Intervista di Salvatore Santoru a Lorenzo Vita
Di Salvatore Santoru
Le modalità della liberazione di Silvia Romano hanno generato diversi interrogativi e, almeno al momento, la vicenda appare ancora avvolta da un certo 'mistero'.
Le modalità della liberazione di Silvia Romano hanno generato diversi interrogativi e, almeno al momento, la vicenda appare ancora avvolta da un certo 'mistero'.
Questa e altre tematiche sono state affrontate nell'intervista al giornalista Lorenzo Vita, analista di Inside Over e redattore del Giornale nonché esperto di geopolitica e politica internazionale.
L'intervista è stata, inoltre, originariamente pubblicata sul sito web del centro studi “Osservatorio Globalizzazione”.
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La recente liberazione di Silvia Romano è stata, notoriamente, opera dell’intelligence italiana ed è avvenuta tramite la collaborazione con i servizi segreti della Turchia.
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La recente liberazione di Silvia Romano è stata, notoriamente, opera dell’intelligence italiana ed è avvenuta tramite la collaborazione con i servizi segreti della Turchia.
A tal riguardo, c’è anche da dire che alcuni media filo-governativi turchi hanno rivendicato la paternità dell’azione e, a partire dal sito web dell’agenzia “Anadolu”, è stata diffusa una foto che raffigurava la giovane cooperante con un giubbotto antiproiettile recante il simbolo della mezzaluna rossa. Tale immagine è stata considerata un falso da parte dei servizi segreti italiani e da numerosi media nazionali ma, tuttavia, intorno al coinvolgimento turco permangono ancora diversi “misteri”. Come valuti tale caso e, a tuo parere, quali sarebbero i possibili retroscena dietro la liberazione della Romano?
La liberazione di Silvia Romano è sicuramente una vittoria dell’intelligence italiana, ma dal punto di vista politico non c’è dubbio che la Turchia abbia avuto un tornaconto enorme.
La foto della cooperante con il giubbotto antiproiettile è stata un colpo da maestro che ha inviato un segnale chiarissimo: il Mit ha avuto un ruolo fondamentale. E per ora l’Aise ha detto che la foto “potrebbe essere un fake”: che non equivale esattamente a una smentita. La regia di Turchia (e Qatar) è chiara, ma i misteri restano ancora molti. Alcuni hanno parlato di un’offerta degli Emirati all’Italia per aiutarli nella liberazione (Emirati che hanno fortissimi interessi strategici in Somalia) in cambio di un aiuto in Libia.
Altri di un’irritazione americana per il presunto riscatto mentre Africom bombarda le postazioni di Al Shabaab. E sono in molti all’interno dei servizi segreti italiani ad aver storto il naso per il modo di agire del governo…
La partecipazione dell’intelligence turca è sintomatica della sempre più forte influenza di Ankara in Somalia e, più generale, in Africa. D’altronde, tale presenza è funzionale alla strategia geopolitica neo-ottomana portata avanti dall’entourage di Erdogan.
Come giudichi tale fatto e, inoltre, quali ritieni possano essere gli obiettivi strategici a lungo termine del governo turco?
Gli obiettivi a lungo termine sono chiaramente quelli dell’avere una leva contrattuale sempre maggiore in un momento di caso geopolitico come quello attuale. Erdogan sfrutta la confusione e l’eredità storico-culturale dell’Impero ottomano per sostituire gli Stati occidentali più deboli in Africa.
L’esempio somalo è perfetto: dopo una decolonizzazione italiana e il caso degli anni Novanta, negli ani Duemila Erdogan è giunto all’inizio con un carico di aiuti e il riconoscimento al lavoro del governo di Mogadiscio. Adesso ha una base militare in Somalia e un’influenza politica enorme. Tutto a vantaggio suo e a discapito di chi c’era prima.
Un altro aspetto importante dell’attuale strategia turca è il sostegno a certi influenti settori dell’Islam politico, a partire dalla Fratellanza Musulmana. Tale appoggio è particolarmente evidente in Siria e in Libia, dove la Turchia può contare anche su una decisa collaborazione del Qatar.
