Di Davide Bartoccini
Definisce Garzanti la parola "eroe": colui che dà prova di straordinario coraggio e abnegazione, sacrificandosi per affermare un ideale. Esso è un buon compendio di ciò che abbiamo appreso nelle ultime ore sulle gesta che hanno portato via da questa terra Willy Monteiro Duarte.
Un ragazzo di appena vent'anni che oggi appare su tutti i giornali in un sorriso spontaneo, immortalato chissà quando nella sua vita breve, che lascia spazio a dettagli ininfluenti: ad esempio l'essere romano, di origine capoverdina, residente a Paliano. Ma è dovere di cronaca, e nostro mestiere. Come riportare la notizia che è morto dopo essere rimasto coinvolto in una rissa scoppiata a seguito di chissà quale trascurabile diverbio.
Ciò che sarebbe più doveroso dire, anzi gridare, è che Willy Monteiro Duarte ci ha lasciati da eroe. Anche se, mentre giaceva ranicchiato sul selciato in quella sorta di posizione fetale - quella che assumiamo per difenderci in ultima istanza -, tra gli ultimi respiri affannati, mentre il sangue segna il volto e riempia la bocca, e il colpo sordo dei calci e dei pugni vilipende un corpo ormai arreso e inerme, ha invocato pietà ai suoi assassini - sui quali si andrebbe ad aggiungere l'aggravante, sebbene messa solo al vaglio, di "odio razziale".
Strano a dirsi, e anche ad immaginarsi, ma nella strada esistono delle regole non scritte. Almeno tra coloro che sono soliti violare la legge e abbandonarsi al misurarsi con le mani. Tra queste figurano il non abusare della propria conoscenza di una o altra arte marziale. L'Mma in questo caso. Non avventarsi sui più deboli. Battersi uno contro uno, e non colpire mai chi giace a terra. Sono le regole che vigono tra chi "sa fare a botte": dei delinquenti tutti d'un pezzo. Degli "uomini" che hanno dimostrato di non saper essere questi affiliati della "banda di Artena". Questi "signori" dalle membra tatuate e dalle pose plastiche in stile "Scarface", che in molti post inneggiano a valori che evidentemente gli sono sempre mancati: uno tra questi la lealtà.
Sul ventre di uno dei fermati, ora trattenuti nel carcere di Rebibbia, troneggia una scritta corsiveggiante che cita "Onora e proteggi la famiglia". Ebbene c'è qualcuno che ha sostenuto, mandando in voga l'espressione tra i ragazzi di oggi, che "gli amici sono la famiglia che ti scegli". Willy Duarte, di professione "aiuto cuoco", che sognava di fare il calciatore, poi lo chef, descritto come di costituzione esile, ha deciso di onorarlo questo ideale. Cercando di sedare una rissa che poteva avere risvolti pericolosi per una sua conoscenza: qualcuno che voleva tentare di proteggere; non con le mani, ma facendogli scudo con le parole e magari con il corpo, come si è soliti fare nel bel mezzo delle risse di strada, credendo ingenuamente di avere di fronte, da entrambe le fazioni scompigliate, uomini tutti d'un pezzo; e che basti interporsi per tentare di quietare gli animi. L'errore gli è costato caro. Ci ha rimesso la vita in tempo di pace. In ambulanza. Esalando l'ultimo respiro affogato nel sangue; dopo essere stato pestato senza un briciolo di pietà umana. Ennesima vittima della barbarie di un branco di bulli di periferia che devono essersi svezzati, come tanti altri, nel culto della violenza che cinema e televisione professano indisturbati da almeno tre lustri. E che affascina le loro groupie.
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