Di Gino Fontana
La globalizzazione, come riporta Zolo nella sua opera: “Globalizzazione. Una mappa dei problemi”, è descritta come quel processo di estensione globale delle relazioni sociali fra gli esseri umani. Secondo alcuni, questo processo sarebbe risalente alle grandi scoperte geografiche del XV, XVI secolo e con l’avvento delle nuove tecnologie, avrebbe accelerato gli scambi e i flussi di merci, capitali, idee e persone, offrendo una nuova narrazione della distanza. Inizialmente gli Stati, con le loro istituzioni e i loro apparati burocratici, erano considerati gli attori principali della globalizzazione. Tuttavia, sono emersi da tempo altri attori internazionali, in grado di elaborare e perseguire i propri interessi a livello globale, indipendentemente dallo Stato o gli Stati in cui risiedono. Si tratta di multinazionali, organizzazioni non governative e organizzazioni sovranazionali. Eppure, non è finita qui. Altri attori stanno emergendo sulla scena globale, grazie alla loro capacità di agire di concerto, si tratta delle città. Da quando l’essere umano ha abbandonato il nomadismo per la sedentarizzazione circa 14.000 anni fa, i villaggi, poi divenuti nei secoli città e metropoli, hanno contribuito a plasmare la vita sociale degli abitanti, le loro identità e la percezione dei problemi legati all’ambito sociale in cui vi risiedevano. Con l’avvento della globalizzazione, le città continuano a mantenere un ruolo cruciale, specialmente con i mezzi digitali a disposizione, che permettono di accorciare, o in alcuni casi annullare le distanze.
I cambiamenti epocali della globalizzazione
Secondo un articolo uscito per la rivista Aspenia n.81, dal titolo Megatrends e Megalopoli, Ian Klaus identifica l’ascesa della finanza globale, l’escalation della violenza non statale e la rivoluzione informatica, come le principali sfide della globalizzazione. Le città sembrano dunque essere i luoghi dove concretamente si misurano questi cambiamenti epocali. Infatti, sindaci ed amministrazioni, si trovano in prima linea nell’affrontare le sfide della globalizzazione come il cambiamento climatico e la violenza transnazionale. Sempre secondo Klaus, il secondo dopoguerra è stato caratterizzato dall’emergere della finanza e mercati globali, nonché delle istituzioni di governance internazionali, in un quadro di accresciuta interdipendenza globale, soprattutto a partire dagli anni ’70 in avanti. Nello specifico, nel 1971 gli Stati Uniti posero fine alla convertibilità in oro del dollaro, avvenuta definitivamente nel 1973, permettendo così la libera fluttuazione dei cambi. Le organizzazioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale (FMI), l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), frutto del Piano Marshall, hanno promosso politiche per facilitare il libero movimento di capitali. Riprendendo un saggio di Saskia Sassen, del 1997, Città globali: New York, Londra, Tokyo, l’autrice riporta come proprio le grandi capitali nazionali, abbiano giocato un ruolo in prima linea nei cambiamenti intervenuti nell’economia globale, modificando in questo modo il carattere di molte città. Inoltre, l’incidenza della finanza sul PIL è notevolmente aumentata, allo stesso modo il rapporto tra debito privato e PIL. Questo fenomeno ha avuto carattere globale. Se si pensa a città manifatturiere e industriali, i capitali hanno progressivamente abbandonato questi centri, passando attraverso istituzioni finanziarie internazionali e arrivando in città come New York, Londra o Parigi, confluendo successivamente in mercati in via di sviluppo e in nuovi asset finanziari (intesi come tutto ciò che viene scambiato nel mercato finanziario: azioni, valute, bond ecc). Sempre secondo Sassen, l’economia è dominata da un numero ristretto di città globali interconnesse, che danno vita ad un ordinamento socio-spaziale nuovo. Città come Tokyo, Parigi, New York, Londra, ma anche Sao Paolo, Bangkok e altre, hanno conosciuto un’intensificazione delle transizioni nei mercati finanziari. L’intensità delle transizioni è cresciuta notevolmente, come anche i servizi e gli investimenti, aumentando però al contempo le disuguaglianze, sia in termini di concentrazione delle risorse, che disuguaglianze economiche della popolazione. Si viene a creare un nuovo spazio centrale, (la città) dove vengono concentrare le risorse e uno spazio periferico sempre più escluso dai processi economici principali.
Il secondo aspetto per Klaus, è la violenza, in particolare il terrorismo. Dopo il secondo conflitto mondiale, Gli Stati uniti, si sono imposti come prima potenza mondiale, in particolare dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Il primato degli USA come leader indiscusso sia in termini militari che tecnologici era ed è ancora saldo, sebbene vi sia tutt’ora un’aspra competizione con la Cina e la mancanza un ordine mondiale ben definito. Tuttavia, questa superiorità indiscussa, ha avuto ripercussioni sulla presenza americana a livello globale e sugli approcci e metodi utilizzati dalle organizzazioni terroristiche. Si è affermata quindi la cosiddetta guerra asimmetrica, che ha portato ad una escalation dell’estremismo religioso e l’affermazione di attori non statuali. Una sorta di guerra urbana che ha visto il perpetrarsi di attacchi in Europa, in America, ma anche in Africa e in altre parti del mondo. Le città, i sindaci e gli abitanti hanno risposto in modi differenti. Alcune città hanno installato dissuasori urbani per prevenire attacchi con veicoli ariete. Gli abitanti delle città invece, sono scesi in piazza a protestare contro la violenza transnazionale: si pensi dopo agli attentati alla redazione del settimanale: Charlie Hebdo.
