La scorsa settimana il presidente della Bolivia Evo Morales ha annunciato le sue dimissioni dopo che i militari gli avevano “suggerito” di lasciare il potere, in seguito a settimane di proteste nate in seguito alle controverse elezioni presidenziali dello scorso 20 ottobre. Insieme a Morales si sono dimessi anche il vicepresidente e i presidenti di Senato e Camera. Lo stesso Morales ha lasciato il paese, mentre centinaia di dirigenti e funzionari del suo partito si sono rifugiati nelle ambasciate della capitale boliviana.
Morales, che era al potere in Bolivia da 14 anni e alle controverse elezioni aveva appena ottenuto un quarto mandato da presidente, ha definito quello che è avvenuto un “colpo di stato”, ma sui media internazionali e nel resto del mondo questa definizione non ha incontrato molto successo. Né l’Unione Europea né gli Stati Uniti hanno definito quello che stava accadendo un “golpe”: anzi, gli Stati Uniti hanno esplicitamente appoggiato le scelte dei militari e dell’opposizione, così come avevano ripetutamente chiesto le dimissioni di Morales durante le settimane di protesta che hanno preceduto le dichiarazioni dell’esercito e le dimissioni del presidente.
L’ostilità degli Stati Uniti non è sorprendente, visto che Morales è un leader apertamente socialista che ha spesso accusato gli americani di imperialismo e di intromissioni negli affari dei paesi dell’America Latina. Nei suoi lunghi anni al governo, Morales ha intrapreso numerose misure a favore degli indios, che costituiscono la maggioranza della popolazione della Bolivia, e per la riduzione della povertà, ma è stato accusato di aver gestito il potere in modo autoritario. Con lui e a sostegno della tesi del golpe si sono schierati i principali leader della sinistra europea e americana: dallo spagnolo Pablo Iglesias al candidato alle primarie dei democratici Bernie Sanders.
Anche se sostanzialmente nessun grande media statunitense e quasi nessun media europeo ha definito “colpo di stato” quello che è avvenuto in Bolivia, e l’espressione “golpe” è stata citata solo in quanto accusa mossa da Morales e dai suoi sostenitori, l’agenzia di stampa Associated Press ha provato ad analizzare la questione da un punto di vista neutrale partendo dalla definizione di “colpo di stato”. In un articolo pubblicato questa settimana, l’agenzia ha scritto che in genere un golpe si definisce come un cambio di governo ottenuto con la minaccia o l’uso della violenza da parte di un attore interno allo stato.
In Bolivia c’è stato un cambio di governo, ma si discute su quanto o meno sia stata usata la violenza. I manifestanti che hanno protestato contro Morales sono stati molto spesso violenti: hanno rapito e torturato diversi deputati, dirigenti e amministratori del partito di Morales, hanno incendiato le loro case (compresa quella dello stesso Morales) e si sono scontrati con la polizia (tre manifestanti sono morti e altre decine sono rimasti feriti). Esercito e polizia, però, non hanno partecipato direttamente agli attacchi contro il governo.
Secondo Associated Press quello di cui invece si può discutere è se i militari abbiano o meno minacciato Morales. Quello che sappiamo per certo è che domenica il capo dell’esercito, il generale Williams Kaliman, ha pubblicato un comunicato in cui con un linguaggio piuttosto cauto suggeriva a Morales di dimettersi. Il governo non veniva esplicitamente minacciato né sono stati formulati ultimatum. La questione sarebbe quindi semantica: quelle dei generali erano minacce oppure no?
Il fatto che Morales sia una figura politicamente così polarizzante, sostenuto dalla sinistra e spesso odiato dalla destra, rende la questione particolarmente divisiva. Cinque anni fa, invece, durante il colpo di stato militare in Thailandia (arrivato, come quello boliviano, in seguito a un’elezione controversa) media e osservatori internazionali ebbero molti meno dubbi quando si trattò di definire “golpe” l’intervento dell’esercito.
Nell’utilizzare questa definizione furono aiutati dal fatto che i militari thailandesi non cercarono minimamente di mascherare le loro azioni e annunciarono immediatamente la loro intenzione di governare il paese: una cosa che, per ora, i militari boliviani non sembrano intenzionati a fare. Per il momento la vicepresidente del Senato Jeanine Áñez si è autoproclamata presidente del paese, anche se in Senato non era presente il numero legale necessario ad approvare la sua nomina. Quale ruolo l’esercito deciderà di giocare nelle prossime settimane rimane per il momento poco chiaro.
Un’altra considerazione che Associated Press avrebbe potuto fare è che in genere non si usa la parola “colpo di stato” per descrivere la caduta di un governo in seguito a una protesta popolare. Per esempio, la caduta del presidente ucraino filo-russo Viktor Yanukovich nel 2014 viene in genere definita “rivolta” o addirittura “rivoluzione” (è il nome della pagina Wikipedia su quegli eventi). Quasi nessuno, inoltre, parlò di “golpe” in occasione della deposizione del presidente egiziano Hosni Mubarak nel 2011 (anche se in seguito alle sue dimissioni l’esercito prese il controllo diretto del paese).
La caduta di Morales è arrivata dopo tre settimane di proteste, che hanno causato tre morti e numerosi feriti. Come hanno notato anche i sostenitori di Morales, dietro le manifestazioni c’era spesso una coalizione reale e numerosa, che oltre ai tradizionali nemici di Morales (la destra bianca, benestante e spesso razzista del paese) comprendeva anche abitanti di aree povere ed ex sostenitori di Morales delusi da questa o quella politica del governo, oltre a numerose persone insoddisfatte dalla volontà del presidente di ricandidarsi a tutti i costi per un quarto mandato presidenziale. In seguito alle proteste Morales aveva annunciato nuove elezioni, ma sembra difficile pensare che si sarebbe dimesso senza l’intervento dell’esercito.
Un’altra questione è quella della legittimità del governo Morales. L’opposizione – insieme all’Organizzazione degli Stati Americani (finanziata dal governo degli Stati Uniti e con sede a Washington) – accusa Morales di aver truccato le elezioni del 20 ottobre per ottenere la vittoria al primo turno. Morales, infatti, era dato sicuro vincitore da tutti gli osservatori, ma se non fosse riuscito a superare di più di dieci punti il secondo classificato avrebbe dovuto affrontare un rischioso secondo turno (altre organizzazioni americane sostengono che finora non ci sono prove di brogli ).
Altri ricordano che Morales abbia cercato di cambiare la Costituzione per ottenere il diritto a candidarsi per un quarto mandato, e che quando un referendum ha respinto la sua proposta si è basato su una sentenza del tribunale supremo, considerato a lui vicino, per ottenere il diritto a candidarsi. Ma per quanto le scelte di Morales siano discutibili (e lo sono, anche da parte dei suoi sostenitori), anche un governo illegittimo o dittatoriale può essere oggetto di un golpe. Quello compiuto nel 2017 dall’esercito dello Zimbabwe contro il dittatore Robert Mugabe, per esempio, è stato definito “colpo di stato” in modo pressoché unanime.
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