Di Gaetano Magno
Il Covid-19 ha iniziato ad espandersi sul suolo africano e gli elementi perché si venga a creare una “tempesta perfetta” purtroppo parrebbero esserci tutti.
Per riuscire a comprendere cosa stia accadendo e quali potrebbero essere alcuni potenziali effetti della pandemia nel continente nero è essenziale partire dall’analisi di alcuni numeri che caratterizzano la realtà africana.
I 54 stati del continente africano hanno una popolazione complessiva superiore ad un miliardo e trecento milioni di persone, con una età media inferiore ai 20 anni ed un’aspettativa di vita di circa 64 anni.[1]
Il 43% della popolazione continentale vive in aree urbane, con tre città che hanno più di 10 milioni di abitanti (Kinshasa, Lagos ed Il Cairo)[2].
Sebbene l’età media molto bassa rappresenti un punto di forza contro il virus, che ha dei tassi di mortalità più elevati nella fasce di età superiori ai 65 anni, la presenza di malattie endemiche quali malaria, hiv, tubercolosi ed ebola potrebbe rendere la popolazione già affetta da queste comorbosità particolarmente fragile nei confronti del covid.
Un altro fattore di rischio è dettato dai tassi di urbanizzazione pocanzi menzionati: nelle città più popolate del continente una percentuale significativa degli abitanti vive in distretti sovraffollati e malsani, privi di sistemi fognari e senza la possibilità di avere accesso costante e regolare all’acqua potabile.
L’alta densità abitativa e la mancanza di accesso all’acqua comportano l’impossibilità di porre in essere il distanziamento sociale e le basilari misure di profilassi igieniche con cui evitare il contagio da Covid-19 e la sua diffusione.
La malnutrizione da cui sono afflitti circa 60 milioni di bambini africani[3] rappresenta una fragilità addizionale sulla quale il virus potrebbe avere buon gioco. Nove bambini su dieci in Africa non rientrano nei parametri minimi di dieta delineati dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS)
Passati brevemente in rassegna questi fattori demografici, è bene analizzare quello che, con ogni probabilità, è il fattore più preoccupante e difficilmente gestibile in questo frangente: la totale inadeguatezza del sistema sanitario continentale per fronteggiare una pandemia con queste caratteristiche.
Il rapporto tra medici e popolazione in Africa è notevolmente inferiore rispetto a quello del mondo occidentale. Mentre in Europa si hanno mediamente 4 medici ogni 1.000 abitanti, in molti stati dell’Africa subsahariana, quali ad esempio Guinea, Sierra Leone e Liberia, questo rapporto è di 4.5 medici ogni 100.000 abitanti.[4] La situazione è meno preoccupante in alcuni stati dell’Africa del Nord (Libia, Tunisia ed Algeria) dove questo rapporto sale a 2 medici ogni 1.000 abitanti, un valore in ogni caso inferiore al parametro di riferimento fornito dall’Organizzazione mondiale della sanità per garantire le coperture dei bisogni sanitari primari alla popolazione.[5] E’ inutile sottolineare che in un frangente di crisi come quello causato dall’attuale pandemia questo rapporto dovrebbe essere incrementato.
La situazione è ancora più marcatamente drammatica se prendiamo in considerazione il numero di posti in terapia intensiva e dei ventilatori polmonari attualmente disponibili.
Fatta eccezione per il Sudafrica che può contare su circa 1.000 posti letto in terapia intensiva, per la Tunisia che ne conta circa 500 distribuiti tra sanità pubblica e privata e per l’Algeria che ha una capacità di circa 400 posti, i numeri nel resto del continente sono molto modesti e vanno dai 150 posti disponibili in Kenya, ai 50 del Senegal fino a poche singole unità per le realtà sanitarie più disagiate.[6] I posti di terapia intensiva sono inoltre concentrati per la maggior parte negli ospedali delle capitali dei singoli paesi, rendendoli di fatto quasi irraggiungibili per la popolazione più rurale ed isolata. Per avere un rapido raffronto con la realtà europea, basti pensare che la Germania da sola può contare su circa 28.000 posti in terapia intensiva e l’Italia su circa 5.000, aumentati in modo sensibile per fronteggiare l’emergenza nelle ultime settimane.
