Il 25 maggio 2020 un uomo di origine afroamericana, George Floyd, è stato brutalmente ucciso da un poliziotto a Minneapolis(1).
La morte di Floyd ha causato un grande sdegno nell’opinione pubblica statunitense e, in seguito, sono scoppiate diverse manifestazioni e proteste aventi come obiettivo ufficiale l’incriminazione dei responsabili della morte dell’uomo.
La natura di tali proteste è indubbiamente contraddittoria e, d’altronde, è stata almeno parzialmente esacerbata dalle conseguenze socioeconomiche dell’emergenza Covid-19. Sin da subito si sono avute manifestazioni tendenzialmente pacifiche unite ad altre di stampo violento e ciò, comunque, è una costante di tali ‘riots'(2).
Più specificatamente, le proteste sono state organizzate da diverse personalità e organizzazioni legate al mondo dell’attivismo afroamericano, tra cui la notissima ‘Black Lives Matter‘, e hanno ricevuto il sostegno della stragrande maggioranza del mondo dello star system statunitense, dello sport e della politica dem(3).
Come già detto, i riots sono una costante della storia contemporanea nordamericana e in alcune frange dei protagonisti vi è sempre stata la presenza di un certo ‘impulso distruttivo’.
Basti pensare, al riguardo, alle manifestazioni di Baltimora o di Ferguson nel 2015 durante l’era Obama(4). Oltre a ciò, non bisogna dimenticare che Minneapolis e il Minnesota sono roccaforti dem e ciò per capire che la questione è più complessa della mera lotta tra trumpiani e anti-trumpiani.
Opposte narrazioni e strumentalizzazioni ?
Più specificatamente, dietro l’esplodere di tali riots vi sono diverse questioni: sociali, razziali o anche ideologiche e certamente sono presenti strumentalizzazioni e narrazioni funzionali alle diverse agende.
D’altra parte, la stessa narrazione di certi media e opinionisti liberal o di alcuni media conservatori rispecchia solo una parte del più completo ‘mosaico’. Difatti, da una parte si minimizzano gli atti di violenza e si sostiene praticamente che sarebbero opera di “infiltrati” trumpiani/dell’alt right e anche dei russi per giustificare lo ‘stato di polizia trumpiano’ funzionale 'al dominio della razza bianca' e, dall’altra, si enfatizza su ciò e si sostiene non tanto velatamente che tutti i manifestanti sarebbero dei “sovversivi” al soldo di George Soros o di altri potenti esponenti delle élite liberal.
Il fatto è che vi sono abusi di potere sistematici da una parte della polizia statunitense e che la ‘questione razziale‘ afroamericana è, nel nome di una malcelata interpretazione delle identity politics, decisamente strumentalizzata da certo militantismo radical afroamericano, da certa sinistra radicale statunitense e da una parte dell’establishment liberal.
Il rischio della guerra razziale e del ‘conflitto civile’
Le proteste hanno portato a innumerevoli distruzioni indiscriminate di automobili, saccheggio di negozi e di market con conseguente furto di cibo e oggetti tecnologici di ogni tipo e, inoltre, messa a ferro e fuoco di interi quartieri. Tra l’altro un altro uomo afroamericano, l’ex poliziotto in pensione David Dorn, è stato brutalmente ucciso in diretta Facebook da alcuni manifestanti violenti(5).
Oltre a ciò, un altro uomo afroamericano, il ristoratore David Mc Atee, è stato ucciso dalla polizia mentre partecipava ad una delle rivolte pro-Floyd. Inoltre, un giocatore della NBA molto attivo nelle proteste, JR Smith, si è visto distruggere l’auto da un giovane rivoltoso e lo ha aggredito riportando che si è trattato di una difesa contro un “uomo bianco”(6). Oltre a ciò, tra i manifestanti arrestati vi era anche la figlia del sindaco di New York Bill De Blasio, l’attivista radical Chiara De Blasio(7).
Tutti questi fatti devono far riflettere sulla natura della rivolta e sulle sue contraddizioni e, ancora più specificatamente, su certi “orpelli ideologici” o para-ideologici.
Entrando nei particolari, c’è pure da segnalare che un certo odio indiscriminato verso tutti i poliziotti e “i bianchi” propagandato da certi organizzatori delle manifestazioni nei fatti è ben poco utile alla causa afroamericana e forse ancora meno ‘ostico’ nei confronti del sistema di potere che teoricamente si sostiene di combattere.
C’è, indubbiamente, anche il rischio che tale clima da ‘guerra razziale’ evolva in uno scenario da ‘conflitto civile’ e in ulteriori violenze e repressioni e tutto ciò risulterebbe assai utile al ‘divide et impera’.
NOTE
ARTICOLO PUBBLICATO ANCHE SU OSSERVATORIO GLOBALIZZAZIONE.
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