Di Pierluigi Fagan
L’altra sera in televisione, ascoltavo un biologo dei sistemi che faceva questo ragionamento che riporto in forma semplificata: “… mettiamo che tu sia il decisore politico ultimo, ti arrivano i dati della nascente diffusione di una epidemia, tre giorni fa ci sono stati 2 morti, due giorni fa ci sono stati 4 morti, ieri ci sono stati 8 morti. O lì intervieni pesantemente tagliando ogni linea di possibile contagio (alla cinese, alla coreana, all’italiana non è questo il punto) oppure ogni giorno che ritardi avrai poi almeno due ulteriori settimane di incrementi esponenziali che porteranno il sistema sanitario al collasso”. Ci sono due cose da mettere a fuoco in questo ragionamento, il tempo e l’incremento esponenziale e sono tra loro correlate. Sono però due cose, due concetti, che non sono nel nostro senso comune.
Quanto al tempo, siamo abituati a il modello semplice “azione-reazione”, tipo spingo l’interruttore si accende la luce, immaginate invece di spingere l’interruttore e sapere a priori che la luce si accenderà dopo tre minuti. Dovreste passare da una logica della reazione (agire dopo che accadono i fatti) ad una della previsione (agire in vista della previsione di fatti, previsioni non sempre certe anzi quasi mai), dovreste costantemente vivere anticipando quello che accadrà.
Quanto alle logiche non lineari, seguite questo esempio: “se vi trovaste in piedi dentro un cilindro chiuso di plexiglas nel quale ad ogni secondo entra una quantità di acqua che è il doppio di quella presente nel contenitore, a quale altezza di acqua vi dovreste preoccupare di non affogare?”. Normalmente sareste portati a preoccuparvi di non affogare quando l’acqua arriva alla gola, ma nel caso in questione che è sotto la logica esponenziale, o vi preoccupate quando vi arriva alla cintola, o morirete affogati il secondo dopo.
Ora unite i due esempi ed immaginate di trovarvi dentro una situazione in cui quando agite, l’effetto della vostra azione avverrà un bel po’ di tempo dopo mentre siete in un fenomeno a logica esponenziale per il quale quando percepite l’arrivo di un rischio serio, è già tardi. Questa è la situazione logica del fenomeno epidemico-pandemico in cui siamo capitati.
Sappiamo che rilevazioni di polmonite anomale risalgono in varie parti del mondo più interconnessi a dicembre e viepiù a gennaio. Sappiamo che WHO ha sancito esserci una epidemia di un nuovo virus comparso in Cina che doveva preoccupare il mondo intero a fine gennaio. Sappiamo che tutto il mondo ha potuto osservare il rapido e letale diffondersi del virus a Wuhan-Hubei sempre più velocemente ed intensamente dai primi di febbraio. Dal circa 20 febbraio prendiamo anche noi coscienza dell’arrivo del virus in Italia. Il 28 febbraio Trump dichiara che il corona virus è una “bufala” inventata dai democratici. Il 7/ 8 marzo in Italia si chiudono Lombardia ed 11 province, l’11 l’Italia intera. Nel mentre, in Spagna si fanno feste di piazza con decine di migliaia di persone, i francesi fanno una festa pubblica con migliaia di persone vestite da puffi, Macron va a teatro sorride-bacia-abbraccia come non ci fosse un domani, i tedeschi stanno zitti e lavorano come al solito, Johnson più tardi annuncia che qualcuno morirà ma non c’è problema la vita continua. In seguito, vanno tutti regolarmente in lock-down, chi a gradi, chi di colpo.
I tedeschi, unici al mondo, decidono di non contare i morti come tutti gli altri, contano solo i morti prima del tutto sani, morti per l’effetto del solo virus. Ancora ieri, la Germania dichiara di essere il quarto Paese al mondo per contagi (ma credo sia il secondo in realtà) ma solo il decimo per morti, con quasi sette volte in più dei contagiati olandesi dichiara poco più della metà dei morti. I russi non dichiarano neanche i contagiati per non sbagliare. I leader hanno davvero mal compreso l’avanzare degli eventi? O i leader sapevano che le proprie opinioni pubbliche avrebbero sopportato interventi drastici solo in contatto percettivo diretto ed allarmato da qualche centinaio di morti in su? E come la mettiamo col fatto che il problema di questa epidemia non sono solo i morti ma anche coloro che debbono esser ospedalizzati?
Qui non fa molta differenza il tipo di modello politico applicato ai vari Paesi. Tutti gli scienziati politici seri, non certo i giornalisti e i commentatori della domenica che purtroppo imperversano anche il resto della settimana, sanno che il rapporto tra leadership politica ed opinione pubblica è lo stesso a prescindere del sistema più o meno democratico in vigore in quel Paese. Si può perdere il “mandato celeste” o si possono perdere le elezioni, il risultato di un leader che non corrisponde al sentimento largamente maggioritario in un Paese, è lo stesso. Il problema allora è qual è il sentimento largamente maggioritario o meglio “qual è lo stato di “conoscenza” nelle popolazioni?”.
La conoscenza è fatta certo di informazioni e ragionamenti e concetti più strutturati, ma anche di logica con la quale si opera il pensiero. Le nostre società sono gravemente deficitarie a livello di qualità delle informazioni mentre sono eccessive quanto alla quantità, per altro scadente. Sono molto gravemente deficitarie di conoscenza. Sul totale di popolazione adulta, in Italia, circa il 40% ha dalla licenza media in giù. Laurea o diploma superiore non sono di per loro garanzia di conoscenza. Psicologi non sanno niente di economia, economisti non sanno nulla di storia, storici di biologia, biologi di geopolitica. Eppure nel mondo ci sono fatti da conoscere di tutte queste categorie, fatti che interagiscono tra loro, fatti conosciuti i quali è legittimo farsi una opinione e poi dare giudizi, ma che opinione si ha e che giudizi si danno senza le opportune conoscenza? Su quali basi si esprime il diritto di cittadinanza? Infine logica e categorie, qui c’è il rischio sul fatto che ci troveremo sempre più spesso ad aver a che fare con fenomeni di questa natura che è tipica della c.d. “complessità”. Tutta la questione ambientale si basa su queste logiche, ad esempio. Noi però veniamo dalla modernità, un periodo storico che inizia cinquecento anni fa, quando il mondo era relativamente più semplice. Ancora nel XIX secolo era relativamente molto più semplice di oggi. Noi siamo tutti ancora convinti che la luce si accende quando spingi l’interruttore e fino a che l’acqua non ti arriva alla gola c’è ancora tempo per l’ultimo aperitivo.
Una società della sostanziale ignoranza che per altro si auto valuta come invece al culmine del progresso conoscitivo, che entra in una epoca di terre incognite dalle strane e sconosciute fenomenologie, con popolo medio e relativi leader alieni a livelli di massa dalla realistica conoscenza dei fatti in cui sono immersi, che ragionano con logiche inappropriate, dovrebbe preoccuparci. Il mondo cambia, noi dovremmo cambiare in accordo. Se non ci daremo come priorità una più ampia ed intensa diffusione della conoscenza, rischiamo vari tipi di nefaste conseguenze dal probabile fallimento adattivo. Dovremmo tutti pretendere di “saperne di più” e non individualmente, a livello di sistema sociale, prendendo realisticamente atto del fatto che l’unica cosa che sappiamo e di non sapere abbastanza.
C’è chi ha deciso di dedicarci la sua morte per lasciarci questo messaggio. Credo ci converrebbe tenerne conto come priorità di tutte le priorità politiche, relative alla polis, alla cittadinanza.
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