Come inquadri tale alleanza nel contesto della ‘lotta interna’ nel mondo islamista tra l’Arabia Saudita e le forze pro-Fratellanza e, oltre a ciò, quale ruolo ritieni possano giocare l’Iran e gli Emirati Arabi Uniti?
Sono tutti attori diversi tra loro e con strategie molto particolari. La religione in questi casi è un mezzo, ma attenzione a confonderlo con il fine. Qatar e Turchia hanno la Fratellanza musulmana come collante, ma seguono due direttrici diverse: Ankara ha una pianificazione profonda erede di una cultura strategica millenaria, il Qatar non ha la stessa visione di lungo termine ma ha tre armi: soldi, idrocarburi e capacità di finanziare l’islam più affine alle sue esigenze.
Dove non può arrivare con diplomazia e forza militare, arriva con questi strumenti. Idem gli Emirati, che però, al contrario del Qatar, stanno puntando molto sulla loro proiezione militare, tanto che negli ambienti Usa è soprannominata la piccola Sparta. La sfida che si gioca tra potenza del Golfo non è eminentemente culturale-islamica, ma strategica: sunnismo (e sue correnti interne) e sciismo sono solo grandi anticamere culturali a guerre che si combattono per molto più “concreti”.
E qui entra in gioco anche l’Iran, che al pari della Turchia ha visione strategica decisamente superiore a quelle delle monarchie del Golfo. La storia è importante.
Ufficialmente il governo turco è impegnato da anni nella lotta contro formazioni terroristiche come Al Qaeda e l’Isis.
Tenendo conto che, comunque, il governo di Erdogan ha appoggiato strumentalmente determinate milizie jihadiste in Libia e Siria, ritieni che una maggiore presenza turca in certe zone dell’Africa possa costituire potenzialmente il rischio di ulteriori radicalizzazioni nell’area, tra l’altro particolarmente pericolose per Paesi occidentali come la stessa Italia?
Senza dubbio. Ma attenzione a non individuare un solo colpevole: Erdogan è il leader più sfacciato in questo senso (basta vedere le sue azioni a Idlib, Afrin, e altri cantoni siriani), ma anche altri alleati dell’Occidente come le monarchie del Golfo hanno per anni supportato le milizie jihadiste e quello che fu lo Stato islamico.
Un aiuto che va di pari passo con la miopia di alcune decisioni degli Stati Uniti e della Coalizione internazionale che combatteva l’Isis lasciando però spazio alle milizie ribelli che in molti casi altro non erano che costole di organizzazioni jihadiste che hanno sparso sangue in tutta la Siria. Ecco, gli stessi errori si sono visti in Libia. E non è detto che non possano ripetersi nel caos somalo o nel Sahel.
La stessa Fratellanza Musulmana risulta essere divisa in varie correnti, alcune maggiormente aperte al dialogo democratico e altre decisamente più vicine e/o contigue al mondo del radicalismo salafita o anche del jihadismo propriamente detto.
Tenendo conto che, specialmente in passato, anche l’Arabia Saudita ha sostenuto strumentalmente organizzazioni estremiste di matrice wahabita, ritieni che la già citata “guerra civile” all’interno dell’Islam politico possa avvantaggiare o, al contrario, limitare la proliferazione del terrorismo islamista?
Sicuramente la avvantaggia in quanto molto spesso sono le uniche vere forze che hanno questi Stati per combattersi a vicenda. Naturalmente tutto dipenderà anche dagli interessi delle vere grandi potenze, anche extra mediorientali.
Queste potenze regionali si muovono in maniera autonoma, ma devono sempre “rendere conto” a chi li protegge e a coloro con cui fanno affari.
Cambiando argomento e passando al tema del Covid-19, come giudichi la reazione politica dell’UE e le mosse adottate dall’asse franco-tedesco?
L’Ue ha reagito male e chi dice che ne uscirà rafforzata pecca in realtà di presunzione. È bastato l’avvento dei primi focolai per disciogliere ogni vincolo di solidarietà tra Paesi, annullando in pochi giorni accordi sulla libera circolazione, mercato unico e cooperazione.
