto di quelle che va scrivendo? A meno che non si tratti di un banale e venale clickbait...
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