Di Mauro Indelicato e Sofia Dinolfo
L’importanza della Zona economica esclusiva e il ruolo dell’Italia nel definire la propria area di competenza. Sono questi due nodi cruciali che consentiranno a breve alla nazione italiana di dotarsi, al pari di altri Stati, di una propria area marittima dalla quale potere trarre dei vantaggi economici del tutto esclusivi. Un percorso, quello che si sta percorrendo, che non da nulla per scontato dal momento che sono state anche registrate anche delle “invasioni” nelle aree di appartenenza all’Italia.
Che cos’è la Zee
Di Zona economica esclusiva si è iniziato a parlare soprattutto sul finire degli anni ’70, per arrivare poi alla regolamentazione della materia nel 1982 con la convenzione di Montego Bay, nota anche come Unclos (United Nations Convention on the Law of the Sea). Un documento che oggi funge da base del diritto internazionale del mare e che è giunto al culmine di un intenso dibattito sull’argomento iniziato nella seconda metà del XX secolo. Fino a quel momento infatti, sulla navigazione valeva il principio della libertà dei mari. I diritti degli Stati nazionali non andavano oltre le tre miglia nautiche di distanza dalla costa, al di là delle quali si parlava unicamente di “acque internazionali” e quindi zone dove non era concepito l’accesso esclusivo alle risorse ad un singolo attore internazionale.
Un principio, quello della libertà dei mari, che mal si conciliava però con il contesto economico che si stava sviluppando soprattutto dopo la seconda guerra mondiale. Molti governi hanno iniziato ad avanzare pretese di sfruttamento e gestione esclusiva delle risorse del mare poste nelle vicinanze delle proprie acque territoriali. Per questo a Montego Bay, località turistica giamaicana, si è quindi proceduto alla stesura di un trattato in grado di fare ordine sulla materia. In particolare, sono state stabilite aree appartenenti a pieno titolo alla sovranità dello Stato costiero, ossia le cosiddette “acque interne”, seguite poi dalle “acque territoriali” e cioè zone dove vigono sempre le leggi dello Stato di appartenenza ma dove al contempo è consentito il cosiddetto “passaggio inoffensivo” dei mezzi battenti bandiera di un’altra nazione.
Oltre le acque territoriali, che hanno un’estensione di 12 miglia nautiche dalla costa, inizia la “zona contigua”, lì dove uno Stato può intervenire per punire reati commessi nel proprio territorio o prevenire le violazioni alle proprie leggi. Così come stabilito dall’articolo 33 dell’Unclos, la zona contigua non va oltre le 24 miglia nautiche di distanza dalla costa. Solo successivamente si entra a pieno titolo in quelle che un tempo erano identificate come mere “acque internazionali”. Ed è qui che ad entrare in gioco è la Zee, la Zona Economica Esclusiva. Secondo quanto stabilito a Montego Bay, la Zee si estende entro le 200 miglia nautiche dalla linea di base e lo Stato costiero qui esercita il diritto di gestione delle risorse naturali ed ha giurisdizione in materia di installazione e uso di strutture artificiali o fisse ricerca scientifica, protezione e conservazione dell’ambiente marino.
A differenza delle acque territoriali, la Zee deve essere proclamata dallo Stato interessato e resa nota a livello internazionale. Non tutti i governi hanno provveduto a farlo, anzi la questione appare molto complessa nel Mediterraneo, mare “piccolo” dove è difficile individuare zone estese fino a 200 miglia tra una costa e l’altra.
La posizione dell’Italia che non ha ancora proclamato la Zee
Il mare è una fonte di ricchezza per tutto quello che riesce ad offrire, un patrimonio inestimabile che l’Italia non ha ancora sfruttato in pieno. Motivo? Fino ad ora non ha provveduto a delineare in modo fattivo la sua area di appartenenza acquisendo ufficialmente il diritto alla sua Zona Economica Esclusiva. Sia prima che successivamente alla firma della Convenzione di Montego Bay la via seguita da Roma è stata quella di delimitare la piattaforma continentale attraverso singoli accordi con gli altri Stati. Si ricordano in tal senso quelli stipulati con la Jugoslavia nel 1969, con la Tunisia nel 1971,con la Spagna nel 1974, con la Grecia nel 1977 e l’Albania nel 1992. Questo modus operandi ha fatto si che l’Italia rimanesse indietro rispetto ad altri Stati che invece, nel frattempo, hanno proclamato la Zee. Il sistema produttivo nazionale italiano si basa in buona parte sulla cosiddetta economia del mare: dalla pesca al turismo marino, dai trasporti marittimi alla ricerca ambientale, per poi passare alle attività cantieristiche. Una forza economica che va tutelata ma anche potenziata alla luce di quello che la natura può offrire. Il fatto che l’Italia fino ad ora non abbia proclamato una Zee, ha dato la possibilità ad altri Stati di porre in essere atti unilaterali non corrisposti che hanno generato un’invasione. Caso emblematico quello accaduto con l’Algeria.