La possibilità di poter aumentare la capacità di posti letto in terapia intensiva è di difficile attuazione in buona parte degli stati africani per diversi motivi, che vanno dalla mancanza di personale medico, all’impossibilità di reperire ventilatori polmonari ed altro materiale sanitario per la cancellazione di forniture attuata da diversi paesi produttori, che le stanno trattenendo in patria per fronteggiare le proprie emergenze interne.[7]
Il primo caso di coronavirus in Africa si è ufficialmente registrato in Egitto il giorno 14 febbraio, ma alla stessa data risultavano più di 45 casi sospetti distribuiti tra Etiopia, Ghana, Costa d’Avorio e Burkina Faso.[8]
Il numero di persone contagiate a lunedì 13 aprile era di circa 14.524 individui ripartiti tra tutti i 54 stati del continente[9]; si tratta di un numero apparentemente molto contenuto rapportato alla popolazione continentale ed al tempo trascorso dal primo caso riscontrato.
Con ogni probabilità però questo numero è ampiamente sottostimato in quanto ad oggi si sono potuti effettuare pochissimi tamponi per riscontrare il numero di pazienti effettivamente positivi.
A metà febbraio solo due laboratori, in Senegal ed in Sudafrica, erano attrezzati per compiere i test diagnostici[10], e dopo l’intervento dell’OMS, i laboratori di 43 nazioni sono stati resi in grado di effettuarli.[11]
Questo numero risulta ancora meno plausibile se si prendono in considerazione alcuni elementi che potrebbero aver contribuito a rendere più veloce la trasmissione e la diffusione del virus.
Un primo fattor da valutare è che il principale partner commerciale del continente africano è la Cina.
Più di 200.000 lavoratori cinesi sono attivi sul continente africano, concentrati per la maggior parte tra Nigeria, Angola, Etiopia, Algeria e Kenya. Sul territorio africano operano circa 10.000 imprese cinesi private ed è molto forte la presenza del paese del dragone anche nel campo delle infrastrutture, con investimenti annui superiori agli 11 miliardi di dollari.[12]
Più di 81.000 africani studiano in Cina, il 16% di tutti gli studenti internazionali presenti nel paese, 5.000 dei quali nella città di Wuhan.[13]
Il recente rimpatrio in Sudafrica di 114 studenti rimasti bloccati a Wuhan ha creato forti polemiche all’interno del paese.[14]
Non si può escludere che questo flusso di lavoratori cinesi e di studenti africani in entrata ed in uscita dai rispettivi paesi non sia stato uno dei vettori di ingresso del virus in Africa, cronologicamente anche antecedente al primo caso riscontrato in Egitto.
Un secondo fattore che potrebbe aver contribuito a rendere la diffusione del Covid-19 superiore a quanto ad oggi si è avuto modo di riscontrare in termini numerici, è legato all’alto tasso di migrazioni interne al continente.
Annualmente sono circa 19 milioni gli africani che si spostano all’interno dei confini continentali; i principali poli di attrazione sono Nigeria, Costa d’Avorio, Etiopia, Uganda e Kenya, che corrispondono in buona parte ai paesi dove è maggiormente concentrata la presenza di lavoratori cinesi. [15]
L’ultimo fattore è connesso ad alcune abitudini sociali, come quella di partecipare ai riti religiosi.
Secondo un indagine del Pew Research Center in 20 paesi del continente una percentuale che oscilla tra il 60 ed il 79% della popolazione partecipa settimanalmente a cerimonie religiose, con punte vicine al 89% in Nigeria, che è il paese più popoloso del continente.[16]
Alla luce dei dati analizzati il rischio che la pandemia possa provocare un alto numero di vittime in Africa sembra essere molto concreto, in particolar modo se si sviluppassero dei focolai negli slum di alcune megalopoli continentali. Tenui speranze sui possibili effetti mitigatori rispetto a questo scenario, sono riposte nelle capacità acquisite nel recente passato da alcuni paesi africani nel fronteggiare le epidemie di ebola e di altre malattie infettive.
Per prevenire ed arginare la diffusione del virus sono state predisposte delle contromisure congiunte a livello continentale e singolarmente ad opera dei vari stati.
L’Africa Center for Disease Control and Prevention (CDC) e l’Unione africana hanno costituito una Task Force capitanata da 5 paesi (Marocco, Sudafrica, Senegal, Nigeria e Kenya), che avrà il compito di monitorare la diffusione del contagio e cercare di intervenire per fornire supporto tecnico e sanitario nelle realtà maggiormente colpite.[17]
Per realizzare questo compito l’Africa CDC sta organizzando corsi, webinar, scambio di informazioni a livello continentale con le equipe mediche dei vari paesi.[18]
La predisposizione di misure contenitive da parte dei singoli stati non è stata uniforme, si sono mossi in ordine sparso, mettendo in essere in modo più o meno stringente chiusure di luoghi pubblici ed attuando divieti di circolazione delle persone.
