Di Salvatore Santoru
La strage di piazza Fontana è stata considerata come la 'madre di tutte le stragi' che insanguinarono l'Italia durante gli anni della 'strategia della tensione'.
Inizialmente la strage fu attribuita, tramite alcuni depistaggi, agli anarchici ma in seguito si scoprì essere opera di alcuni individui legati al terrorismo di matrice neofascista.
Più specificatamente, si trattò di esponenti legati al gruppo Ordine Nuovo del Veneto che agirono con la copertura e una certa supervisione di alcuni settori dei servizi segreti, in modo particolare dell’ufficio Affari Riservati.
Inizialmente la strage fu attribuita, tramite alcuni depistaggi, agli anarchici ma in seguito si scoprì essere opera di alcuni individui legati al terrorismo di matrice neofascista.
Più specificatamente, si trattò di esponenti legati al gruppo Ordine Nuovo del Veneto che agirono con la copertura e una certa supervisione di alcuni settori dei servizi segreti, in modo particolare dell’ufficio Affari Riservati.
Nel 2005 la Corte di Cassazione ha stabilito che l'evento criminoso fu opera di alcuni membri dell'organizzazione eversiva formata a Padova nell'ambiente di Ordine Nuovo, capitanata da Franco Giorgio Freda e Giovanni Ventura.
Tra gli aspetti meno conosciuti della vicenda, riporta La Luce News(1), ci sono quelli che riguardano la fase di preparazione dell’attacco e la possibilità di sventarlo.
Entrando nei dettagli, nel 1969 il poliziotto del commissariato di Padova Pasquale Juliano aveva fatto partire un'indagine a seguito di un ennesimo attacco terroristico all’Università di Padova.
Tale indagine individuò lo stesso gruppo di Ordine nuovo capeggiato da Franco Freda che, tra l'altro, era coinvolto nel traffico di esplosivi e di armi.
Entrando nei dettagli, nel 1969 il poliziotto del commissariato di Padova Pasquale Juliano aveva fatto partire un'indagine a seguito di un ennesimo attacco terroristico all’Università di Padova.
Tale indagine individuò lo stesso gruppo di Ordine nuovo capeggiato da Franco Freda che, tra l'altro, era coinvolto nel traffico di esplosivi e di armi.
Lo stesso Juliano fece intercettare il telefono di Freda e riuscì ad incastrare l'organizzazione, dopo aver fatto appostare la sua squadra d'investigazione sotto la casa dell'estremista neofascista Massimiliano Fachini, il quale era ritenuto essere l’armiere della cellula veneta.
La polizia riuscì ad intercettare un giovane esponente neofascista appena uscito dall’abitazione di Fachini con un pacchetto che conteneva una rivoltella e, sopratutto, dell’esplosivo.Allora Iuliano fece disporre l’arresto di Fachini che, però, fu scagionato dalle accuse.
In seguito un testimone che poteva avere la possibilità di scagionare Juliano, Alberto Muraro, morì in circostanze misteriose e lo stesso commissario fu sospeso dal servizio e venne accusato di aver costruito prove false.
Alla fine, Juliano venne assolto da tutti i capi d’imputazione e ci vollero 10 anni per dimostrare la sua innocenza.
Alla fine, Juliano venne assolto da tutti i capi d’imputazione e ci vollero 10 anni per dimostrare la sua innocenza.
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