Di Francesco Bilotta
L’epidemia da coronavirus che sta spaventando il mondo ripropone con forza la questione del rapporto tra organismi e ambiente. Le più importanti epidemie che si sono manifestate negli ultimi decenni e che hanno colpito la specie umana (AIDS, Ebola, Influenza aviaria, Sars, Mers) sono dovute al “salto di specie”. I virus presenti negli animali selvatici, che sono serbatoi naturali di molti patogeni, trovano in alcuni casi le condizioni favorevoli per adattarsi all’uomo. L’invasione delle nicchie ecologiche ha prodotto una alterazione del sistema di relazioni esistente tra le diverse popolazioni animali, modificando le loro abitudini e il rapporto con la specie umana.
LA PRESSIONE ANTROPICA e la distruzione degli habitat naturali delle specie selvatiche hanno prodotto squilibri ambientali, favorendo il contatto e il passaggio di virus patogeni. Lo spillover, il salto di specie, si verifica più facilmente se c’è un rapporto più stretto con gli animali selvatici. L’impatto che le attività umane hanno sugli ecosistemi, le pratiche agricole, i sistemi di allevamento, la distruzione della biodiversità, i cambiamenti climatici, sono tutti elementi che entrano in gioco quando si verifica la comparsa di un nuovo virus. La diffusione di questi virus è poi favorita dalla crescita demografica che la popolazione umana ha avuto nel XX secolo e dalla rapidità con cui si spostano le persone da un continente all’altro. L’epidemia di Covid-19 è arrivata, in poco più di un mese, alle porte di Milano dopo aver fatto la sua comparsa in una remota regione della Cina. Un virus ospitato da una specie animale può trasferirsi all’uomo se avviene un processo di riassortimento, un insieme di modificazioni che portano il patogeno ad acquisire geni provenienti da virus umani e che gli consentiranno di trasferirsi da persona a persona.
ANCHE L’EPIDEMIA CAUSATA dal nuovo coronavirus, che non ha trovato nel corpo umano gli anticorpi specifici e si è diffuso rapidamente, è il risultato della rottura dell’equilibrio tra patogeni di specie diverse. Gli squilibri ambientali e i comportamenti umani hanno favorito questa rottura. I coronavirus, individuati a metà degli anni ’60, sono una vasta categoria di virus a RNA che causano malattie che vanno dal comune raffreddore fino alla Sars e alla Mers. Per la loro struttura sono in grado di adattarsi in misura maggiore rispetto ad altri virus alle cellule umane e la modalità di trasmissione avviene quasi esclusivamente per via aerea. Mentre conviviamo senza troppi problemi con gli Human coronavirus, i comuni virus del raffreddore, il nostro organismo mostra serie difficoltà a difendersi dai nuovi coronavirus arrivati negli ultimi anni da altre specie animali. Il nuovo coronavirus cinese, denominato Sars-Cov-2, è parente stretto di quello che ha provocato nel 2002 l’epidemia di Sars (Sindrome respiratoria acuta grave).
LA SARS SI DIFFUSE IN CINA E DETERMINÒ il contagio di 8 mila persone con una mortalità del 10%. Sono stati i pipistrelli il serbatoio naturale del virus della Sars e il passaggio all’uomo è avvenuto attraverso un ospite intermedio, lo zibetto, un piccolo mammifero simile al gatto che viene catturato e venduto nei mercati alimentari. Il divieto temporaneo del commercio di animali selvatici, varato dopo lo scoppio dell’epidemia, fu abolito negli anni successivi. Anche per la Sars-Cov-2 sono ancora i pipistrelli e i mercati di animali selvatici a essere sotto accusa. Si è arrivati alla convinzione, sulla base degli studi genetici effettuati all’Università di Pechino, che alcune specie di serpenti sono stati gli ospiti intermedi dove il virus avrebbe subito un processo di ricombinazione prima di passare all’uomo. Ci si augura che il nuovo divieto di commercializzazione della fauna selvatica, emanato in Cina il 26 gennaio, possa diventare permanente. Per quanto riguarda la Mers (Sindrome respiratoria del Medio Oriente), la sua comparsa si è registrata per la prima volta in Arabia Saudita nel 2012. Sono stati i cammelli e i dromedari a fare da ospiti intermedi del virus prima di passare all’uomo. Il consumo di carne e latte di questi animali ha determinato il contagio di 2500 persone con un tasso di mortalità del 30%. L’attuale epidemia di Covid-19 mostra un tasso di mortalità inferiore al 2%, anche se la sua diffusione avviene più velocemente di Sars e Mers. Tra le cosiddette malattie emergenti sono state Ebola e AIDS a sconvolgere il mondo scientifico per le loro particolari caratteristiche.
L’EPIDEMIA DI EBOLA, CHE SI È SVILUPPATA a metà degli anni ’70 nella Repubblica Democratica del Congo, ha un elevato livello di contagiosità e causa una febbre emorragica che porta alla morte il 90% dei malati. Un filovirus che alberga nei pipistrelli della frutta è passato a gorilla, scimpanzè e alla specie umana, producendo una febbre emorragica dagli effetti devastanti per l’organismo, con una mortalità del 90%. L’epidemia ha causato la morte di 12 mila persone e il suo elevato livello di contagiosità rende difficile l’approccio ai malati, in una realtà come quella del centro Africa dove le strutture sanitarie sono particolarmente carenti. La deforestazione che ha interessato le foreste pluviali tropicali, distruggendo gli habitat naturali dei pipistrelli, è alla base della diffusione dell’epidemia. Non si è riusciti a trovare un vaccino in grado di fermare il virus Ebola.
ANCHE L’AIDS (SINDROME da immunodeficienza acquisita), esplosa negli anni ’80 proviene dal mondo animale. Il virus HIV dell’immunodeficienza delle scimmie ha fatto il salto di specie passando all’uomo. Non si sa esattamente quando è avvenuto questo passaggio, ma l’impatto delle attività umane sull’ambiente, la deforestazione, la caccia agli scimpanzè nell’Africa equatoriale, nelle aree del Camerun e del Congo, sono stati fattori determinanti perché il virus si adattasse alla specie umana e si diffondesse in tutto il mondo. Dall’inizio dell’epidemia si sono contati nel mondo 35 milioni di morti e negli ultimi anni la media di decessi che viene registrata è di 800 mila persone all’anno.
ATTUALMENTE SONO ALMENO 40 MILIONI le persone che nel mondo vivono con il virus HIV. Nonostante gli innumerevoli tentativi, il vaccino non c’è. Siamo ancora alla fase sperimentale. I farmaci che vengono impiegati non eliminano il retrovirus, ma gli impediscono di replicarsi e di attaccare il sistema immunitario. Gli studi e le ricerche di questi anni hanno dimostrato che la diffusione del virus HIV, passato dai primati all’uomo, è stata la conseguenza della pressione antropica sull’ambiente. Ogni qual volta si diffonde un virus si spera nel vaccino giusto, ma se non si sviluppa una attività di prevenzione e salvaguardia ambientale dovremo fare, sempre di più, i conti con la comparsa di nuovi virus e nuove epidemie.
Commenti
Posta un commento
Partecipa alla discussione