Prendendo in considerazione i paesi più popolosi, la Nigeria ha limitato la serrata solo alle città di Lagos e alla capitale Abuja[19]; Congo, Sudafrica e Kenya hanno optato invece per un lockdowntotale.[20]
Misure più blande sono state adottate invece dall’Egitto, che ha imposto un coprifuoco notturno dalle 19.00 alle 06.00 e dall’Etiopia, che ha rimandato a data da destinarsi le elezioni parlamentari, ha vietato gli assembramenti ed ha limitato gli spostamenti.[21]
La serrate e le limitazioni di movimento hanno causato i primi disordini in Sudafrica, Kenya, Etiopia e Liberia, dove ci sono stati i primi assalti a negozi e mercati. Il blocco delle attività e della circolazione delle persone, stanno impedendo il sostentamento delle migliaia di abitanti che affollano giornalmente le strade delle città di questi paesi, vivendo di un’economia informale.
Gli abitanti degli slum non sembrano avere reali alternative tra il rischio di morire di fame isolandosi nei loro distretti e cercare di procacciarsi qualche forma di sostentamento a costo di esporsi al rischio di contagio. Le stesse ONG che operano in questi paesi segnalano le difficoltà di provvedere a distribuire aiuti nelle attuali condizioni.[22]
In Kenya ed in Sudafrica la reazione di polizia ed esercito è stata particolarmente energica, arrivando a sparare sulla folla con proiettili di gomma, ma il vero timore è che, con il prolungarsi del blocco, la situazione possa degenerare in rivolte sociali.
Oltre che sull’economia informale pocanzi menzionata, la pandemia avrà pesanti ripercussioni su tutto il tessuto economico africano, parte delle quali sono già riscontrabili adesso.
Ingenti danni economici verranno sopportati dai principali produttori di petrolio del continente: Nigeria, Angola, Algeria e Sudan. Un discorso a parte va fatto pe la Libia, la cui produzione petrolifera è pressoché ferma per il blocco della produzione imposto dal generale Haftar, che secondo recenti stime della Noc, la compagnia petrolifera di bandiera, avrebbe prodotto perdite per 3,89 miliardi di dollari dal 17 gennaio 2020 ad oggi.[23]
Il crollo del prezzo del barile, dovuto al forte calo della domanda internazionale conseguente alla pandemia di Covid-19, impatterà sulle economie dei paesi sopramenzionati.
Particolarmente danneggiati potrebbero essere l’Angola, il cui Pil dipende per il 30% dall’industria estrattiva e che esporta il 60% della sua produzione petrolifera in Cina e la Nigeria, la cui quota di Pil derivante dal petrolio è dell’11%.[24]
A risentire della pandemia saranno sicuramente anche il settore turistico e quello delle rimesse dei lavoratori africani che vivono all’estero, che hanno un valore di circa 60 miliardi di euro all’anno.[25]
Un’ultima variabile da tenere in considerazione in questa situazione di crisi è rappresentata dalle formazioni terroristiche jihadiste africane che, con strategie differenti, stanno cercando di trarre un vantaggio dalla pandemia.
In Mozambico i terroristi di Ahlu-Sunnah Wal Jama’at (al-Sunnah) hanno intensificato il loro numero di attacchi nella provincia nel nord del paese di Cabo Delgado, ricca di gas naturale e di rubini.
Questi attacchi hanno visto un cambio di passo nella strategia del gruppo, che ha adottato un approccio “hearts and minds”, limitandosi a colpire militari e mezzi dell’esercito, mentre vengono distribuiti cibo ed aiuti alla popolazione locale, lasciando intatti i villaggi.
L’idea di fondo del gruppo sembra quella di proporsi come valida alternativa alle istituzioni statali, che hanno dimostrato un certo disinteresse per la regione, per arrivare a controllare fisicamente il territorio ed avere accesso allo sfruttamento delle risorse naturali.[26]
Una strategia simile, benché su più larga scala, la sta adottando anche la compagine terroristica Boko Haram, la cui fazione affiliata all’Isis ha intensificato gli attacchi nella regione del lago Ciad, a cavallo tra Nigeria, Ciad, Niger e Camerun. Il 24 marzo 92 soldati dell’esercito ciadiano sono stati uccisi nel più violento scontro degli ultimi mesi.[27]
Secondo l’analisi di Anna Bono, professoressa di Storia e istituzioni dei paesi africani dell’Università degli studi di Torino, Boko Haram ha intensificato da diversi mesi gli attacchi nell’area per costruire nella regione una propria base operativa e per insediare un vero e proprio proto-stato, solidarizzando con le popolazioni del territorio. Il gruppo terrorista nell’area costruisce pozzi, protegge dai furti di bestiame e cerca di garantire un minimo di sicurezza dell’ordine pubblico.[28]
Con un’efficace azione opportunista, che verrà quasi sicuramente intensificata, vista l’attuale difficoltà degli stati della regione a fronteggiare la pandemia, i jihadisti nigeriani stanno cercando di occupare il vuoto istituzionale lasciato da Nigeria e Ciad nell’area.
