L'italiano che fece cadere il Muro di Berlino

nov 9, 2019 0 comments

Di Francesco Oggiano

È nato poco dopo la Prima guerra mondiale, ha vissuto la Seconda in un campo di internamento e ha fatto finire quella Fredda con tre domande: Riccardo Ehrman, 90 anni il 4 novembre, l’italiano che fece cadere il muro di Berlino. Il titolo è più semplice della scrittura del cognome, di origine ebreo-polacca, che gli valse la prigionia nel campo di Ferramonti di Tarsia assieme alla famiglia. Dopo un anno di internamento, Riccardo fu liberato dagli inglesi nel settembre ’43. Superò la guerra, studiò e si mise a fare il giornalista.
Entrò all’Ansa e, quasi per legittima contrapposizione a quell’esperienza di costrizione, iniziò a girare il mondo da corrispondente. Nel 1976 finì a Berlino, che allora era il centro del mondo diviso tra i due blocchi. Viveva a due passi da Alexanderplatz, in un appartamento di stato pieno di microspie: “Ce ne era una perfino nel bagno, due in camera da letto’’, ha raccontato lui stesso.
Buon giornalista, Riccardo: un reporter d’agenzia, con pochi fronzoli nella scrittura e fonti solidissime. Una era Gunther Potsche, direttore dell’agenzia di informazione della Germania Est. Uno dei rinnovatori del Partito comunista, che in fondo volevano abbattere il muro. La mattina del 9 novembre 1989, 30 anni fa, Riccardo ricevette una telefonata nel suo ufficio di corrispondenza: Potsche – ovviamente senza presentarsi con nome e cognome ma con un nome in codice (i telefoni erano sorvegliati) – gli disseche c’era “un grande dibattito nel gruppo dirigente del partito: che il giorno prima si erano decise graduali aperture nella  legge di viaggio che di fatto impediva l’espatrio ai cittadini della Ddr”. 
Riassunto: è il 9 novembre, il muro inizia a mostrare le sue prime crepe, l’intero blocco comunista è prossimo alla sua fine. Da tempo si parla di permettere ai cittadini di Berlino Est di poter varcare il confine e andare nella parte Ovest della città, ma finora non c’è stato nulla di concreto. Quel giorno è attesa una conferenza stampa da parte dei dirigenti comunisti della Ddr. Il resto è piccola storia, equivoco, fraintendimento, ritardo e sciatteria: il tutto, unito, è diventato leggenda.
Parte tutto da un ritardo: Riccardo arriva alla conferenza per ultimo. “Girai a lungo nel parcheggio del ministero: non trovavo posto”. Nella sala già piena di giornalisti si va a sedere alla base del podio degli oratori, sui gradini. Dall’altra parte, tra gli oratori, c’è nervosismo e attesa. A coordinare la conferenza è Gunter Schabowski, un portavoce del governo arrivato pure lui in ritardo e con poche informazioni di scorta.
Parte tutto da un ritardo: Riccardo arriva alla conferenza per ultimo. “Girai a lungo nel parcheggio del ministero: non trovavo posto”. Nella sala già piena di giornalisti si va a sedere alla base del podio degli oratori, sui gradini. Dall’altra parte, tra gli oratori, c’è nervosismo e attesa. A coordinare la conferenza è Gunter Schabowski, un portavoce del governo arrivato pure lui in ritardo e con poche informazioni di scorta.
Al momento delle domande, Riccardo prende il microfono e si rivolge a Schabowski: “Lei ha parlato di errori, non crede che sia stato un grande errore: quello di annunciare poche settimane fa una legge di viaggio che non era tale?”. La domanda è secca e precisa: la smettete di illudere i tedeschi, facendogli credere che possano andare a Berlino ovest? Schabowski è impreparato: legge il foglietto con le istruzioni consegnatogli dal partito. “I tedeschi dell’est possono espatriare senza dare spiegazioni”.
Ehrman, che capisce subito di essersi imbattuto in qualcosa, incalza con una seconda domanda: “(il viaggio, ndr) Vale anche per Berlino ovest?”. , risponde il funzionario di partito.
Terza e decisiva domanda, entrata nella storia. “Ab wann? (Da quando?, ndr)”. “…Da subito”. Uno dei maggiori dirigenti della Ddr aveva appena detto che i tedeschi potevano lasciare Berlino est e andare a salutare i propri cari a Berlino ovest. Ma nessuno, in quella sala, capì subito quello che era successo. Nessuno tranne, forse, Riccardo. L’uomo si precipitò al telefono e chiamò Roma: “Dissi che era caduto il muro. Commentarono: ‘Riccardo è impazzito’”.
Cadde, il Muro, quella sera. Pure prima. Leggenda vuole che Harald Jäger, l’ufficiale che presiedeva uno dei varchi più importanti di Berlino, seguì la conferenza in diretta tv. E dopo aver sentito quello scambio tra Ehrman e il pezzo da novanta tedesco ordinò ai suoi di alzare la sbarra.
Dopo aver trasmetto il pezzo per telex, Riccardo scese a Friedrichstrasse, tra i tedeschi che si ubriacavano di spumante e buttavano giù pezzi di cemento. Qualche berlinese lo riconobbe pure: È lui, è l’uomo della domanda!.
Trent’anni dopo, di quella giornata è rimasto qualche ricordo e un souvenir. Quella città si ricostruì e divento una delle più belle del mondo, all’avanguardia su sostenibilità, ambiente e moda. Gunter Schabowskitornò a lavorare di nuovo come giornalista in un piccolo giornale locale, per poi spegnersi nel 2015. Un giorno rincontrò Ehrman, ringraziandolo per quelle domande: “Mi hai spronato a dire una cosa così difficile”. Il corrispondente italiano, dal canto suo, ha continuato a fare il giornalista e a ricevere attestati di stima dai leader di mezzo mondo. “Il mio merito fu non tanto di aver fatto la domanda”, minimizza oggi, “ma di aver capito la risposta”. Ha festeggiato i suoi 90 anni nella sua casa a Madrid. Una casa normale, come tante, con una libreria su cui è ancora appoggiato un pezzo del muro di Berlino. Un souvenir preso quella notte. In fondo, bastava chiedere.

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