Il Partito Comunista Cinese (Pcc), fondato a Shanghai nel 1921, governa la Cina dal 1949, anno della nascita della Repubblica Popolare Cinese. Calcolatrice alla mano, grazie ai suoi oltre 91 milioni di iscritti detiene la palma di secondo partito al mondo per numero di iscritti, preceduto soltanto dal Bharatiya Janata Party indiano con 180 milioni di tesserati. Oltre la Muraglia tutto ruota attorno al Pcc, il grande regista del vertiginoso sviluppo economico nazionale nonché autore delle principali decisioni che, nel corso dei decenni, hanno consentito alla Cina di passare da Paese del Terzo Mondo a (quasi) prima economia mondiale.
Il partito è presieduto dal segretario Xi Jinping, già presidente della Cina e della Commissione Militare Centrale del Pcc. Il funzionamento del partito è molto più complesso di quanto spesso non venga raccontato dai media internazionali. Innanzitutto, accanto agli iscritti complessivi – secondo gli ultimi calcoli circa il 7% della popolazione cinese (1.4 miliardi) – troviamo una schiera di militanti che formano una sorta di struttura parallela a quella statale, così da supportare il partito stesso sul territorio, oltre a un apparato di sicurezza del Pcc e vari comitati di quartiere. Dopo di che bisogna chiedersi che cosa accade all’interno del Partito. Siamo per caso di fronte a un blocco granitico che segue alla lettera i dettami marxisti di Lenin? La risposta è no.
Le anime del Partito Comunista Cinese
È importante chiarire un punto chiave: il Partito Comunista Cinese non è un fossile proveniente dal passato remoto, che ripete alla lettera le teorie marxiste degli anni che furono. Il Pcc si è adattato al presente riadattando le teorie marxiste del passato al contesto attuale. Il risultato è il socialismo con caratteristiche cinesi, ovvero un modus operandi ideologico valido per risolvere i problemi presenti in Cina. In ogni caso le varie decisioni intraprese dal presidente Xi non sempre rispecchiano i pensieri di tutto il partito.
Il motivo è semplice: a differenza di quanto si possa pensare, esiste un dibattito interno al Pcc. Un dibattito che ha sempre fatto emergere – e continua tutt’ora – modi diversi di approcciarsi ai problemi del presente. Ad esempio, la prima divisione in correnti emerse negli anni ’50 sul tema della collettivizzazione agricola. Nonostante la presenza di più anime, ognuna delle quali portatrice di una differente visione del mondo e modalità di approcciarsi ai problemi politici, tutti i membri del partito “remano nella stessa direzione”.
Correnti e divisioni
La nuova linea sposata da Xi Jinping non avrebbe convinto appieno tutti gli iscritti del Pcc. Possiamo distinguere subito due faglie attorno le quali si giocano altrettanti testa a testa silenziosi e ben nascosti dietro le quinte. La spaccatura numero uno può essere definita di natura ideologica, e suddivide i cosiddetti populisti dagli elitisti. I primi vogliono “più Stato e meno mercato”, mentre i secondi accolgono di buon grado la progressiva e graduale apertura della Cina alle riforme, e quindi al mercato. Tra i populisti dobbiamo menzionare la corrente dei neomaoisti, marxisti ortodossi nostalgici dell’epoca di Mao Zedong, cioè del periodo in cui lo Stato garantiva uguaglianza e un’assistenza “dalla culla alla tomba”.
L’altra spaccatura si gioca invece sulla linea politico-economica sposata da Xi: accanto ai sostenitori della Belt and Road Iniatiative, il progetto che dovrebbe aprire la Cina al resto del mondo sfruttando la globalizzazione e rafforzando l’economia nazionale cercando di instaurare quante più relazioni win win possibili, troviamo chi considera la BRI un sostanziale spreco di denari pubblici. La domanda che si fanno questi ultimi è emblematica: perché investire soldi nella costruzione di infrastrutture all’estero e non in misure assistenziali in favore della popolazione cinese?
Possiamo infine individuare altre divisioni derivanti dalla leadership dei vari attori protagonisti del sistema politico cinese. Ogni personalità di spicco incarnerebbe una sorta di corrente formata da fedeli e fedelissimi in grado di influenzare il processo politico. E così, accanto alla corrente dell’attuare leader Xi Jinping, esisterebbero le correnti di Jiang Zeming e Hu Jintao, entrambi ex presidenti cinesi. In particolare, gli analisti evidenziano il ruolo della corrente di Hu Jintao, la quale incarnerebbe un’importante forza decisionale e potrebbe essere in grado di sfornare l’eventuale, prossimo leader del futuro: Hu Chunhua.
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