Di Andrea Muratore
Religione collettiva e fattore di popolo, roccaforte passionaria e mondo a parte, fenomeno interclassista e anticipatore dei mutamenti sociali. Il calcio di una volta che Massimo Fini e Giancarlo Padovan raccontano in “Storia reazionaria del calcio” (Marsilio, 2019) era molto più di uno sport o di un business, ma un vero e proprio laboratorio culturale. In rivolta contro la mercificazione e l’appiattimento dello sport più popolare al mondo, Fini e Padovan ne divengono i cantori nell’era della dittatura delle televisioni e dell’ascesa del VAR.
“Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio“. Nessuna frase meglio del celebre aforisma di Jorge Luis Borges riassume l’essenza di ciò che, sostanzialmente, dà corpo e anima alla popolarità globale del calcio: la sua insuperabile naturalezza ed elasticità, la capacità di saper divenire sport e fattore d’aggregazione sociale trasversale indipendentemente dal contesto in cui esso si sviluppa. Interclassista, globalizzato (la FIFA precede per nascita Società delle Nazioni e Onu) e al tempo stesso localizzato, aggregatore di interessi, aneddoti e epiche contemporanee di territori, città, quartieri, il calcio è stato radicalmente mutato, negli ultimi decenni, dalla crescente mediatizzazione e dall’aumento degli interessi commerciali ed economici ad esso afferenti.
La FIFA di Havalange e Blatter trasformatasi in corporation internazionale, lo scandalo dei mondiali in Qatar come paradigma dello snaturamento del calcio contemporaneo e l’introduzione del VAR come certificazione del predominio del mantra del “risultato” sulla genuinità del gioco sono i sintomi. La “patologia” da sondare è il rapporto tra il calcio e la modernità, a cui Massimo Fini e Giancarlo Padovan cercano di dare un inquadramento nel loro saggio Storia reazionaria del calcio, in cui l’evoluzione del contesto socio-culturale a livello italiano e globale è letta in relazione ai cambiamenti verificatisi nel mondo del calcio, in campo, sugli spalti e tra i media.
Fini, il cantore degli “uomini in rivolta” (Catilina) e il più severo critico della modernità, si unisce a Giancarlo Padovan, uno dei più intelligenti commentatori sportivi del nostro Paese, per formare un sodalizio editorialmente vincente: l’esperienza tecnica e la capacità analitica di Padovan si uniscono all’elevata vis descrittiva e critica di Fini nella costruzione di un saggio i cui capitoli scorrono, uno dopo l’altro, tra le mani, senza che il rigore delle argomentazioni sia sacrificato alla leggibilità.
Storia reazionaria del calcio ha infatti un obiettivo dichiarato: difendere il nocciolo duro del calcio, la sua matrice passionale e l’essenza dello sport, dalla dittatura dell’economico. Dalle ragioni del business incentivate a ogni costo, che a detta degli autori hanno svuotato gli stadi e snaturato il legame tra tifoso e squadra, alle eccessive giravolte del calciomercato. “Non si esagera se si afferma che in un mondo completamente desacralizzato e materialista il calcio fosse rimasto l’ultimo luogo dedicato al sacro sostituendo altri riti caduti in disuso”, fa notare Massimo Fini in un capitolo significativamente intitolato “La gallina dalle uova d’oro“. “Visto dalla parte del tifoso il calcio è una passione totalmente gratuita”.
Una pulsione universale, sottolinea Antonio Padellaro nella postfazione, “forse l’unico linguaggio autentico che ci accomuna su questa terra”. Linguaggio innato, direbbe Noam Chomsky, che sulla critica alle spigolature della modernità si è espresso molto spesso con viva forza. Versione contemporanea dell’epica nei Paesi dell’America Latina in cui la comunicazione di questo linguaggio è rimasta al massimo grado di disintermediazione.
E proprio da uno di questi Paesi, l’Uruguay, è venuto Eduardo Galeano, autore del primo dei due saggi che consigliamo di inserire in un’ideale trilogia del pallone al fianco di Storia reazionaria del calcio. Splendori e miserie del gioco del calcio ha analizzato, per primo, la componente di interazione sociale legata al calcio, la natura della partita come versione contemporanea della pugna ma anche l’insuperabile tensione tra modernizzazione e tradizione a cui il calcio è inesorabilmente condannato. Sulla scia di Galeano, Jean-Claude Michea in Il gol più bello è stato un passaggio è giunto a definire una vera e propria “filosofia dello sport” come matrice identitaria comune contrapposta alla mercificazione e alla gentryfication del calcio contemporaneo, dagli stadi all’informazione ad esso dedicata. Fini e Padovan si inseriscono in questo solco offrendo un lavoro pregevole in cui questa tensione è declinata attraverso aneddoti, ricordi personali, esperienze professionali. Tante pietre calciate sulla strada a far girare, perennemente, la storia del pallone.
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