Infine, per Klaus, la terza rivoluzione è quella digitale. Due grandi compagnie, Uber e Airbnb, (senza dimenticare i loro omologhi cinesi: Didi Chuxing e Tujia) sono recentemente diventati operatori globali nel settori dei trasporti e degli alloggi; trasporti e alloggi rientrano tra le materie di competenza municipale. Uber è operativo in più di 600 città di tutto il mondo, Airbnb in diverse migliaia. Il confondatore di Airbnb, brian Chesky, nel 2014 ha pubblicato un saggio sulla piattaforma online Medium, dal titolo “Shared City”[1] città condivisa, nel quale descrive come le città stiano tornando ad essere condivise, diventando più forti a livello sociale, economico e ambientale. Tuttavia, nelle regioni metropolitane, gli effetti della rivoluzione digitale possono portare ripercussioni economiche. Si pensi ad esempio alle proteste di piazza Tahrir in Turchia a fine gennaio 2011, dove un manager egiziano di Google, Wael Ghonim, prendendo spunto da queste proteste, invitò i suoi amici di Facebook a protestare con lui nella più famosa piazza del Cairo contro le violenze perpetrate dalla polizia egiziana. Le proteste se “condivise” possono produrre effetti regionali, nazionali o addirittura globali.
La City Diplomacy
Con il termine City Diplomacy, si intende una sorta di decentralizzazione della gestione delle relazioni internazionali in cui le città, i sindaci, assessori e consiglieri, svolgono un ruolo chiave. A nome della propria città, è possibile quindi intrattenere rapporti con altri attori internazionali. La questione spinosa è come questa “diplomazia delle città” si possa conciliare con la diplomazia ufficiale e la politica estera dello Stato in questione. Le azioni intraprese dalle città, a volte possono essere in contrasto con la visione politica delle forze di governo. Per citare giusto alcuni esempi, in materia di cambiamento climatico, dopo l’annuncio di ritiro dagli accordi di Parigi da parte degli Stati Uniti, oltre 600 città americane annunciarono di adottare e onorare i termini degli accordi mediante un formale impegno con le Nazioni Unite. Oppure, per citare un esempio italiano, la decisione di molti comuni e città italiane di non applicare il “Decreto Sicurezza” in materia di immigrazione. Molti sindaci sono quindi diventati sindaci-diplomatici. L’Unione delle Città e dei governi locali, comprende più di 240.000 città di grandi e piccole dimensioni, nella quale la maggior parte delle amministrazioni cittadine è coinvolta nei cambiamenti di policy. Questo, grazie anche ai network internazionali e alla rivoluzione digitale, appare come un effetto dell’evoluzione della governanceglobale, ovvero della creazione o scoperta di attori capaci di rispondere ai problemi globali con una visione globale.
È utile soffermarsi in una riflessione. In che modo, maggiori o minori interazioni internazionali influenzano il contesto sociale degli abitanti che vivono nelle città? Si possono distinguere due diversi stili di vita, uno metropolitano ed uno non metropolitano. Quello metropolitano è caratterizzato dal multiculturalismo, dove l’identità di ognuno può assumere diverse forme, di volta in volta modellate, grazie allo scambio e all’interazione con “l’altro”. Per contro, vi è il paradosso di sentirsi anonimi in una città di milioni di abitanti. Per quanto riguarda lo stile di vita non metropolitano, l’elemento identitario è ben definito ed è all’insegna dell’omogeneità. Una comunità non metropolitana è tendenzialmente consacrata al conservatorismo e al tradizionalismo. Allo stesso modo, i grandi temi odierni di carattere sociale come: il cambiamento ambientale o il grande flusso migratorio, sembrano assumere una visione globale soprattutto in comunità metropolitane, piuttosto che in comunità non metropolitane. Città che si affacciano sul quadro globale, saranno pertanto più consapevoli della necessità di trovare soluzioni comuni a problemi globali.
È utile soffermarsi in una riflessione. In che modo, maggiori o minori interazioni internazionali influenzano il contesto sociale degli abitanti che vivono nelle città? Si possono distinguere due diversi stili di vita, uno metropolitano ed uno non metropolitano. Quello metropolitano è caratterizzato dal multiculturalismo, dove l’identità di ognuno può assumere diverse forme, di volta in volta modellate, grazie allo scambio e all’interazione con “l’altro”. Per contro, vi è il paradosso di sentirsi anonimi in una città di milioni di abitanti. Per quanto riguarda lo stile di vita non metropolitano, l’elemento identitario è ben definito ed è all’insegna dell’omogeneità. Una comunità non metropolitana è tendenzialmente consacrata al conservatorismo e al tradizionalismo. Allo stesso modo, i grandi temi odierni di carattere sociale come: il cambiamento ambientale o il grande flusso migratorio, sembrano assumere una visione globale soprattutto in comunità metropolitane, piuttosto che in comunità non metropolitane. Città che si affacciano sul quadro globale, saranno pertanto più consapevoli della necessità di trovare soluzioni comuni a problemi globali.
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