Di Irene Dominioni
Se voi aveste un campo di pomodori che dovete proteggere da insetti o malattie in modo da renderli sani e commerciabili, ma non sapeste se il pesticida che dovete usare potrebbe essere dannoso per la salute, lo usereste comunque? Ecco, questo è a grandi linee il dilemma che la Commissione europea si è trovata davanti nella discussione intorno alle direttive sui pesticidi agricoli all’interno dell’Ue. E la risposta che il corpo europeo ha dato è problematica.
Stando ad oltre 600 documenti interni che il Pesticide Action Network (PAN) Europe, un’unione di 38 organizzazioni in Europa e 600 a livello mondiale, è riuscito ad ottenere dopo una battaglia legale durata per ben due anni contro la Commissione, infatti, il quadro che emerge è poco confortante. All’interno dei lavori sulla definizione dei criteri scientifici per l’identificazione e il divieto di alcuni pesticidi di tipo EDC (ovvero “interferenti endocrini”, e cioè che alterano la normale funzionalità ormonale dell'apparato endocrino, ndr) un numero non meglio determinato di funzionari della Commissione europea avrebbe “spinto” per la protezione degli interessi economici del settore agricolo e industriale, a discapito della protezione della salute dei cittadini. In particolare, nel confronto sulla normativa che dovrebbe mettere al bando 32 pesticidi EDC, diversi DG (directorate-general, ndr) avrebbero cercato di piegare i criteri del cosiddetto impact assessment, equiparando criteri come la redditività agricola alle considerazioni di sicurezza medica.
«Come possono dei funzionari della salute tentare di distorcere una legge pensata per proteggere le persone in qualcosa che fa l’opposto, per conto di industrie che causano gravi malattie?», si chiede il portavoce di PAN Europe Hans Muilerman.
In particolare, infatti, sarebbe stato lo stesso DG Sante (il directorate-general dedicato alla salute all’interno della Commissione), tra gli altri, a contestare il principio della “non exposure”, quello che prevede l’esposizione nulla a determinati tipi di sostanze, premendo per distorcere la regolamentazione. Di più: PAN Europe, documenti alla mano, accusa lo stesso Segretariato generale della Commissione di aver orchestrato il cambio verso un impact assessment irregolare.
A questo punto, va detto che nella discussione all’interno della Commissione prendono parte diversi Directorate-General, come DG Growth, DG Enteprise, DG Environment (tra i pochi ad aver contestato il cambio di rotta), DG Research e DG Employment, in cui ognuno preme per difendere i propri interessi. «La gerarchia di questi DG, fortemente voluta da Juncker, ha dato ad alcuni di questi più peso che ad altri, e chiaramente DG come Growth o Enterprise hanno tutto l’interesse a rimuovere qualsiasi blocco al commercio. Lo stesso Segretariato generale ha un ruolo di peso, e si è dimostrato molto favorevole alle istanze economiche rispetto a quelle sanitarie», spiega Muilerman. Secondo la ricostruzione di PAN Europe, addirittura la Segreteria sosterrebbe la tesi che «più pesticidi rimangono in circolazione, minore è l’impatto sulla salute e sull’ambiente», e che «meno pesticidi EDC vengono identificati, meglio sarebbe», riporta il PAN.
Sull’uso delle sostanze chimiche in agricoltura, l’Unione europea ha iniziato a prendere misure a partire dal 2009. Ad oggi, in particolare malathion, diazinon, glifosato, tetrachlorvinphos e parathion sono stati indicati come pesticidi potenzialmente cancerogeni. Ma se alcuni di questi, come il tetrachlorvinphos e parathion, sono già stati banditi all’interno dell’Unione europea, altri, invece, vengono ancora utilizzati.
«Dei 500 diversi tipi di pesticidi disponibili sul mercato, la Commissione si era già pronunciata definendone 32 come tossici, ma ce n’è ancora almeno un 10% che dovrebbero essere vietati e che dovremmo togliere dalla circolazione il prima possibile», dice ancora a LinkiestaMuilerman.
Per stabilire il livello di pericolosità di una sostanza, in termini legislativi, si utilizza quello che in inglese viene chiamato hazard approach, ovvero un processo che identifica il livello accettabile di esposizione umana a determinate sostanze. Unico nel mondo, spiega Muilerman, questo principio comporta che ogni pesticida che viene classificato come EDC, cancerogeno, mutageno, tossico, persistente o bioaccumulante, anche a dosi molto basse, debba essere vietato in Europa. «Per alcune categorie speciali è prevista un’esposizione pari a zero, stabilita proprio dall’Unione europea nel 2009 con l’obiettivo ultimo della protezione dei cittadini», spiega l’esperto a Linkiesta.