Un approccio diverso infine è quello adottato dai terroristi somali di Al Shabaab, che stanno approfittando del coronavirus per alimentare l’avversione e l’odio del popolo somalo verso l’occidente.
Con un’azione di propaganda e disinformazione, il gruppo sta tentando di convincere i somali a diffidare di malattie infettive come il coronavirus, diffuse dalle forze dei “crociati” che hanno invaso il paese per indebolirlo.
Il timore del governo centrale è che Al Shabaab tenti di avversare e minare le pratiche di contenimento messe in campo dall’autorità centrale con il prezioso supporto di chierici e leader religiosi, come la chiusura delle scuole coraniche e l’adattamento di alcune pratiche religiose per evitare assembramenti di persone.[29]
Questa strategia rischia però di ritorcersi contro gli stessi terroristi, perché se il Covid-19 dovesse prendere piede nelle aree meridionali ed interne del paese che sono sotto il loro controllo, potrebbe venir meno il supporto della popolazione locale.
8 – continua
- “Una concezione adattiva della Storia” di Pierluigi Fagan.
- “La Chiesa contro il coronavirus: il mondo sulle spalle di Francesco” di Emanuel Pietrobon.
- “Che ne sarà di noi?” di Gustavo Boni.
- “Dai campioni nazionali al golden power: le prospettive della tutela del sistema-Paese”, conversazione con Alessandro Aresu.
- “Le rotte della “Via dela seta della salute” di Diego Angelo Bertozzi.
- “Coronavirus e sorveglianza” di Vittorio Ray.
- “La pandemia e la rinascita” di Attilio Sodi Russotto.
- “Coronavirus in Africa: verso la tempesta perfetta?” di Gaetano Magno.
[3] https://www.nigrizia.it/notizia/africa-fame-e-malnutrizione-causano-quasi-la-meta-delle-morti-infantili
[4] https://www.agi.it/blog-italia/africa/pochi_medici_molte_malattie_ldove_la_salute_un_privilegio-1558825/news/2017-03-07/
[6] Sui posti letto in terapia intensiva cfr. https://healthmanagement.org/c/icu/issuearticle/challenges-in-critical-care-in-africa-perspectives-and-solutions e https://healthmanagement.org/c/icu/issuearticle/intensive-care-in-tunisia e https://www.insideover.com/society/is-algeria-on-its-way-to-becoming-africas-covid-19-hotspot.html e https://www.avvenire.it/mondo/pagine/coronavirus-l-africa-si-prepara-al-peggio-amref-sensibilizziamo-le-comunita
[11] https://africacdc.org/disease-outbreak/novel-coronavirus-2019-ncov-global-epidemic-24-march-2020/
[15] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/non-solo-verso-leuropa-le-migrazioni-interne-allafrica-23500 e http://www.fao.org/3/a-i7468e.pdf
[16] https://www.pewforum.org/2018/06/13/how-religious-commitment-varies-by-country-among-people-of-all-ages/
[18] https://africacdc.org/disease-outbreak/novel-coronavirus-2019-ncov-global-epidemic-24-march-2020/
[19] https://www.france24.com/en/20200331-millions-enter-lockdown-in-nigeria-zimbabwe-as-africa-steps-up-coronavirus-fight
[21] https://www.ilpost.it/2020/04/01/elezioni-etiopia-rimandate-coronavirus/ https://nena-news.it/coronavirus-arriva-il-coprifuoco-in-egitto/
[22] Sui disordini cfr: https://foreignpolicy.com/2020/04/02/africa-coronavirus-pandemic-violence-confusion/
https://www.thenewhumanitarian.org/interview/2020/04/01/coronavirus-cities-urban-poor https://www.youtube.com/watch?v=ZLz2k1o2fxw&list=FLP71IMKAxWHxpcIOEu-wopA&index=3&t=0s
[23] https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/africa/2020/04/03/libia-4-mld-perdite-da-blocco-petrolio_fbd78a4a-1b69-4104-a6c8-2276fb64c48e.html
[26] https://www.dailymaverick.co.za/article/2020-04-02-insurgents-change-tactics-as-mozambique-seeks-help/
[27] http://www.fides.org/it/news/67640-AFRICA_Boko_Haram_colpisce_duramente_in_Nigeria_Ciad_e_minaccia_il_nord_del_Camerun
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