Tipicamente suggerisce la letteratura economica di vedere nell’accumulazione di capitale umano il principale, se non unico, snodo del processo di trasmissione intergenerazionale di condizionamenti positivi o negativi per le prospettive future quanto a livello di istruzione, tipo di occupazione e tenore di vita. Il concetto di capitale umano indica l’insieme delle conoscenze e delle capacità produttive acquisite da un individuo attraverso l’istruzione, la formazione e l’esperienza lavorativa. L’insieme di queste capacità e conoscenze influenza non solo la sua realizzazione economica e sociale (ad esempio determinano la sua produttività e quindi valore nel mercato del lavoro), ma ha un impatto sulla società in cui egli fa parte (il capitale umano ha tipicamente delle esternalità positive). Tale concetto è stato introdotto da Gary Becker (premio Nobel per l’economia).
Un contributo che ha dato un notevole impulso alla ricerca in tema, attingendo a risultati in campo psicologico, nonché a quelli delle neuroscienze, è stato quello di Heckman e il suo gruppo. Più precisamente, i contributi principali di Heckman puntano in tre direzioni:
- ampliare la nozione di capitale umano, dalla istruzione (in particolar modo a quella specializzata) all’apprendimento in famiglia dalle abilità cognitive e a quelle non cognitive;
- mostrare gli effetti del capitale umano non riguardano solo il lavoro e la crescita economica, ma anche il benessere individuale e sociale;
- trarre nuove implicazioni di interventi di politica.
Consapevolezza, ormai radicata, di dover andare oltre una semplice idea quantitativa di istruzione, intesa come accumulo di conoscenze, capacità e abilità per sostituire progressivamente nelle diverse realtà del sistema scolastico “una visione più articolata e approfondita, nella quale l’accento è stato posto sulla qualità dell’istruzione e degli apprendimenti, sul ruolo della famiglia, dei compagni di studi, del contesto culturale e sociale. Insegnare le competenze significa privilegiare il contatto diretto, oggettivo con la realtà tangibile, quindi sviluppare senso pratico che si estende a tutto ciò che ci circonda: informazione, società, infine conoscenza. La conoscenza diventa così il mezzo per acquisire le abilità utili alla competenza, non più un fine, uno strumento da tenere sempre in tasca. Ci si riferisce, dunque, a quelle abilità non osservate o alle migliori connessioni sociali di cui dispone chi proviene da un background favorevole quali: carattere, tenuta psicologica e stabilità emotiva. Le cosiddette competenze non cognitive sembrano assumere sempre più importanza per il mercato del lavoro, e sono direttamente legate alle caratteristiche individuali relative agli ambiti emotivi, psicosociali e della personalità.
Ma perché il sistema educativo non riesce, spesso, a fornire le competenze richieste dal mercato del lavoro e da enti e imprese, né quindi a garantire un’occupazione ai nostri laureati (viene spesso registrata l’attitudine della scuola più concentrate a trasferire conoscenze e nozioni)?
Una evidente e incanalante necessità evolutiva dei sistemi di istruzione deve fornire risposte adeguate alle nuove domande di competenze mediante sistemi di istruzione che dovrebbe evolversi in modo puntuale verso la giusta combinazione fra competenze digitali, diffusione delle conoscenze e competenze non cognitive. alla base delle competenze trasversali possono essere educate e potenziate in ambito scolastico, sociale e lavorativo. È molto importante perché proprio in virtù dello sviluppo di queste capacità un individuo riesce ad adattarsi a contesti e metodi differenti e a trasferire i suoi schemi generali di ragionamento in ambiti specifici.
Fare in modo che la diffusione di tali qualità avvenga tra tutte le classi indistintamente (a prescindere dalla condizione socio-economica di origine) è essenziale, non soltanto per la giustizia sociale e per la democrazia, ma soprattutto, per l’efficienza economica.
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