Il problema fondamentale tra i pesticidi agricoli, infatti, è che diversi tipi di sostanze sono stati riconosciuti come potenziale causa di tumori, difetti alla nascita, alterate capacità riproduttive e altri disturbi dello sviluppo. Addirittura, non molto tempo fa casi di malformazioni degli arti di neonati venuti alla luce in tre diverse regioni rurali della Francia sarebbero stati attribuiti proprio ai pesticidi presenti nel cibo.
Malgrado si trovino dappertutto (i pesticidi vengono infatti usati soprattutto nelle coltivazioni di frutta e verdura, ma anche in carni e uova), però, l’effetto dei cosiddetti prodotti fitosanitari - pesticidi, insetticidi ed erbicidi - sulla salute umana è ancora poco compreso a livello scientifico, e quindi anche lì dove si sa che alcune sostanze possono causare il cancro, ad esempio, non si sa con precisione come ciò avvenga. La ragione di ciò è la mancanza di dati certi - numerosi sono i fattori esterni e le sostanze con cui si viene a contatto quotidianamente che possono incidere sullo stato di salute di una persona, il che rende difficile isolare il singolo componente.
Se possibile ancora più problematico, però, secondo quanto riportato dall’ultimo dossier di Legambiente “Stop pesticidi”, è il multiresiduo, ovvero la presenza contemporanea di più residui di prodotti fitosanitari su frutta e ortaggi. Sebbene sia più frequente rispetto al monoresiduo, osserva lo studio di Legambiente (che ha individuato la presenza di residui multipli nel 18% del totale dei campioni analizzati, contro il 15% di residui singoli), infatti, nella legislazione europea il multiresiduo «non viene considerato come non conforme se ogni singolo livello di residuo non supera il limite massimo consentito, benché sia noto da anni che le interazioni di più e diversi principi attivi tra loro possano provocare effetti additivi o addirittura sinergici a scapito dell’organismo umano».
È soprattutto per queste ragioni che il PAN si è posto l’obiettivo di limitare il più possibile l’uso di pesticidi nelle filiere agricole, per sostituirli con metodi più ecosostenibili e meno impattanti, come ad esempio l’applicazione di corrette pratiche di gestione agronomica. Anche perché le conseguenze dell’uso di pesticidi non si riscontrano soltanto in termini dell’impatto sulla salute delle persone, ma anche sull’ambiente. Secondo quanto osserva il direttore generale di Legambiente Giorgio Zampetti, infatti, «solo una modesta quantità del pesticida irrorato in campo raggiunge in genere l’organismo bersaglio. Tutto il resto si disperde nell’aria, nell’acqua e nel suolo, con conseguenze che dipendono anche dal modo e dai tempi con cui le molecole si degradano dopo l’applicazione». Le conseguenze sono facili da immaginare: «inquinamento delle falde acquifere e possibile impoverimento di biodiversità vegetale e animale».
In un tale contesto, dovremmo dare per scontata la malafede della Commissione nel tentativo di modificare la normativa attuale? Probabilmente no, ma il problema rimane: questo caso dimostra come sia stato molto facile per attori esterni inserirsi e indirizzare le regolamentazioni in una certa direzione, e come le lobby a Bruxelles giochino un ruolo di peso nell’elaborazione delle leggi. «C’è un rapporto molto sbilanciato tra l’industria e la Commissione, principalmente perché l’industria ha più risorse: così ha largo accesso al DG Growth - i loro portavoce si incontrano ogni settimana e si vantano di fronte alla Commissione di quanto sono sostenibili. D’altra parte, la Commissione non ha una conoscenza approfondita della questione, non hanno esperti interni, devono assumere dei professionisti per fare le valutazioni ma questi professionisti non possono verificare tutti gli aspetti. Allo stesso tempo la decisione non è solamente scientifica, ma anche politica, perché la votazione finale avviene all’interno della Standing committee che è composta dagli Stati membri e dai ministri dell’agricoltura, che spingono per un compromesso», puntualizza Muilerman.
Insomma, ad oggi rimane un serio rischio che pochi, se non nessuno, tra i pesticidi più dannosi ancora in circolazione venga vietato: «molti rimangono sul mercato, tra cui l’Epoxiconazolo, il Mancozeb, il Metconazolo, il Thiacloprid e il Tebuconazolo», specifica il PAN. Se ancora una volta è chiaro che l’unica direzione da prendere è quella della sostenibilità ambientale e della tutela della salute delle persone, è ancora più chiaro che, specialmente in casi come questo, la scelta da compiere è soprattutto politica: la Commissione non può permettersi di privilegiare interessi commerciali rispetto a quello per la salute delle persone. «È stato per merito di una chiara decisione politica che l’Europa ha adottato l’hazard approach, uno scudo dorato contro i pesticidi tossici che i funzionari devono applicare in pieno», conclude Muilerman. «Per questo speriamo che le prossime elezioni europee portino freschezza al comando di Bruxelles, per dare nuova vita a questa e a molte altre buone leggi Ue».
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