Il caso Algeria
Era il 21 marzo del 2018 quando l’Algeria ha deciso di allargare i confini della propria Zee. Lo ha fatto in modo unilaterale estendendosi fino alla Sardegna. A sollevare il caso in quel periodo fu l’ex presidente della Regione Mauro Pili che ha fatto emergere come la nazione algerina avesse agito in silenzio nel disegnare i confini della propria Zona economica esclusiva. Di fatto l’Algeria ha esteso la propria Zee fino a tutta la zona del Mediterraneo che passa per Sant’ Antioco, Carloforte, Portovesme, Oristano, Bosa e Alghero.
Un’azione che ha di certo avuto un peso politico ma, in questo caso, anche e soprattutto economico a discapito dell’Italia. Già perché la nazione italiana in questo contesto ha corso il rischio di essere limitata nello sfruttamento delle risorse marine delle acque internazionali più vicine.
Ad inizio del 2020, l’ex presidente Pili è tornato sulla questione che sembrava caduta nel dimenticatoio. In questo contesto è arrivata una risposta da parte del ministero degli Esteri algerino che ha rassicurato l’esistenza di un dialogo in corso tra Algeri e Roma. A confermare le rassicurazioni avanzate dal ministero in questione, anche fonti della Commissione Esteri e Comunitari della Camera: “Da metà febbraio in poi- ci dicono- i rapporti fra l’Italia e il Paese nordafricano sono andati avanti. C’è un buon dialogo fra le parti per risolvere il problema”.
Tra le due Nazioni ci sarebbero delle contrattazioni già da tempo e, il silenzio mediatico che vi è stato da quando la questione è stata sollevata la prima volta dall’ex governatore sardo, a quanto pare è stato dovuto alla delicatezza della questione.
Il disegno di legge in parlamento
La querelle con l’Algeria ha riacceso i riflettori sul discorso legato alla Zee: il nostro Paese non ha mai fissato i confini della propria zona economica esclusiva e le pretese avanzate da Algeri negli anni passati, uniti ai timori di molti amministratori sardi direttamente esposti alle velleità algerine, hanno ben messo in evidenza la necessità di arrivare ad una regolamentazione in materia. Da dicembre risulta depositato alla Camera un disegno di legge che ha come obiettivo quello proprio di istituire una Zee italiana: “C’è una condivisione trasversale al testo – fanno sapere dalla Commissione Esteri – Gli obiettivi almeno sono condivisi da tutti i partiti”.
Prima firmataria del disegno di legge è la deputata del M5S Iolanda Di Stasio, la quale ad InsideOver ha confermato il coinvolgimento trasversale da parte delle forze politiche: “La proposta di legge sulla Zee ha ricevuto la piena approvazione da parte della Commissione esteri della Camera, con un appoggio trasversale che ne valorizza ulteriormente l’importanza strategica per il Paese – ha dichiarato la parlamentare – e attendiamo dunque la calendarizzazione per il voto dell’Aula”.
“Recentemente – ha proseguito Iolanda Di Stasio – abbiamo promosso il provvedimento con il coinvolgimento di esperti di studi strategici, sottolineando quindi la necessità di istituire una Zee italiana. Gli obiettivi, come più volte ho voluto ribadire, sono molteplici, primo tra tutti la tutela e la gestione delle risorse del mare e la difesa del patrimonio territoriale e della biodiversità”. Il testo è approdato ufficialmente in commissione lo scorso 27 maggio. Nel mirino non soltanto la disputa con l’Algeria, ma anche una regolamentazione in toto dei diritti di sfruttamento delle acque di nostra competenza da parte dell’Italia. Una mossa che non mancherà di avere ricadute geopolitiche importanti in un momento in cui tutti gli altri Paesi del Mediterraneo stanno chiudendo le varie partite sulle rispettive Zee: una vera e propria rincorsa contro il tempo, l’ennesima nel mare nostrum, visto che l’Italia sta arrivando in ritardo rispetto ad altri attori internazionali.
Era ora che il governo si svegliasse
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