Il rapporto strategico, ormai decennale, instaurato tra Cina e Pakistan non era mai stato messo a dura prova come sta accadendo in queste settimane. Il motivo è semplice: a Islamabad non tornano i conti, e tutto lascia presagire a un problema di natura economico. A quanto pare il governo pakistano deve fare i conti con un debito nei confronti di Pechino in continua ascesa. Le passività dovute sui progetti finanziati dal Dragone nell’ambito del famigerato Corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC) – succursale della Belt and Road Initiative – avrebbero superato i 31 miliardi di dollari. La Cina, dal canto suo, avrebbe rifiutato di ristrutturare i 3 miliardi di dollari di passività in scadenza che, se la situazione non dovesse cambiare, Islamabad non pagherà mai.
Asia Times ha sottolineato come gran parte del debito pakistano sia da collegare a produttori di energia indipendenti (IPP) imbrigliati in contratti cosiddetti take or pay. Con questo termine ci riferiamo a una particolare clausola che implica un impegno da parte della compagnia acquirente a prelevare un quantitativo X di un prodotto Y in un lasso di tempo prestabilito. Ebbene, sarebbero stati investiti oltre 19 miliardi di dollari nei suddetti impianti, con il Pakistan obbligato a pagarne 5.9 entro il 2025 alle sole società elettriche. Oltre il danno ci sarebbe anche la beffa, visto che molte strutture non starebbero producendo energia per via del pessimo sviluppo della rete elettrica nazionale e degli altrettanto pessimi sistemi di consegna per soddisfare la domanda di base.
Un debito insostenibile?
Il Pakistan ha stipulato accordi e condizioni del genere in un momento in cui il Paese doveva affrontare gravi carenze di energia. Ma nel frattempo il conto dei servizi è lievitato verso le stelle. Basti pensare che il debito circolare pakistano relativo al settore energetico sarebbe passato dai 7.2 miliardi di dollari del 2018 ai 15.8 miliardi del 2021 (dovrebbe crescere ancora fino ai 26.3 miliardi nel 2025). Al momento, questi debiti corrisponderebbero all’11% del pil nazionale. Una soglia definita critica, visto che la somma di passività e debiti totali ammonterebbero a 294 miliardi di dollari e rappresenterebbero il 109% del pil.
Islamabad deve quasi 160 miliardi di dollari a vari creditori nazionali, mentre i debiti esteri sono pari a circa 115.7 miliardi di dollari. Scendendo nel dettaglio, il Pakistan deve 11.3 miliardi al Club di Parigi, 33 a donatori multilaterali, 7.4 al Fondo Monetario Internazionale e 12 in obbligazioni internazionali.
Nel caso in cui i debiti dovessero continuare a crescere, gli esperti prevedono che il rapporto debito su pil possa raddoppiare entro la fine del 2023, toccando il 220% del pil. Il primo ministro Imran Khan ha cercato, invano, di rinegoziare gli accordi di acquisto dell’energia con gli IPP cinesi, sperando almeno di risparmiare 5 miliardi di dollari. Stando ad alcuni media pakistani, Pechino si sarebbe rifiutata di rinegoziare i citati accordi di acquisto di energia, poiché ogni cancellazione del debito richiederebbe alle banche cinesi di modificare termini e condizioni in base ai quali i crediti sarebbero stati estesi. All’orizzonte c’è l’ipotetico rischio che il Dragone possa gradualmente perdere un alleato storico nel cuore del continente asiatico.
La posizione della Cina
Il quotidiano Hinduistan Times ha aggiunto un’ulteriore tassello all’intera vicenda. La Cina avrebbe mostrato una certa riluttanza nel cancellare un prestito dal valore di 6 miliardi di dollari per il più grande progetto relativo al CPEC. La ferrovia Mainline-I (ML-I) doveva inizialmente costare 9 miliardi di dollari. Il prezzo è in seguito stato ridotto a 6.8 miliardi. Il motivo? Le autorità cinesi diffiderebbero della capacità del Pakistan di onorare il proprio debito.
In ogni caso sarebbe disonesto accusare la Cina della situazione economica in cui si trova adesso Islamabad. A ben vedere, le preoccupazioni sulla sostenibilità del debito pakistano, la sua tiepidissima crescita economica, unita a una costante instabilità sociale, sono tutti fattori precedenti la progettazione del CPEC. Probabilmente le autorità pakistane hanno fatto il classico passo più lungo della gamba. Ma, più che all’indirizzo della Cina, avrebbe senso puntare il dito contro le mancate riforme strutturali a lungo termine del Paese. È questo che ha realmente ostacolato il progresso socioeconomico del Pakistan.
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