E’ bastato un pessimo articolo di Science Magazine (https://www.sciencemag.org/news/2021/05/nuclear-reactions-reawaken-chernobyl-reactor) a far dire ai media nazionali che a Chernobyl sono ripartite le fissioni nucleari, notizia che in altri paesi è stata abbastanza snobbata. Secondo l’articolo in questione in un locale non precisato del reattore n.4 di Chernobyl, si sarebbe rilevata una crescente presenza di neutroni di cui non si conosce l’origine, ma che non può far escludere la possibilità di un incidente. Il timore principale è che si inneschino reazioni di fissione dell’uranio che portino la massa informe di quel che resta del nocciolo di Chernobyl alla criticità incontrollata con pericolo di esplosioni localizzate. A parte l’insensato spargimento di panico che trasuda dall’articolo, le scarne informazioni scientifiche che vi si trovano risultano poco attendibili.
Innanzitutto occorre fare presente che essendo il neutrone una particella neutra, non soggetta a interazioni coulombiane perché non ha carica elettrica, non è facile misurarne con esattezza le caratteristiche tant’è che nell’articolo non si fa riferimento a che tipo di neutroni si tratta che se fossero veramente generati da fissione nucleare avrebbero una energia assolutamente definita e inconfondibile. Inoltre è pressoché impossibile che dopo 30 anni nel corium di Chernobyl, costituito da circa 6-700 t tra uranio, grafite, calcestruzzo e metalli vari, fusi tra loro in modo del tutto casuale in cui solo da 3,4 t di uranio sono fissili, i neutroni prodotti da sporadiche fissioni dell’uranio siano in numero superiore a quelli assorbiti dalla massa di tutti gli altri materiali e tali da mantenere la cosiddetta reazione a catena. Se ciò fosse avvenuto non si sarebbe registrato un lento ma crescente aumento dei neutroni negli ultimi 4 anni come dice l’articolo, ma una escalation rapidissima e incontrollata con effetti distruttivi questo perché senza una precisa configurazione geometrica un nocciolo non può funzionare. Altra considerazione fuorviante dell’articolo riguarda il fatto che il primo shelter (contenitore o sarcofago) costruito dai russi faceva entrare l’acqua piovana e che questa agendo da moderatore per i neutroni poteva innescare una reazione a catena. Ora non occorre essere degli esperti per rendersi conto che l’effetto di queste infiltrazioni -se mai ci fosse stato – si sarebbe verificato non a trenta anni di distanza dall’incidente, ma in tempi assai più ravvicinati. Ma poi non è forse vero che a Fukushima i noccioli fusi di tre reattori vengono inondati di acqua da dieci anni con la benedizione di tutte le autorità scientifiche del mondo senza che nessuno evocasse il pericolo della ripresa delle reazioni nucleari? Dunque perché il corium di Chernobil a contatto con l’acqua rischia di provocare una esplosione mentre l’acqua pompata sui corium di Fukushima fa addirittura bene?!
Ammesso dunque che le misurazioni effettuate nel reattore n.4 sui neutroni siano attendibili, la presenza di questi non è riconducibile a eventi come la fissione nucleare, ma semmai a processi di produzione/decadimento di alcuni elementi che si creano a seguito della fissione in un reattore nucleare, costituendo vere e proprie catene di decadimento fra cui quella che dall’ Uranio 238 (molto presente nei reattori) conduce al Californio alcuni isotopi del quale sono forti emettitori di neutroni (vedi figura). Questi processi non presentano alcuna delle pericolosità di quelle evocate nell’articolo di Science per cui viene da chiedersi a che pro questa “sortita” allarmistica su Chernobyl?
Qui si abbandona il campo scientifico-tecnologico e si entra in quello delle congetture. Nell’area contaminata di Chernobyl è sorta una cittadella industriale incentrata sulle tecnologie di decommissioning, ivi compreso un impianto di stoccaggio per il combustibile irraggiato e uno per il trattamento dei rifiuti nucleari con adiacente deposito (da stabilire se geologico o di superficie). In questo contesto, in cui il grosso dei capitali viene da fondi privati e dal EBRD (European Bank for Reconstruction and Development) mentre la tecnologia è in larga maggioranza Usa, c’è una cordata di imprese che spinge per smontare pezzo per pezzo il reattore danneggiato e sistemare le scorie in un deposito geologico, a cui giova mantenere alta la tensione su Chernobyl in modo da convincere il consorzio internazionale ad adottare questa soluzione, peraltro costosissima e dagli esiti assolutamente incerti, ma che servirebbe anche da sperimentazione per gli impianti di Fukushima con rischi e costi non a carico della Tepco e del governo giapponese, ma della comunità internazionale. Senza contare poi che l’idea di un deposito geologico a Chernobyl – a pensar male – sarebbe la benvenuta per quegli ambientalisti (italiani e non solo) che vogliono liberarsi delle scorie ad alta attività inviandole all’estero. Se queste, come detto, sono congetture, non è sicuramente per caso che l’articolo di Science Magazine è uscito proprio mentre Antony Blinken, segretario di stato Usa, era in visita ufficiale a Kiev per discutere di Donbass e investimenti, compresi nuovi reattori nucleari e sistemazione dei vecchi a fronte di una strategia Usa e Nato che vorrebbe l’Ucraina ancora più impegnata nel fronteggiare la Russia.
* Giorgio Ferrari, classe 1944, si diploma perito in Energia Nucleare all’Istituto Enrico Fermi di Roma, l’unica scuola esistente allora in Italia in questa disciplina. Dopo una prima esperienza presso la Senn (Società elettronucleare nazionale) che aveva da poco ultimato la costruzione della centrale nucleare del Garigliano, passa al CRN come assistente ricercatore sulla nave oceanografica Bannock e poi presso l’Infam (Istituto di fisica dell’atmosfera e meteorologia). Nel 1967 entra all’Enel, settore nucleare e si dedica principalmente alla progettazione dei noccioli e del combustibile nucleare di cui diviene responsabile del controllo di fabbricazione per tutte le centrali dell’Enel, mansione che manterrà fino al 1987 quando, dopo l’incidente di Chernobyl, fece obiezione di coscienza. Successivamente ha svolto altri impieghi nel settore esteri dell’Enel in diversi paesi dell’America Latina , medio ed estremo oriente. Nel 1972 entra a far parte del Comitato Politico Enel, organizzazione di base che proprio in quegli anni inizia a sviluppare una critica del modello energetico dominante e, in particolare, all’energia nucleare sostenendo e promuovendo le lotte del movimento antinucleare. Stretto collaboratore di Dario Paccino, riedita insieme a lui la rivista “rossovivo” e, nel 1977, è tra i fondatori di “Radio Ondarossa”, con la quale collabora tutt’ora. Insieme a Dario Paccino ha scritto “La teppa all’assalto del cielo” i 72 giorni della Comune di Parigi, Edizioni libri del No. Con Angelo Baracca ha scritto “SCRAM: la fine del nucleare” edito da jaca Book -2011. Scrive sul manifesto ed altre riviste di ecologia ed è consulente scientifico di Isde.
FONTE: https://www.pressenza.com/it/2021/05/chernobyl-disinformazione-e-speculazioni/
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