Adesso provano a intervenire con la crisi economica ma con ricette farraginose, miopi e soprattutto con l’obiettivo di rafforzare il controllo sui Paesi in crisi. Anche l’asse franco-tedesco non ne esce molto rafforzato, visto che Macron e Merkel hanno mostrato spesso punti di vista diversi… ma si sa che alla fine Francia e Germania trovano sempre un accordo (per adesso conviene a entrambe).
La stessa emergenza legata al Covid ha contribuito al peggioramento delle già critiche relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cina. A riguardo c’è chi parla di strisciante “Nuova Guerra Fredda” e, inoltre, anche la stessa Italia risulta essere al centro della contesa sino-statunitense da alcuni anni, specialmente a causa degli accordi per la Nuova Via Della Seta e la questione del 5G.Come reputi la stessa posizione dell’Italia in questo scenario e, al contempo, consideri la questione degli aiuti anti-Coronavirus centrale in ciò?
Gli aiuti sono stati l’immagine plastica di una guerra ben più profonda e che va avanti da anni, non da ieri. Lo scontro in Italia si è visto già l’anno scorso con la firma da parte dell’allora governo giallo-verde del Memorandum sulla Nuova Via della Seta.
È stato quello il vero momento di frizione tra Roma e Washington, ben più degli aiuti umanitari, che invece sono un tema di ordine diplomatico e propagandistico.
Passando alla Russia, come ritieni possa evolvere il suo ruolo nell’ambito della crisi
Cina-Stati Uniti ? Inoltre, reputi possibile un ipotetico riavvicinamento con la Turchia in
funzione anti-UE e anti-NATO o diversamente, essendo comunque la Turchia un
importante paese dell’Alleanza Atlantica, pensi che le relazioni russo-turche possano
diventare maggiormente conflittuali ?
La Russia gioca una partita molto complessa. Da un lato ha nell’Asia (e nella Cina) mercati enormi in cui vendere gas e petrolio e scambiare tecnologie. Dall’altro lato non ha una visione strategica perfettamente in linea con quella di Pechino e gli Usa possono servire come limite all’espansionismo cinese, soprattutto in Asia centrale e Africa.
Sul fronte turco, Mosca ha chiaramente interesse ad avere una Turchia vicina: controlla il Bosforo che è essenziale per avere accesso al Mediterraneo, ha un ruolo fondamentale in Medio Oriente e Africa ed è una porta d’accesso del proprio gas verso l’Europa in alternativa alla turbolente Europa orientale.
Ma è sempre un Paese Nato: elemento che non va ami sottovalutato nella partita dell’intelligence internazionale. Diciamo che ora nessuno ha interesse ha farsi una guerra, ma le cose cambiano in fretta.
Tornando al Coronavirus, come valuti l’iniziale reazione dell’establishment politico e economico/finanziario occidentale? Pensi che ci siano stati dei colpevoli ritardi nell’affrontare l’emergenza e che, d’altro canto, siano stati commessi errori parzialmente evitabili?
Di errori ce ne sono stati moltissimi, dalla prima sottovalutazione (con una Oms responsabile) all’eccesso successivo scatenando una vera ondata di panico. Difficile valutare ora che siamo in piena emergenza.
Chiaro che i governi si siano trovati di fronte a una sfida nuova: ma tutti gli Stati occidentali avevano piani pandemici e tutti hanno ricevuto in questi anni allarmi continui sulla possibilità dell’avvento di una pandemia (anche espressamente di un coronavirus).
La prova è stata evidentemente non superata dalle classi politiche Dal punto di vista economico bisognerà vedere nei prossimi mesi, per ora la crisi è alle porte e il mondo appare ancora poco consapevole del possibilmente cambiamento generale, a partire dall’avvento del digitale e della nuova globalizzazione che vede la riscoperta della realtà nazionale per le aziende strategiche.
- INTERVISTA PUBBLICATA ANCHE SU: http://osservatorioglobalizzazione.it/interviste/silvia-romano-la-grande-strategia-turca-e-la-partita-dellintelligence/
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